Apologia di Berlusconi

Apologia di Berlusconi
Scritta da un non berlusconiano

Apologia di Berlusconi
Scritta da un non berlusconiano

 Berlusconi è ormai un caso umano più che politico ed è insieme la rappresentazione icastica del paradosso del potere. Entrò in politica per raccogliere l’eredità dell’unico vero statista che l’Italia ha avuto nel dopoguerra, travolto da quella bomba a scoppio ritardato messa da Berlinguer sotto il tavolo della politica italiana. Craxi, oltre che “le mani pulite” (a differenza dei suoi accusatori), aveva la lungimiranza, l’intelligenza e l’apertura mentale nonché il carisma personale dello statista ma non aveva lo slancio temerario del leader: uomo pacato e con una umanità non tutta dissipata nella politica, gli mancava l’ebbrezza del potere e la capacità di subornare le folle. Berlusconi  aveva una solida cultura, una visione strategica delle cose e l’entusiasmo del trascinatore, era sicuramente un leader e poteva essere un grande statista. Nei tre governi che ha guidato non ha preso alcun provvedimento antipopolare; ha affrontato le emergenze con tempestività ed esponendosi in prima persona: prima di lui e soprattutto dopo di lui di fronte a disastri che hanno scosso il Paese abbiamo assistito a tentativi di minimizzare, di distogliere l’attenzione, di evitare il confronto diretto con le situazioni e i cittadini.


Lui, scavalcando inetti amministratori locali, liberò Napoli sepolta dall’immondizia, si precipitò a Lampedusa invasa dai clandestini, dette il meglio di sé in occasione del terremoto e coronò interventi di stupefacente efficacia per il nostro Paese facendo dell’Aquila la sede del G8 mentre, sembra incredibile, la nostra protezione civile diventava un modello per il mondo intero. Non c’è nessuna legge Fornero che gli si possa imputare, nessun inasprimento fiscale, nessun taglio allo stato sociale. Va anche ricordato che l’unico contratto decente per gli insegnanti nell’ultimo mezzo secolo, che portò, per un breve periodo, i loro gli stipendi a raggiungere la media Ocse, è quello quadriennio 2002-2005, quando il ministero era guidato dalla Moratti. Alla quale è legata una riforma abortita prima di vedere la luce, che se applicata secondo il suo originario spirito avrebbe potuto ridare credito e dignità al sistema formativo italiano. Sappiamo com’è andata: una gazzarra stupida e vergognosa, con argomenti falsi e pretestuosi, occupazioni e scioperi a oltranza, mobilitazione di un mondo accademico attento solo alla salvaguardia dei propri privilegi e a compiacere i politici di riferimento. Intendiamoci: chi lo aveva votato aveva ben altre aspettative, si era fidato e affidato al suo apparente slancio patriottico, al suo sbandierato anticomunismo, alla prospettiva di liberare il Paese dall’infezione della sinistra. Come ho scritto altre volte, è stato un clamoroso malinteso. Berlusconi era solo un moderato intenzionato a salvaguardare i suoi interessi, a non fare la fine di Gardini, a difendersi dal suo avversario in affari che godeva dell’appoggio della sinistra e della finanza internazionale. Ma non è certo per questo, per essere un moderato pronto a tappare qualche buco ma non certo a cambiare l’Italia, non è per questo che anche nei momenti di maggiore popolarità ha dovuto fare i conti con l’ostilità di buona parte della pubblica opinione aizzatagli contro dai reggicoda del suo nemico personale.  Non c’era mai stato in Italia, e forse in tutto l’Occidente, un esponente politico capace di suscitare tanto livore, tanto odio.


