A VOLO D’UCCELLO

Flotilla e dintorni
In certi momenti mi e sembrato di tornare agli anni ’60, quando le piazze si infiammavano per la guerra in Vietnam. Era comunque un bel pezzo che non si assisteva ad una mobilitazione trasversale di così vasta portata.
Mi dispiace soltanto che la spinta ad uscire di casa e protestare abbia motivazioni lontane dai nostri confini; mentre ce ne sarebbero a iosa per un cumulo di decisioni -o mancate decisioni- da parte del governo Meloni. Nonostante i famosi conti in ordine, almeno come deficit/pil, e piazza Affari in perenne euforia, c’è un diffuso malessere, sino all’incapienza, delle classi medio-basse, alle prese con un rincaro generalizzato, in particolare dei beni di prima necessità.

Milano in piazza a sostegno della Flotilla alle prese con la marina militare israeliana

Dai dati Istat emerge che sono in crescita i lavoratori autonomi (partite Iva), mentre latitano nuove assunzioni, specie a tempo indeterminato.

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Del resto, automazione, digitalizzazione e, più di recente, intelligenza artificiale, non fanno che falcidiare posti di lavoro, mentre arricchiscono i soliti beneficiari ai vertici. Un fenomeno che spinge chi non trova impiego a inventarsi un lavoro dal nulla, “creativo”, startup, che premia soltanto un’esigua frazione della folta schiera di avventurosi che diventano imprenditori non per scelta ma per necessità, o per meglio dire, troppo spesso per disperazione.
Il popolo delle piccole partite Iva è in crescita involontaria quanto inarrestabile, ma di loro nessuno si cura.
L’ineffabile Landini, tanto pronto a lanciare uno sciopero generale a sostegno dei Gazawi, in patria si occupa solo dei già tutelati o in procinto di perdere il lavoro: stipendiati o salariati. Quanto alle due grandi associazioni del commercio, Confesercenti e Confcommercio, hanno a che fare con tanti piccoli esercenti, slegati tra loro e maldisposti a fare una serrata, perdendo gli incassi, mentre corrono senza tregua tutte le spese fisse che già faticano a coprire: affitto, mutuo, fornitori, tasse, imposte, contributi, tanto più salati quanto minore il numero di lavoratori rispetto al crescente stuolo dei pensionati.

La nascita, vista un tempo come benedizione e sostegno nella vecchiaia, oggi rappresenta sin da subito una spesa protratta negli anni, senza più garanzia di futuro sostegno, trasferito all’Inps (finché reggerà)

Gli autonomi, spesso peraltro solo di nome, ma in realtà dipendenti a tempo determinato, onde pagare meno tasse e contributi, è pertanto una vastissima categoria di lavoratori che vivono allo sbaraglio: l’incertezza del futuro e l’incidenza crescente sul budget famigliare dell’arrivo di un figlio, non sono certo incentivi ad allargarne il numero di componenti. Con buona pace delle esortazioni della destra verso una realtà, come la famiglia, in via di implosione.
Usando una vetusta espressione, includerei gli autonomi nella vasta platea della “maggioranza silenziosa”, che ha pochissimi diritti e tanti doveri. Eppure, credo rappresentino una bella porzione di coloro che hanno portato, col loro voto, Giorgia Meloni a Palazzo Chigi. Ma la bionda signora ha sempre la testa nei grandi eventi internazionali: almeno avesse intrapreso le strade giuste; al contrario, allineandosi ai bancarottieri di Bruxelles, all’ondivago Trump e al pozzo senza fondo dell’Ucraina, tagliandosi i ponti alle spalle con la Russia, ha infilzato una serie di fallimenti che paghiamo e pagheremo noi italiani. Mentre si parla di riarmo, un numero crescente di poveri riceve aiuti irrisori o nulli.

Fa più audience parlare di poveri lontani che di quelli nostrani, che mancano di visibilità. Prendiamo le pensioni “da fame”. Le si adegua con un criterio paritetico a quello con cui si adeguano le pensioni più alte, in %. Il che si traduce in aumenti irrisori, che lasciano le disuguaglianze tali quali

Diritti internazionali
Da quanti anni l’Italia si sente ripetere dalla UE e dalle varie ONG, finanziate da personaggi opachi, dalla finanzia speculativa (Soros) a circoli cattolici, dal Vaticano alla Germania, che la legge del mare impone di salvare vite in pericolo, a prescindere da chi le pone in quella condizione, ricattando e illudendo masse di disperati.
Ebbene, oggi, da quegli scranni, così scrupolosi nel richiedere l’applicazione dei diritti internazionali, si sente oggi proporre di disporre liberamente di € 140 miliardi sequestrati alla Russia e depositati presso Euroclear, usandoli come “sottostante” per un prestito equivalente, “per riparazioni” dei danni subiti dall’Ucraina. [VEDI] Ma poiché i proponenti si rendono conto che l’azzardo legale è altissimo, anticipano che, in caso di soccombenza, ne risponderebbero i cittadini europei. A parte che un progetto simile dovrebbe portare in piazza non solo gli italiani, ma la totalità dei cittadini europei, l’immagine dell’UE ne uscirebbe distrutta, alla pari di una colossale ruberia di stato, pardon, di stati. Sarebbe l’emulazione delle innumerevoli sanzioni che hanno offuscato l’affidabilità degli USA e, più recentemente, della stessa UE. Con l’aggravante del furto, in flagranza di reato.

