ANNI BUI PER L’OCCIDENTE

Bui soprattutto per l’Europa a causa del suo servilismo verso gli Stati Uniti. Il gruppo dirigente arroccato a Bruxelles non ha una strategia sua propria, bensì una fotocopia di quella americana, che ha sinora funzionato affliggendo i Paesi non allineati con due direttive: sanzioni e dazi (e spesso peggio, al rombo dei cannoni). Questo atteggiamento da padroni del mondo ha finito col generare nei destinatari una crescente avversione per i simboli del potere dominante: il dollaro, l’IMF e la World Bank, responsabili di aver rovinato la parte più debole, etichettata con sussiego some il “Sud del mondo”, attraverso prestiti capestro, tramutatisi nel tempo in debiti insolvibili, se non cedendo ai creditori le loro principali risorse.

Ho scelto questa immagine, dell’eroe greco Aiace Telamone che si trafigge con la propria spada, quale efficace simbolo della strategia UE durante la guerra russo-ucraina

Va anche detto che il saccheggio dell’”altro mondo” era stato praticato da secoli dai loro progenitori europei, che oggi infatti subiscono la stessa sorte degli americani, anche se il colonialismo, quello dei negrieri con la frusta in mano, è ufficialmente finito; ma persiste nelle pratiche di sfruttamento dei territori e nella supremazia finanziaria, i cui principali hub risiedono a Londra e New York, dove operano i discendenti degli antichi banchieri truffaldini, col vizio di prestare denaro che non hanno, ma che conferisce loro il predominio su intere nazioni, a partire da quelle di loro stessa residenza.
Era inevitabile che, prima o poi, l’odio verso i parassiti-padroni sarebbe sfociato in un movimento antagonista coinvolgente la maggior parte dei Paesi succubi del dollaro e, in subordine, dell’euro: i BRICS, oggi in rapida crescita di adesioni; ultime Indonesia e Cuba.

Le nazioni BRICS ad oggi includono oltre la metà della popolazione mondiale e il 41% del Pil globale

Peraltro, il Pil è una misura distorta della capacità produttiva di una nazione. La barra blu mostra, dal 2022 al 2024, quanto esigua sia la produzione di beni manifatturieri negli USA rispetto a quella fine a se stessa (barra marrone) dell’acronimo FIRE (Finance, Insurance, Real Estate), più i servizi professionali e imprenditoriali (barra azzurra). [VEDI]

Oggi vediamo un baldanzoso Donald Trump, non ancora insediato alla Casa Bianca, che lancia minacce urbi et orbi di dazi e sanzioni anche verso i suoi alleati più proni, come l’UE, se non aumenta gli acquisti di gas e petrolio dagli USA, a pezzi quadruplicati rispetto alla Russia; con ciò confermando quanto fosse di esclusivo vantaggio per gli americani il rigetto europeo per gas e petrolio russi. Altro che nobili motivi di soccorrere una nazione aggredita.  E, una volta resici dipendenti da questa fonte a caro prezzo, con l’industria europea a pezzi e un’inflazione erodente il potere d’acquisto dei cittadini europei, lo yankee promette barriere daziali ai nostri prodotti, per portarci dritti alla rovina. I salamelecchi atlantici di Giorgia Meloni non riescono a convincermi del contrario.

Di primo acchito, mi inorgoglisce che la nostra Giorgia Meloni sia così circuita dai vertici americani. Ma c’è una famosa frase di Henry Kissinger che dovrebbe metterla in guardia: “Essere nemici degli USA può essere pericoloso, ma esserne amici è fatale”. Aggiungo la recente battuta di Romano Prodi, che attribuisce la fortuna delle sue arti seduttive al fatto di compiacere (“ubbidire”) i suoi potenti interlocutori

