A COSA (O A CHI) SERVONO LE TASSE? I°
È un interrogativo che mi sono posto esattamente 20 anni fa; e la risposta è sempre la stessa. Elementare. Ma chi ne trae immensi benefici ci fa credere che questo sia il migliore, e unico, sistema economico possibile. Così come, al crollo del muro di Berlino e del comunismo nel 1989, ci dissero lo stesso del sistema capitalista, neoliberista e globalista.
D’altronde, ciascuno di noi nasce in un determinato contesto economico, politico e sociale; e non riesce ad immaginare, se non nella fantasia, o frugando nella storia, che possano esserci sistemi alternativi. Magari migliori. Se tuttavia osa parlarne con i “grandi”, viene redarguito ed esortato ad adeguarsi al sistema vigente. I media servono a questo.

I giornali sono stati i primi “influencer” di massa ante litteram, forgiatori del pensiero dominante; seguiti poi dalla televisione. Oggi, chi vuole informazioni oscurate dai media deve avventurarsi su libri di bassa diffusione e su canali Internet alternativi, usando però la massima cautela nel cernere quelli più affidabili
Ma vediamo di dimenticare la vulgata esistente e di delineare un sistema economico meno opprimente, nel quale i soldi delle tasse servano a soddisfare le esigenze della società, senza deviazioni verso utilizzi ad essa estranei, o addirittura nocivi.

PUBBLICITA’
Prendiamo come riferimento l’anno appena trascorso.
A novembre 2024 il debito pubblico ha superato i € 3.000 miliardi (o € 3 trilioni). [VEDI e VEDI] Probabilmente ci sarà stato un ulteriore aumento in dicembre, ma teniamo per buona questa cifra; come pure la cifra di ca. € 550 miliardi di entrate tributarie.
[Inciso: Bankitalia sottolinea che “ciò che rileva per valutare lo stato di salute delle finanze pubbliche di un Paese non è tanto il debito pubblico in termini nominali, quanto il suo andamento in relazione alla capacità del Paese di fare fronte ad esso”, e cioè il rapporto debito/Pil. Vista la difficoltà di abbassare il debito, non resta, nel coro di esortazioni mainstream, che spingere sulla crescita del Pil, ossia sul consumismo, vista la crisi di sovraproduzione degli impianti, ossia la difficoltà di vendere tutto ciò che sono in grado di produrre e che il mercato si ostina a non assorbire, nonostante lo sprone delle mode.
In un contesto di sedicente economia green e dei chiari segnali di rigetto da parte dell’ambiente dell’esorbitante quantità di scarti, solidi, liquidi e gassosi, ossia di inquinanti, questa esortazione suona come contraddittoria, se non propriamente blasfema. Peraltro, ai banchieri il debito alto piace, compatibilmente con la solvibilità della nazione indebitata].

Prendiamo ad es. la moda, vanto dell’Italia. Giro d’affari di € 100 miliardi, in crescita. L’85% finisce presto in discarica e solo l’1% viene riciclato [VEDI]
Si tratta quindi di una voce di bilancio estremamente importante, la cui eliminazione darebbe fiato alla spesa pubblica volta al benessere della cittadinanza, anziché a pagare i rentier. [Vedi a fine articolo chi sono].
Dunque, sarebbe il caso che, anziché perdere tempo in discussioni che mai neppure sfiorano questo argomento, lo si facesse entrare nei pubblici dibattiti.
Il debito pubblico trae origine dalla vittoria dei prestasoldi (ché tali sono i banchieri) nel lungo braccio di ferro con i presidenti degli Stati Uniti attraverso tutto l’800. Noi subiamo il riverbero nefasto di questa sconfitta, le conseguenze di quel lontano tsunami. [VEDI]

I Padri fondatori firmano a Filadelfia nel 1787 la Costituzione americana. Tra essi Thomas Jefferson e James Madison, futuri 3° e 4° presidente degli Stati Uniti
Cosa volevano i suddetti presidenti? Mantenere allo Stato l’autorità di stampare moneta pubblica, senza debito né interessi, come previsto dalla Carta Costituzionale del 1787, Sez. 8. I prestasoldi, per contro, non si accontentavano più di prestare soldi altrui, pur abusandone già ampiamente, facendo da meri intermediari del credito, bensì puntavano ad emettere moneta propria, dotata per legge di valore legale, rubando così, oltre agli interessi, anche il capitale (principal).
Anche oggi, le banche non sono più soltanto “prestasoldi altrui”, come tutti siamo stati edotti a credere, ma creatori di soldi propri. Con una differenza cruciale rispetto ai soldi creati dallo Stato: che questi ultimi godono dell’avallo della solidità produttiva della nazione, mentre i soldi fiat delle banche hanno come sottostante zero. Tuttavia, la malignità delle banche è riuscita nel tempo a sostituirsi totalmente allo Stato anche sotto questo profilo, finendo con l’annettersi, come garanzia dei soldi emessi, le tasse degli ignari contribuenti. In sostanza, noi paghiamo le tasse non solo per finanziare le opere pubbliche, le esigenze sociali e lo stesso apparato dello Stato, ma anche i suoi debiti verso le banche per la funzione di queste ultime di prestargli moneta, ossia di essersi ad esso sostituita per usurpazione. Il paradosso emerge per la forza della sua illogicità, come ebbero ad obiettare, già nei primi anni ’20 del ‘900, personaggi del calibro di Thomas Edison ed Henry Ford, trovando assurdo che lo stesso Stato in grado di emettere bond per $ 1 milione, a debito e interessi, non sia altrettanto in grado di emettere moneta propria per lo stesso importo, esente da debito e interessi.