Sguardo d’intesa tra due cobelligeranti per siglare un furto da € 140 miliardi russi depositati in Europa. Un motivo in più per i Paesi extra-europei di non fidarsi affatto dell’onestà dell’Occidente

Il resto del mondo ha preso e sta prendendo nota (e ritirando senza clamore quanto investito in Occidente). E ulteriori misure cautelari per il futuro sono in atto ormai da anni e hanno portato alla formazione di un’alleanza dei c. d. Paesi del Sud del Mondo. Putin, dal canto suo, bollando il provvedimento come un aperto latrocinio da parte dell’UE, ha annunciato che ricorrerà in tutte le sedi opportune per farlo riconoscere come tale, e per imporre a chi ha rubato di restituire il maltolto. In tal caso si rivelerebbe che l’UE gioca d’azzardo coi soldi dei suoi cittadini.

Il disincanto di Merz
Arrivato al potere dopo una serie di scelte sbagliate del suo predecessore Schulz, il nuovo cancelliere è partito lancia in resta a fare grandi progetti per far tornare la Germania grande come nell’era Merkel. (Ormai tutti sognano i fasti di tempi passati). Si è ritrovato una Germania in recessione e incapace di riprendersi. Grandi società hanno dovuto addirittura chiudere stabilimenti, ridimensionare la produzione e licenziare migliaia di lavoratori. La pressione dei big CEO è stata formidabile, e alla fine l’uomo non ha potuto fare a meno che trasferire il biasimo sulla sua connazionale Ursula per l’improvvida decisione di appoggiare Kiev, nonostante i pesanti sospetti sulla loro paternità nel sabotaggio dei 2 North Stream, fonti basilari del perduto benessere.

La differenza di statura tra Merz e Meloni riflette graficamente il diverso peso economico di Germania e Italia, visualizzato nel c. d. spread. Le scellerate scelte di politica estera dell’UE hanno penalizzato soprattutto la Germania, con lo spread in calo e la ricomparsa della disoccupazione, soprattutto a causa degli eccessivi ingressi di migranti (5 milioni) quando la vacca era grassa

Merz ora rivendica una maggiore autonomia e il ritorno della centralità di Berlino nelle decisioni importanti a livello europeo, dopo anni di stolto appoggio ai burocrati di Bruxelles. Non volendo far marcia indietro, dopo la pluriennale esposizione cruenta contro la Russia, Merz ha pensato bene di passar sopra ai “sacri principi” di frugalità nella spesa pubblica, per accontentare la grande industria tedesca, con la conversione di impianti meccanici in fabbriche di armi. Conto della spesa: € 500 miliardi. E Bruxelles dovrà farsene una ragione: è la grande Germania, bellezza, che decide del proprio destino. E non rischia la graticola su cui sono stati messi Orbàn, il guerriero ungherese, e il suo omologo slovacco Fico, entrambi abbarbicati al gas e petrolio russi, in plateale disobbedienza.
Problema risolto? Neanche per idea. A parte l’assottigliamento dello spread rispetto agli altri stati europei (Italia in primis), per la prevista incidenza degli interessi su un simile importo verso una nazione che non brilla più per solidità e stabilità come la Germania ante-2022, alla base di tutto c’è il maggior costo delle materie prime rispetto a solo pochi anni prima. Senza gas e petrolio russi, si parte in salita, irrimediabilmente meno competitivi rispetto ad altre nazioni che non hanno quella palla al piede: la stessa Russia, Cina, India, USA. Scelti così, a caso…
E quanto sopra vale anche per l’Italia. Del resto, chi è causa del suo mal, pianga sé stesso.

Marco Giacinto Pellifroni   5 ottobre  2025

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One thought on “A VOLO D’UCCELLO”

  1. Per deformazione professionale e un po’ di masochismo seguo la rassegna stampa, i telegiornali e i dibattiti televisivi. Ho imparato a conoscere le “grandi” firme e gli illustri ospiti dei talk show, da Caprarica a Pasquino passando per Verderami, Sallusti, Cappellini o pezzi da novanta importati come Friedman o Bernard’Henri Levi.
    E devo dire leggere le analisi di Pellifroni è come uscire all’aperto dopo essere stati chiusi in una cloaca.

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