Non tutti gli europei sono genuflessi di fronte al gran capo d’Oltreatlantico; e Ungheria e Slovacchia, sino all’anno scorso ancora beneficiari di prodotti energetici russi, stanno battendo i piedi e minacciano addirittura di passare ai vituperati BRICS e godere dei benefici negati dall’UE.
In questo contesto è d’obbligo parlare dell’evento che ha causato tutto questo scompiglio: la guerra in Ucraina. L’ultima -brutta- sorpresa arriva proprio da là, con la decisione di Zelensky di non rinnovare il contratto che permetteva il transito del gas russo verso l’Europa attraverso l’Ucraina. In aggiunta al precedente sabotaggio del North Stream 2, l’Europa s’è vista tagliare dall’oggi al domani il cordone ombelicale che manteneva in vita le sue attività industriali e private. Giustamente Fico, premier slovacco, si chiede che senso abbia continuare a dare armi e soldi al sig. Zelensky, quando questo ci chiude il rubinetto indispensabile alla nostra economia.

Il video del recente attentato (24/05/2024) a Robert Fico. Marciare controcorrente è molto rischioso

 Persino la Germania, fino a ieri stupida quanto fervente fiancheggiatrice dell’Ucraina, con la crisi colossale in cui versano le sue fabbriche e la caduta di un governo così auto-distruttivo, per tentare di salvare un briciolo di dignità di fronte all’imminente elettorato, ha ridotto del 50% soldi e armamenti all’Ucraina.

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Non il 100%; non sia mai. La demenza del primo ministro Olaf Scholz, nel tentativo di non sconfessare del tutto il suo precedente operato, è ancora più stridente.
Meno evidente è la posizione della nostra Meloni, che non perde occasione per rinnovare l’appoggio dell’Italia all’Ucraina. Un appoggio che agli italiani ha provocato solo guai, vuoi per la risultante inflazione, vuoi per la crisi del settore industriale, costretto a produrre beni fuori mercato internazionale. Mentre si spendono miliardi per una causa persa, si immiseriscono settori fondamentali come la sanità, si lesinano aumentini umilianti alle pensioni già indecorose della fascia più debole della società, si sottraggono risorse a infrastrutture vitali, come quella ferroviaria, ecc. E, quasi non bastasse, abbiamo un Trump, che, non accorgendosi che lo scettro del comando mondiale gli si sta sgretolando tra le mani, impone all’UE non più di alzare le spese militari al 2%, ma addirittura al 5% del Pil. Pena dazi e sanzioni, tanto per non smentirsi. Ci manca solo l’obbligo di raggiungere tale obiettivo mediante l’acquisto esclusivo di armamenti americani. D’altronde, è chiaro che per Trump la vecchia Europa è vista solo come un peso, un relitto del passato.
E tutto questo profluvio di armamenti, per quale impiego? Per prolungare all’infinito la guerra in Ucraina. Una guerra che, grazie alle forniture di USA e UE, avrebbe dovuto dissanguare la Russia…
D’altronde, gli stessi ucraini sono contrari a combattere contro i cugini russi. I vagoni carichi di soldati morti nel conflitto sono il miglior incentivo per non condividere le velleità belliche di un governo che proprio dalla guerra trova soldi da deviare in buona parte dalle finalità dichiarate. I dati parlano chiaro: il numero di defezioni e diserzioni è in continuo aumento. Sommati ai caduti in guerra, ciò significa carenza di soldati, tanto da spingere il governo a coscrizioni coatte tra i civili e al loro invio direttamente al fronte, senza adeguato addestramento: carne da cannone, mutuando il termine dalla Prima Guerra Mondiale.

“Gli USA minacciano l’ICC (Int’l Criminal Court) e i propri alleati a sostegno di Israele”. Nonostante il mandato di cattura spiccato a Netanyahu per il genocidio israeliano a Gaza, e la solidarietà di tutto il mondo occidentale con la Corte, nulla può scalfire l’alleanza d’acciaio USA-Israele, qualunque crimine Israele commetta

