FOGLI MOBILI

La rubrica di Gloria Bardi  

 A proposito di LAICISMO

Estratto dalla relazione tenuta in Sala Rossa il 21 aprile nell’ambito del dibattito “La Religione oggi tra laicismo e secolarizzazione

Francesco Bacone individuava, parlando di IDOLA FORI, nella parola un importante elemento di contaminazione del senso, nel momento in cui essa viene usata in maniera fuorviante rispetto a ciò di cui si parla.

Per questo credo che occorra “mettere a punto” le parole prima di inoltrarsi nelle argomentazioni, facendo esercizio di quella che potremmo definire “onestà lessicale”. Fatto questo, spesso il nodo dialettico si dipana da sé.  

Così per uno dei termini oggi più ripetuto e su cui più si scrive: il LAICISMO.

Occorre  innanzitutto chiarire il significato del suffisso, quell’ ISMO che pare connotarsi di intransigenza e assumere un significato peggiorativo rispetto a LAICITA’ esattamente come NAZIONALISMO rispetto NAZIONALITA’. Appare cioè come una posizione totalizzante e tendenzialmente fanatica e in tale accezione si trova spesso adoperato. Si noti però che provvisoriamente  dall’altro lato stanno le Religioni positive che sono, come si suol dire, degli “ISMI” e non se ne sentono affatto imbarazzate: Cristianesimo, Cattolicesimo, Islamismo. Ebraismo ecc. 

Ma nell’accezione che intendo difendere e sostenere il termine laicismo è inevitabile, per il semplice fatto che “laicità” e quindi “laico” è un termine ambiguo, significando nel contempo “colui che non è prete” o “colui che non si fa testimone di una visione religiosa”, fino a essere usato talvolta con particolare improprietà come sinonimo di “ateo” o di “anticlericale”.

Il Concilio Vaticano II ha promosso la posizione dei laici nella chiesa, intendendo perfino i così detti “diaconi” che sono di fatto “sacerdoti laici”, così come esistono suore laiche ecc., tutte figure non solo contrarie ma organiche alla Chiesa.

Ciò rende indispensabile, per non rendere ambigua la comunicazione, preferire il termine “laicista”, e quindi “laicismo”, nel senso che cercherò di chiarire dopo, a “laico” e “laicità”. 

Il suffisso “ismo” del resto, perde molta della sua arroganza, nel momento in cui viene definito il contesto entro cui assume senso, così da non presumere di valere come visione esclusiva del mondo. 

L’accezione che intendo difendere è infatti un’”accezione confinata” in un ambito preciso, non si tratta di un punto di vista generale sull’esistenza, un punto di vista totalizzante dell’umano MA è piuttosto un modo di considerare la DIMENSIONE PUBBLICA in quanto contrassegnata da LAICITA’. 

Quindi “LAICISMO” sta ad indicare semplicemente la concezione del PUBBLICO all’insegna della LAICITA’. E la LAICITA’, entro questa definizione di contesto, non è per nulla un’ideologia CONTRO ma piuttosto un’ideologia PRO, volta non a far tacere ma a far parlare, a rendere possibile il dialogo tra diversi, ovvero tra persone portatrici di differenti visioni della VITA BUONA

La LAICITA’ non è IDEOLOGIA ma piuttosto rinuncia a caratterizzarsi ideologicamente, affermazione della NEUTRALITA’ della VITA PUBBLICA rispetto alla diverse ideologie che caratterizzano una società MULTI-IDEOLOGICA e MULTI-CULTURALE,  se è vero che al centro sta l’individuo e le sue scelte e non si può più far valere il CUIUS REGIO EIUS RELIGIO augustano. 

La LAICITA’ è quindi fondamentalmente distinzione di sfere antropologiche non ESCLUSIONE.

Da una parte la sfera morale che riguarda il BENE, inteso come valore massimo di riferimento, valore assoluto.

La Legge invece tende al GIUSTO, ovvero ha come fine la realizzazione di CONVIVENZA. 

Per questo LAICISMO non è di per sé RELATIVISMO, essendo questo piuttosto una concezione riguardante la vita etica, che si confronta cioè con l’assoluto quale carattere della vita etica e lo nega essendo esso stesso una sorta di assolutismo rovesciato,  ma è piuttosto, caso mai, il terreno del relativo necessario perché si possano esprimere i differenti assoluti senza sottomissioni reciproche. 

Il contrario del principio di LAICITA’ non è affatto il principio di FEDE, eterogeneo rispetto ad esso, ma quello di AUTORITA’ e cioè il respingimento di una società “autoritativa” (fondata sull’autorità di un Testo Sacro o di un Credo), che nel momento in cui viene imposta a chi tale autorità non riconosce, diviene AUTORITARIA.

Vi sono state epoche storiche in cui le cose non stavano in questi termini,

quando libertà e uguaglianza erano “bestemmie” di là da venire. 

Infatti, come ci sono cattolici o membri di altri credi LIBERTARI e LAICISTI (tra i cattolici ricordo Arturo Carlo Jemolo), analogamente ci sono atei che invece sostengono posizioni dogmatiche all’insegno del cattolicesimo, in quanto funzionali al principio di AUTORITA’ come principio d’ordine e di controllo sociale, pensiero che non era estraneo nemmeno a Robespierre del resto. 

Ora, se nel dibattito italiano il cattolicesimo compare come l’antagonista del laicismo è dovuto piuttosto a una circostanza storica e politica e non a un’istanza ideale.

