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Una riflessione su regole e spiritualità

di Giulio Save

In un recente articolo di Padre Enzo Bianchi ho trovato alcune affermazioni che mi sembrano emblematiche del ruolo che la chiesa ritiene di dover esercitare, anche attraverso menti e personalità pur singolarmente libere aperte profonde come appunto Enzo Bianchi, quando accade che la società civile intenda darsi proprie regole (nel caso specifico erano i fin troppo famosi, immeritatamente, Dico) che non corrispondono strettamente ai suoi (della chiesa) voleri. Ma il pezzo scritto è bellissimo e stimolante e allora vorrei fare tre brevi osservazioni.

-Osservazione numero 1. C’è un passo dove si conclude che:”…come essi [agnostici e atei] non trovano ragioni per credere, altri invece le trovano e sono felici: gli uni pensano che questo mondo basti loro, gli altri sono soddisfatti di avere la fede.” E’ una distinzione netta che non lascia scampo. Nonostante l’intento apertamente ecumenico ed unificante che permea amabilmente tutto lo scritto, l‘offerta reale di spiritualità è ristretta ai due casi classici ed estremi, quelli più facilmente individuabili, e meno rischiosi da interpretare, i due casi di scuola: o sei il Bravo Credente felice e soddisfatto della tua perfezione (perfezione?) che copre in abbondanza ogni possibile altra insufficienza; oppure sei un Non Credente, anche intelligente, probabilmente di mente aperta e pronta, perfino moralmente inappuntabile se è il caso, degno di attenzione finché vuoi, ma pur sempre insopportabilmente carente di qualcosa che solo noi (la chiesa) possiamo procurarti.

Troppo schematico e restrittivo. Troppo semplificante. Si riduce lo spazio infinito dell’anima ad un alfabeto morale binario, zero-uno; informatica applicata allo spirito. Come se la religiosità e la fede fossero una questione on-off, un contatto a interruttore, tutto o niente. Ma non è così. O, almeno, io credo che non sia così.

La fede si può avere anche in gradi diversi; chi ne ha di più chi ne ha di meno; e anche uno stesso “chi” oggi può averne un po’ di più e domani forse un po’ di meno, o viceversa. La fede non è il possesso certo immutabile totale assoluto della verità, semplicemente perché se si conoscesse la verità non ci sarebbe bisogno di credere, infatti direttamente e definitivamente in modo conclusivo si saprebbe. La fede forte profonda trascinante si rivela, invece, e dispiega tutta la sua inesauribile vitalità, proprio quando non si riesce più, nonostante tutti gli sforzi, a risolvere il dubbio. La fede serve (al fortunato che ne dispone) per superarlo (il dubbio) senza bisogno di avere la verità. La fede è il cammino, imperativo, nell’incertezza inestinguibile della condizione nostra, verso l’individuazione, che nessuno può assicurare, di un barlume di verità. E’ questa, a mio parere, la sua travolgente potenza.

-Osservazione numero 2. Nello scritto si dice un po’ dappertutto che anche i non credenti sono capaci di…., o… anche loro hanno una spiritualità…., o… pure gli atei sanno scegliere in base a principi etici…, o…, o… ecc…. Bello sforzo! Ma perché tutti questi riconoscimenti opportuni, o piuttosto, semplicemente dovuti, sono sempre e solo “concessi” di così lampante malavoglia da rischiare, in un umanissimo scatto d’orgoglio, di essere respinti al mittente? Perché vogliono apparire “accordati” con aristocratica e distaccata magnanimità da parte di chi, evidentemente, si ritiene unico legittimo e inappellabile, senza averne titolo, giudice della moralità e della vita interiore delle persone, e mai offerti e donati senza richiedere nulla in cambio, e mai porti consegnati regalati dati con carità amore misericordia, questi sì veramente e fondatamente cristiani?

Si può sostenere con forza e dedizione la tolleranza, l’uguaglianza degli uomini di fronte a Dio, l’ecumenismo, la compassione, la pietà, esibendo nel contempo sul proprio viso la smorfia un po’ seccata di una sopportazione, autoimposta, verso chi pensa diverso?

-Osservazioncina numero 3. Bella la citazione di Mussolini:”io sono cattolico e anticristiano” che, per la verità, mi sembra il motto da gonfalone delle attuali alte (che più alte non si può) gerarchie ecclesiastiche. Le quali proseguendo sulla strada molto discutibile ripresa di gran lena negli ultimi lustri, corrono il rischio di agevolare l’attecchire, per reazione, e radicarsi e diffondersi dell’opposta parafrasi: “io sono cristiano e anticattolico”. Che poi, detto fra noi, è difficile sbagliare dicendo il contrario di Mussolini. 

Giulio Save