Un greenback, “dollaro verde”, di Lincoln, fieramente avversato dai prestasoldi [VEDI]

I greenback avevano un precedente simile: il Colonial Scrip del 1775, che i coloni americani avevano usato al posto della sterlina britannica. Lo scrip, in aggiunta a vari dazi e gabelle (“Intolerable Acts”), fu il pomo della discordia che dette avvio alla Guerra d’Indipendenza dell’America dal giogo dei banchieri inglesi; ma 138 anni dopo il giogo se lo sarebbero imposti da soli
Il duello presidenti vs prestasoldi fu macchiato da “delitti eccellenti”, venendo assassinati ben 4 presidenti, per la loro ostinazione nel voler difendere le prerogative dello Stato:
Abramo Lincoln nel 1865; James Garfield nel 1881; William McKinley nel 1901; Warren G. Harding nel 1923. In precedenza, era scampato ad un attentato, grazie ad una pistola inceppata, Andrew Jackson nel 1835. Vanno aggiunti, come agguerriti sostenitori del denaro pubblico, i presidenti James Madison e Thomas Jefferson, entrambi coautori della Costituzione. JF Kennedy tentò, quasi un secolo dopo, di replicare le gesta dei suoi sfortunati predecessori, emettendo moneta di Stato, e fece la stessa fine. Il suo vice, Lyndon Johnson, si affrettò a togliere dalla circolazione i “dollari di Kennedy”.
Su scala minore, anche l’emissione di 500 lire di carta, anziché d’argento, da parte del presidente italiano Aldo Moro, forse come test per future, più laute emissioni, potrebbe essere stata una concausa della sua eliminazione fisica.
Qualcuno griderà al complottismo: gli attentatori erano tutti lupi solitari o gruppi eversivi, si dirà; ma quando gli indizi diventano troppi, possono configurarsi come prove.
Come si vede, le origini della nostra situazione di schiavi dei prestasoldi affondano sino a un paio di secoli addietro. E il risultato di tanta titanica lotta si ebbe nel 1913, quando, due giorni prima del Natale, un Senato presso che totalmente assente varò il Federal Reserve Act, in concomitanza al primo decreto fiscale. I prestasoldi avevano finalmente una loro Banca Centrale, privata, ma spacciata come pubblica. Le tasse, che prima lo Stato incassava in base a dazi e gabelle di scopo, divennero parte integrante della vita dei cittadini americani. Eh sì, bisognava cominciare a pagare gli interessi sul debito pubblico appena formalizzato.

Rendition celebrativa della firma del Federal Reserve Act da parte del presidente Woodrow Wilson il 23 dicembre 1913. In pratica l’atto di capitolazione della politica ai prestasoldi. Wilson se ne pentì tre anni dopo, e in maniera cocente all’approssimarsi della morte, nel 1924, resosi conto di aver tradito il suo popolo
Ma torniamo in Italia. Nel 2002 entrò a pieno regime l’istituzione, predisposta 10 anni prima, dell’euro, emessa da una banca centrale, la BCE, eretta sul modello della Fed americana. Per la nostra economia fu un colpo durissimo, in quanto, con la lira e le sue periodiche oscillazioni, eravamo fortemente competitivi sui mercati esteri. Da quel momento cedemmo il passo alla Germania; e le agenzie di rating cominciarono a dare per favorita quest’ultima, causando tassi di interesse più alti nelle cicliche emissioni di bond. Un trend che con gli anni determinò una crescita abnorme del debito pubblico. E ciò, nonostante fino ad anni recenti i bilanci primari dello Stato fossero in avanzo: erano (e sono) gli interessi a far crescere il debito pubblico. La forbice tra gli interessi pagati dall’Italia e dalla Germania funse da raffronto costante, col nome funesto di spread, che ci allarmò per anni dagli schermi dei TG.

Sedi della Federal Reserve a Washington, D. C. e della BCE a Francoforte

Sede della BIS, Banca Centrale delle Banche Centrali, a Basilea. Questi tre edifici rappresentano i gangli del potere bancario occidentale e mondiale. Totalmente esenti da interferenze estranee, anche legali: il loro operato è insindacabile, anche se coinvolge la vita di miliardi di persone
Vediamo adesso in che mani finiscono questi micidiali interessi, invece di servire per migliorare la vita di tanta parte dei cittadini italiani.
Bankitalia, banche e assicurazioni nazionali: 62%; investitori stranieri 32%; famiglie italiane 6% [VEDI] Insomma, una percentuale minima torna in circolo in Italia; il resto va all’estero o finisce nelle casse finanziarie.
Estendiamo lo sguardo alle varie nazioni europee nel grafico seguente.
In sostanza, una robusta e lievitante fetta delle uscite degli Stati va a pagare gli interessi a istituzioni finanziarie, estere o domestiche. E l’Italia non fa eccezione. Con l’aggravante che l’elevata % di bond in mani straniere rende vulnerabili, anzi ricattabili, dagli umori dei mercati. Eppure, questo perverso sistema viene dato per acquisito, per normale, soprattutto alle giovani generazioni, che ci sono nate.
[continua]
Marco Giacinto Pellifroni 19 gennaio 2025