Credo che da noi non si sia storicamente costituito nemmeno l’alfabeto mentale della laicità. 

Assistiamo oggi ad  un’ulteriore deformazione di senso, nel momento in cui la SCIENZA come tale pare essere invece naturalmente apparentata con l’orizzonte laico, tanto da far pensare il rapporto laicità-cattolicesimo nei termini classici di scienza-fede. 

Nulla di più falso, nel momento in cui anche la scienza diventi un ismo  totalizzante, un valore supremo cui ogni altro va sacrificato. La posizione che sostiene questa priorità assoluta si chiama appunto scientismo.  

La guerra tra assoluti infatti non riguarda solo le visioni religiose del bene ma la scienza stessa, intesa in un certo modo. 

Ma su questo va spesa qualche parola di più, dal momento che si tratta del secondo elemento che caratterizza il nostro mondo, dopo il pluralismo  culturale, e che rende urgente la LAICITA’, ovvero il territorio della ricerca e della tecnologia biomedica che volge in “sì” determinati “no” della natura, come nel caso della procreazione o del mantenimento protratto in vita. Fa entrare nel territorio della scelta quanto in precedenza era affidato al caso e la necessità, per chi parte da prospettive di fede, la deliberazione divina.

 Ciò  apre uno spazio di massima responsabilizzazione, per cui ogni scelta etica è gerarchizzazione di valori.

NON ESISTONE SCELTE prive di costi etici, questo è chiaro e di essi occorre assumersi la responsabilità. 

Ed ecco un'altra messa a fuoco relativa all’uso dei termini e dei suffissi: fondamentalità dell’individuo è una cosa, INDIVIDUALISMO un’altra, che sposta il senso nella direzione peggiorativa di un punto di vista egocentrico ed egoistico. 

L’individuo come centro di libertà è piuttosto indispensabile all’esercizio della RESPONSABILITA’, intesa come cura degli altri e del mondo, cui egli deve in prima persona rispondere. Non è accettabile la dicotomia che vede su un piatto le religioni e sull’altra gli egoismi individuali, al punto che la stessa religione richiede in prima istanza adesione interiore (quando davvero questo chiede) e questo può chiedere, come poi avrò modo di sostenere, solo a condizione che la richiesta avvenga in un contesto sociale di LAICITA’. 

Non amo la distinzione tra SACRALITA’ della Vita e QUALITA’ della Vita perché la trovo fuorviante, quasi che chi si esprime a favore di richieste come quella di Welby o per la diagnosi prenatale, accettandone i rischi, sia qualcuno che banalizza la vita.

Welby è stato chiaro: è perché amo la vita che scelgo di morire. 

Non si tratta di togliere dignità alla vita biologica ma piuttosto di riconoscere dignità anche ad altro, come appunto il suo livello qualitativo, come la salute, come la genitorialità, come la possibilità di prevenire malattie. Se la vita è valore lo è in un ventaglio di valori. Non possiamo più permetterci il lusso delle monarchie valoriali. Il dogmatismo così come il relativismo sono due punti di vista eticamente manlevanti: la responsabilità sta nel terreno intermedio dello scegliere ogni volta nella situazione specifica il valore a cui sacrificare i restanti. 

Il tutto è lecito e il niente è lecito appaiono come due punti di vista opposti nelle prescrizioni ma identici nella prospettiva assolutizzante.

Dire “tutto è lecito” infatti non è fare affermazione di relativo quanto di assoluto. 

La laicità come pluralizzazione delle opzioni è condizione perché possa esistere una DEMOCRAZIA che non sia semplicemente DITTATURA di una maggioranza ma sia invece terreno della espressione individuale, purché risulti essa compatibile col valore fondante della dimensione pubblica, non priva di una propria etica interna, ovvero la possibilità di CONVIVENZA e ARMONIZZAZIONE delle aspirazioni. 

A titolo di iperbole, non si potrà tollerare l’antropofagia perché contraddice la possibilità di convivenza, né il furto né qualsiasi comportamento antisociale.

Come antisociale è l’imposizione di valori controversi, generatrice di conflitti e negatrice di pari opportunità. 

Laicità è in ultimo garanzia di vita morale, nel momento in cui questa non può prescindere dalla scelta, che nel cattolicesimo peraltro si configura come LIBERO ARBITRIO.

Debole magistero morale è quello, nello specifico della Chiesa di Ratzinger, che vuol difendersi proibendo: segno di crisi e non di vitalità.

Dio non ha circondato l’albero della conoscenza del bene e del male di filo spinato ma lo ha reso raggiungibile e disponibile, proibendo solo moralmente di servirsene. Così l’uomo di fede non è obbligato a servirsi delle leggi con cui la politica, pluralisticamente orientata, rende possibile ad altri che sostengono altre ideologie di realizzare le proprie aspirazioni umane e valoriali

Il dialogo e non il filo spinato del proibire sono gli elementi che contrastano il relativismo e consentono di elaborare il conflitto.

Se c’è un contributo cristiano alla vita sociale, che la Chiesa  avrebbe ben ragione di fornire nel rispetto delle reciproche sfere sarebbe il principio di “fratellanza”, capace di contribuire, esso sì, all’armonia sociale, alla creazione del giusto, sottolineando aspetti dell’umano non riconoscibili nella dimensione economica. Di questo principio il mondo ha bisogno, posto che esso sottolinei un senso orizzontale della relazione, privo di autoritarismi e paternalismi. 

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