Arte oscena

ARTE OSCENA

Lo sperimentalismo estremo nel campo delle arti visive raggiunge sempre più spesso esiti che confliggono con il comune senso del bello e persino del pudore

ARTE OSCENA

Lo sperimentalismo estremo nel campo delle arti visive raggiunge sempre più spesso esiti che confliggono con il comune senso del bello e persino del pudore. Gli artisti d’avanguardia, infatti, sembrano farsi un punto d’onore nel prendere di mira proprio i gusti e i (pre)giudizi del cosiddetto uomo della strada, per lo più digiuno di storia dell’arte in generale e specialmente di quella contemporanea, in cui si è potuto discutere sull’artisticità dell’orinatoio di Marcel Duchamp e sulla famosa (tra gli addetti ai lavori) Merda d’artista del geniale Piero Manzoni, prematuramente scomparso nel 1963.


 

Esperimenti artistici estremi sono stati messi in atto alla fine degli anni Sessanta e per tutti gli anni Settanta del secolo scorso; tra questi spiccano quelli dei e delle bodyartist i quali e le quali, in una temperie culturale e massmediatica dominata dal tema del corpo, sulla scia degli happening e degli attori del Living Theatre, della lezione di Grotowski, di Eugenio Barba, di Peter Brooks, di Tadeusz Kantor e delle coreografie  di Mercier “Merce” Cunningham, tutti con il culto di  Antonin Artaud, dei  dadaisti e dei surrealisti, trattano il loro corpo come materia e forma delle loro opere, esibendosi in pubblico anche nudi o impegnati in performance sessuali solitarie, come l’americano Vito Acconci, o sadomasochistiche, ferendosi o facendosi ferire, eventualmente, dagli spettatori onde versare il loro vero “sangue d’artista”, come la francese Gina Pane e la iugoslava Marina Abramovic; per non parlare del caso-limite della Orlan (pseudonimo di Mireille Francette Porte, Saint-Etienne, 1947) che ha dichiarato: “Posso osservare il mio corpo sezionato senza soffrire.


 

Posso vedere me stessa fino in fondo alle mie viscere, sotto un nuovo punto di vista…”, e pour cause ha voluto sostituire, dal 1986 al 1993,  il suo atelier con il  tavolo operatorio sottoponendosi a ripetuti interventi di chirurgia plastica  che le hanno disfatto e rifatto diverse volte la faccia cambiandole letteralmente i connotati. Un caso diverso, ma non così estremo, di arte oscena, a mio parere, è rappresentato dalla quotata pittrice britannica Jenny Saville (Cambridge, 1970); perché considero oscena la sua pittura? Perché infierisce sui corpi nudi o sui volti delle sue modelle sfigurandoli come se queste fossero affette da patologie deformanti e ripugnanti; oppure dipinge provocatoriamente corpi di donne obese e sfatte esibendone le parti intime senza che se ne comprenda la necessità; o meglio, allo scopo, suppongo, di non nascondere niente dell’aspetto fisico di corpi già di per sé brutti e deformi.


 Leggo nel sito intitolato “Successo”: “Saville è lodata per la sua celebrazione della vernice e per la sua fedeltà alla pittura a olio. In una società di costante progresso tecnologico, Saville ha resistito alla tentazione dell’utilizzo multimediale e digitale come la realizzazione di video del suo lavoro e si è dilettata solo per breve tempo con la fotografia… insieme a Lucian Freud, è simbolo della pittura contemporanea britannica”. Sì, ma con una differenza: nei nudi di Lucian Freud (come in quelli di Francis Bacon) non c’è ombra di compiacimento, nessuna esagerazione o deformazione gratuita, si confronti il suo impietoso autoritratto in piedi con le anamorfosi patologiche della Saville e si comprenderà che cosa intendo dire. Tuttavia, quando tutto ,o quasi, è stato detto, rimane la libertà stilistica degli artisti e la libertà di scelta degli interpreti e dei critici d’arte, purché non si confonda la libertà con l’arbitrio e  il gusto dell’artista con il disgusto del riguardante (e viceversa). 

 

 Fulvio Sguerso

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