Oltremodo eloquenti le confessioni di soldati catturati, specie mercenari stranieri, che riferiscono il morale serpeggiante tra la truppa: sentirsi abbandonati e mandati allo sbaraglio. Ci sono frequenti episodi di contingenti che, di fronte al perentorio dilemma, lanciato da droni russi, di arrendersi o morire, si arrendono in massa o fuggono, lasciando dietro di sé dei veri e propri bottini di armi occidentali imprudentemente inviati a Kiev soprattutto da USA, Germania e UK.
Per concludere, abbiamo nel Vicino Oriente due guerre, una in Ucraina e l’altra scatenata da Israele ben al di fuori dei propri confini. Entrambe si reggono in buona parte sull’identificazione con le guerre stesse dei rispettivi premier: Netanyahu, che non sa che destino lo attenderà alla cessazione delle attività, pendendo sul suo capo un mandato di cattura internazionale (e altri procedimenti penali in patria); e idem vale per Zelensky, il cui mandato è scaduto da un pezzo, ed è improbabile che la popolazione rieleggerebbe il responsabile dell’escalation di una guerra persa in partenza e le centinaia di migliaia di morti, feriti e rovinati mentalmente che questa guerra, come ogni altra, lascia come atroce bilancio finale. E noi italiani -spero- ne siamo ben consci, dopo due Grandi Guerre nel nostro passato recente a fungere da ammonimento.
Un’ultima, grottesca notizia: il burbero Donald Trump, nel suo delirio di imperiale onnipotenza, adesso pretende: 1) di annettere agli USA, volente o nolente, la Groenlandia come 51° Stato (sorvolando sul fatto che, sia pure non ufficialmente, Israele occupa già quella posizione); di fare altrettanto col Canada; di riprendere il controllo diretto di Panama.

Mappa centrata sul Polo Nord. Non giudicando sufficiente la protezione di due oceani ai suoi lati, Trump vorrebbe ora garantirsi anche le spalle dalla possibile minaccia dell’”orso russo”, inglobando Canada e Groenlandia nel territorio americano. Coi soldi o con la forza. Dopo aver criticato e osteggiato Putin, che agì in difesa da un nemico assediante, Trump non esiterebbe a fare altrettanto a spese di due pacifici vicini dell’area occidentale

Come giustifica tutto ciò? “Motivi di sicurezza”, ossia gli stessi usati da Putin per invadere l’Ucraina, scatenando le ire funeste degli scandalizzati occidentali. Ma con una enorme differenza: Putin riteneva che la Nato, sua avversaria, avesse superato ogni limite nel suo progressivo accerchiamento della Russia, con l’Ucraina che da anni spasimava per passare al nemico, istituito ai tempi della guerra fredda proprio per fronteggiare eventuali mire bellicose della Russia. Mire che, a mio modesto giudizio, Putin non aveva, e non ha nei confronti dell’Europa, di cui essa stessa fa parte. Altra invece è la posizione di Trump, che pretende di inghiottire due nazioni amiche, come il Canada e la Groenlandia, la seconda di proprietà della Danimarca, quando entrambe non hanno mai manifestato la minima intenzione di minacciare gli Stati Uniti. E poi, che prezzo puoi dare ad una nazione? I prezzi pagati in passato suonano come irrisori anche se attualizzati: basti pensare all’Alaska, ceduta nel 1867 dalla Russia agli USA per $ 7,2 milioni (oggi sarebbero ca. $ 135 milioni) [VEDI]
Insomma, gli appetiti americani, a giudicare della loro bulimia di potenza, non cambiano certo con il passaggio da un presidente all’altro. Ma il mondo non più è disposto a pagare il loro tenore di vita sulla propria pelle. E un nuovo assetto mondiale sta cambiando regole e alleanze internazionali. C’è da sperare che anche l’Europa (non l’UE, in mano a menomati mentali) decida presto di sganciarsi dall’invadente e arrogante alleato e procedere per la propria strada indipendente e sollecita in via prioritaria degli interessi dei suoi cittadini.

Marco Giacinto Pellifroni     12 gennaio 2025

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One thought on “ANNI BUI PER L’OCCIDENTE”

  1. Marco: come sempre i tuoi articoli realistici e concreti. Non solo sei un reale scrittore di articoli veritieri; ma sei un uomo di grande cultura Internazionale. Ti faccio
    miei complimenti.

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