A COSA SERVONO I GOVERNI

A  COSA  SERVONO  I  GOVERNI

A  COSA  SERVONO  I  GOVERNI

Il Belgio è da 14 mesi senza un governo e se la sta cavando egregiamente, nonostante un debito pubblico elevato (il 3° d’Europa), ma con una buona crescita del PIL (+ 2,4%).

Questa situazione ci porta e riflettere sull’Italia che, nonostante abbia un governo che proprio non ne vuol sapere di andarsene, ha il debito pubblico (o quello che tale continua a chiamarsi) più alto d’Europa e 3° al mondo (dopo Giappone e USA), e una striminzita crescita sotto l’1%.

Anarchici e liberali concluderebbero, i primi affermando che ciò dimostra l’inutilità dei governi, i secondi citando Thomas Jefferson o H. D. Thoreau quando scrivono che i governi governano tanto meglio quanto meno sono presenti, o addirittura assenti.

Le tre gambe su cui si reggono le nazioni moderne sono: il Parlamento (che legifera), la magistratura (che vigila sul rispetto delle leggi) e il governo (che ne cura l’esecuzione). 

Orbene, da noi il Parlamento lavora pochissimo, sia in termini temporali che di produzione legislativa. Di contro, lavora molto la magistratura, alle prese con una galassia politica e parapolitica dedita ad ogni genere di reati contro l’erario, come il fiorire di indagini e richieste di arresti di pubblici amministratori non fa che portare alla luce. E lavora molto anche il governo, ma non per agevolare il buon andamento dell’economia generale (ne dà atto la recente petizione trasversale firmata da associazioni di imprese e sindacati), bensì per provvedere massime all’incolumità del suo capo, sommerso di inchieste penali una minima frazione delle quali consiglierebbe a chiunque nella sua posizione di fare non uno ma cento passi indietro. Siamo all’assurdo che la maggioranza delle leggi non provengono da proposte parlamentari, come sarebbe normale, ma dall’esecutivo, che legifera senza sosta, preoccupato esclusivamente di rimanere al potere, non importa se anche in virtù –o meglio per colpa di- leggi ad personam che, per salvare un uomo, salvano anche migliaia di delinquenti. Senza vergogna, anzi con l’arroganza di chi sfoggia il coltello dalla parte del manico.

L’Italia è ormai ostaggio di una cricca di avventurieri della politica che stanno lì solo per farsi gli affari (spesso malaffari) propri; solo per caso gli affari nostri. Altrove, per molto meno, si dimettono politici di primo piano, addirittura primi ministri, come Zapatero in Spagna. Da noi no, in primis perché il nostro premier sa che, sceso da quella poltrona, avrebbe ottime probabilità di varcare le patrie galere; e in secondo luogo, perché una parte comunque consistente della popolazione non si consola affatto pensando a un nuovo centro-sinistra al governo, e accetta così lo status quo come male minore.

Nel frattempo, l’Italia è sotto attacco, a partire dalla persona che ha sinora predicato il rispetto delle regole e la trasparenza di comportamento: Giulio Tremonti, sospettato di aver pagato metà dell’affitto della sua casa romana in nero. Proprio lui, che ha fatto varare una legge per far emergere gli affitti in nero e limitare il fenomeno!

Uomini come Tremonti e Berlusconi, ormai al termine della loro parabola, dovrebbero trovare il coraggio di riscattarsi in extremis, optando per quella che un tempo si chiamava la “bella morte” (politica, nel loro caso), e cioè raccontare agli italiani come funziona davvero il sistema monetario, come ne veniamo tutti rapinati in modo subdolo, senza che ce ne accorgiamo, se non nei risultati devastanti cui stiamo assistendo:

 

Stati sovrani, persino Stati “impensabili” come gli USA con rating AAA, sull’orlo del collasso finanziario, a causa di un debito pubblico che non fa che crescere per la codardia degli Stati stessi nel negarsi la facoltà di provvedere al proprio fabbisogno monetario senza passare per le forche caudine delle rispettive banche centrali; denunciare come tutto cambierebbe in meglio se gli Stati, a cominciare dall’Italia, non dovessero più finanziarsi con l’emissione perpetua di BOT, BTP, ecc. (al ritmo di € 1900 l’anno), gravati di interessi in balìa di agenzie di rating e speculazioni internazionali, bensì con banconote pubbliche, interest-free. La vitalità economica nazionale troverebbe riscontro soltanto nella nostra valuta, in proporzione allo stato di salute della bilancia commerciale con l’estero.

Ciò comporterebbe l’uscita dell’Italia dalla zona euro. Ma, dopo 10 anni dall’euro-conversione, il bilancio è tutt’altro che positivo, con una caduta del potere d’acquisto di oltre il 60%, mentre il vantato effetto scudo dell’euro sulla tenuta della nostra economia non c’è stato, se oggi ci troviamo in una situazione analoga a quella del 1992, quando iniziò la marcia verso l’euro. Non per niente stanno prendendo consistenza da parte di varie entità finanziarie progetti di ritorno al gold standard, nonostante l’allergia dei banchieri per l’oro, “relitto del passato”.

Certo, ridare allo Stato l’autorità –costituzionale- di battere moneta propria, anziché prenderla virtualmente “a prestito” da una banca centrale, che in realtà funge solo da tipografia, senza alcuna garanzia di solvibilità, richiederà il ritorno ad uno Stato responsabile sotto il controllo del massimo organo delegato a far rispettare i principi costituzionali: un Presidente della Repubblica che abbia il potere di intervenire laddove si riscontrino sprechi e corruzione per difendere il potere d’acquisto della moneta repubblicana. E che quindi non avalli, ma anzi contrasti, lo sperpero di denaro pubblico dovunque ci sia, a cominciare dalle missioni di “pace” in teatri di guerra, fino ai privilegi parassitari di quanti ruotano intorno alla politica (1.300.000 a quanto emerge da una recente ricerca). L’attuale  Capo dello Stato, al contrario, difende le nostre missioni militari e ha legittimato la proprietà privata della Banca d’Italia in uno dei suoi primi atti dopo l’insediamento al Quirinale. Né mi pare si sia mai espresso col necessario vigore contro gli sprechi della pubblica amministrazione e gli stipendi /pensioni d’oro.*

 Scelte così controvento richiedono un coraggio che solo chi non ha più niente da perdere è in grado di prendere. Certo non politici “in carriera”’, troppo preoccupati di non “dispiacere” a questa o a quella fazione o corrente partitica.

Naturalmente né Berlusconi né Tremonti troveranno la stamina di fare un passo simile, eppure sono gli unici che, vista la posizione che tuttora occupano, sarebbero in grado di farlo. Ma è una pretesa eccessiva quella di chiedere ad uomini dediti alla res publica, almeno al loro crepuscolo, di pensare al bene comune come fosse il proprio?

* Ultima ora: leggo che di qui alla fine del mandato Giorgio Napolitano rinuncerà agli aumenti automatici del suo appannaggio; e restituirà 15 milioni risparmiati dal Quirinale dall’epoca del suo insediamento. Non esplicita però l’importo che percepisce né quanto il Palazzo costa. Forse perché stipendio e spese del Palazzo apparirebbero spropositati, e quindi  irrisori i risparmi.

 

Marco Giacinto Pellifroni                                               31 luglio 2011

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