A cosa serve la politica
In vista delle elezioni europee del prossimo 8 e 9 giugno, è ripartito con gran forza il carrozzone della propaganda politica.
La politica è un’arte o tecnica – i termini sono altrettanto equivalenti – ed è fuorviante distinguerla dalla “partitocrazia”, termine che serve a caratterizzare con maggiore evidenza il sistema politico italiano fondato sui partiti.
Così che, quando si riparla di riforma costituzionale, l’accento cade sempre sul fondamento del nostro sistema politico, basato per l’appunto sul governo dei partiti, sottolineando anche come la nostra sia ed è piuttosto una Repubblica parlamentare.
E tuttavia, ciò che, almeno in passato, ha sempre caratterizzato l’arte o tecnica della politica è, comunemente detta, la decisione.
Due giorni fa, il nostro “premier” – tecnicismo inglese divenuto ormai anche qui da noi d’uso quotidiano – Giorgia Meloni ha lamentato il fatto che, negli ultimi tempi, la politica abbia lasciato la decisione – in definitiva sulle nostre vite (!) – alla scienza, lasciando che per tutti noi la nostra “comodità” prendesse il sopravvento sulla nostra “libertà”.
Personalmente, non credo che il termine “comodità” serva in modo appropriato al discorso svolto, ma Giorgia Meloni ha senz’altro colto il nodo centrale della questione, che attiene – ma solo in modo indiretto – alla decisione. Politica, scientifica o entrambe che sia.
Da quando è diventata premier, il nostro Presidente del Consiglio dei Ministri ha sempre detto e ribadito che sua “stella polare” è la riforma del premierato, al punto che ha detto di essere disposta a lasciare finanche la politica se la riforma del premierato, oggi in discussione, sarà approvata in modo definitivo.
I partiti di opposizione contestano la riforma del governo in questione perché, in definitiva, dicono basata sulla decisione di un “capo”.
Ma, per niente banalmente: “cosa fatta capo ha”; frase che, riportata nella Divina Commedia, introduce alla causa di rappresentazione e quundi divisione tra i “guelfi” e i “ghibellini”.
E tuttavia quest’ultimo è stato piuttosto un excursus che ci ha condotti lungo una via secondaria dell’intero discorso.
A differenza di ciò che invece accade “lungo il (corso del) mantenimento dell’essere” di cui ci dice Martin Heidegger interpretando il detto e il pensiero iniziale di Anassimandro, comunemente posto a fondamento dell’intera nostra “classicita’”.
L’arte o tecnica del “mantenimento” – posta in capo all’essere che è e non può non essere – disvela il senso più profondo delle nostre umane esistenze, affidate, in qualche modo, a una decisione capace di renderci – mediante l’esercizio di un’arte o tecnica che deriva dalla politica o dalla scienza o da entrambe – più “padroni” o più “servi” di noi stessi.
E così, grazie anche a Giorgia Meloni, sembra proprio di ritornare sui “sentieri interrotti” della perenne tradizione, “che’ la dritta via era smarrita”.