Si dirà: Mussolini è stato ammazzato come un cane, il suo cadavere è stato calpestato e vilipeso, i milanesi che hanno sputato e orinato sopra il suo corpo non hanno incontrato nessuno che li abbia fermati o che abbia manifestato orrore e disgusto. Ma quando è successo Mussolini era diventato il capro espiatorio di un Paese sconfitto, umiliato, conscio della perdita del proprio onore e della propria dignità. Mussolini da vivo non era odiato e meno che mai disprezzato; al contrario, incuteva rispetto e timore ai suoi avversari e, a proposito del moralismo che si è rovesciato addosso a Berlusconi, nessuno si è mai azzardato a rinfacciargli la dissonanza fra la sua immagine di padre di famiglia e di tombeur de femmes.  >Mussolini era un vero capo, non un semplice leader di partito. E lo era perché fondamentalmente solo e psicologicamente in grado di reggere la solitudine; il suo rapporto con la folla era a senso unico, non era uno scambio ma il controllo esercitato da chi sa di essere un gradino sopra e costringe l’altro all’assenso; non lo chiede e non ne è gratificato perché lo considera un atto dovuto e inevitabile. In altre parole: il Duce non cercava di piacere o di essere amato. Semplicemente intendeva imporsi, e, aggiungo, se lo poteva permettere, come si poteva permettere di fare emergere le migliori intelligenze e le più forti personalità del Paese.


Berlusconi non ha semplicemente evitato chiunque gli potesse fare ombra, questa è una debolezza di tanti uomini di potere, non solo si è circondato di maggiordomi ma ha dimostrato di essere assolutamente incapace di sopravvivere all’isolamento, di poter fare a meno dell’affetto, della simpatia più ancora che dell’ammirazione, di un rapporto umano e cordiale con gli altri. Si dirà: ma questo è un bene, è un tratto positivo della sua personalità. Assolutamente no. In generale nessuno deve agire per far piacere agli altri, per farsi piacere dagli altri; figuriamoci un politico o addirittura un capo. Il capo deve agire per il bene della comunità che si è affidata a lui, e deve farlo all’interno di un sistema di idee e di valori che danno senso e coerenza alle sue scelte. In tutta la mia carriera di insegnante ho sempre diffidato dei simpaticoni, di chi ostentava atteggiamenti amichevoli, di quanti cercavano di farsi benvolere dagli studenti, in genere con pessimi risultati. È molto più difficile conquistarsi il rispetto, che cresce e mette radici profonde, che la simpatia, per di più effimera e solo apparente. Berlusconi ha confuso la politica con lo spettacolo e ha trattato i cittadini come pubblico, spettatori o telespettatori. 

E ora lo vediamo amareggiato volgersi in intorno per cercare il calore di una folla che non c’è,  costretto ad assistere al successo di un ragazzone che non cura troppo il suo aspetto o il suo abbigliamento, che non usa tattiche seduttive, che non cerca di essere amato ma capito. E visibilmente soffre. Giornalisti e opinion maker hanno enfatizzato la sua uscita al termine della consultazione col Capo dello Stato come un coup de théâtrestudiato per spiazzare Salvini. Bastava vederne l’espressione angosciata, il tremore di tutto il corpo, ascoltare il tono agitato della voce per capirne la spontaneità e l’improvvisazione e per cogliervi uno sconforto e un’amarezza che possono anche suscitare pietà ma politicamente avranno effetti devastanti. Perché, una volta elaborato il lutto, lo sconforto si trasformerà in rabbia, il suo gioco diverrà più duro e più scoperto e finirà per costringere il suo alleato-rivale a reagire nel momento e nei modi più sbagliati. E se a questo si aggiunge il delirio demenziale dell’ex numero due del movimento, specchio di che razza di persone hanno portato alla ribalta i Cinquestelle, finirà che il voto popolare non è servito a nulla. Mattarella, Gentiloni, tutto il Pd e la sinistra spacchettati ma pronti a ricompattarsi e in primisi burocrati di Bruxelles ringraziano.  Bastava vellicarne la vanità, accompagnarlo alla porta con simpatia e dargli l’illusione di essere il padre nobile di una delle due parti destinate naturalmente convergere. Ma ci sono troppi nani (anche alti due metri) che per semplice stupidità, interesse o servilismo possono bloccare l’ingranaggio della Storia. 

  Pier Franco Lisorini

 Pier Franco Lisorini è un docente di filosofia in pensione

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.