Tregua armata tra Tajani e Salvini: mamma Meloni pronta alle sculacciate
La farsa di una lite che nessuno ha il coraggio di portare fino in fondo, tra un boy scout senza avventura e un duro da bar dello sport, mentre Meloni cerca di evitare un crollo dell’immagine internazionale del governo.
Tregua armata tra Tajani e Salvini: mamma Meloni pronta alle sculacciate.
Un balletto di periferia sotto lo sguardo severo della premier
Premessa: il teatrino della tregua
Non è una lite, è una commedia. Non è un confronto politico, è un balletto di periferia, tra uno che gioca a fare lo statista senza mai essere stato in trincea (Antonio Tajani) e un altro che crede di poter comandare il centrodestra col piglio di un capopopolo da osteria (Matteo Salvini). Il loro è uno scontro senza pugni, una battaglia di nervi giocata a distanza e con la paura di arrivare al punto di rottura. Perché nessuno dei due vuole davvero sfidare l’unico arbitro della partita: Giorgia Meloni.
Lei, che dall’alto del suo scranno a Palazzo Chigi cerca di tenere in piedi una maggioranza che ogni giorno appare più fragile, ha imposto una “tregua”, che ha tutta l’aria di essere una pausa pubblicitaria prima dell’ennesima sceneggiata. In ballo c’è la tenuta dell’esecutivo in un momento critico sul piano internazionale: il vertice di Parigi con Macron e la proposta italiana di un’alleanza per l’Ucraina in stile “articolo 5 Nato”. Mentre il mondo discute di guerra e pace, in Italia i due vicepremier litigano come due ragazzini in attesa che la maestra li rimetta in riga.

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La canzone come metafora: le “Lucciole vagabonde” della politica
Nel 1927 Bixio e Cherubini scrissero Lucciole vagabonde, una canzone che racconta di un mondo brutale, di figure condannate a sorridere anche quando vorrebbero piangere, costrette a danzare sul marciapiede “finché la luna c’è”. Un testo amaro e disincantato, che ben si presta a descrivere la politica italiana di oggi.
Tajani e Salvini sono esattamente questo: due “lucciole” che brillano nella notte della politica, schiave di un sistema in cui nessuno ha il coraggio di sfidare l’altro fino in fondo. Il primo, eterno secondo, è il gentleman della diplomazia che predica atlantismo e moderazione, ma poi si ritrova intrappolato in un partito senza guida. Il secondo, invece, è il ribelle in cerca di identità, sempre pronto alla sparata sovranista, ma consapevole che senza l’ombrello del governo rischia di finire fuori dai giochi.
Analisi: la paura della sculacciata
Se Tajani e Salvini non si menano sul serio è perché entrambi temono una cosa sola: la reazione di Meloni. Lei, che cerca di apparire come leader autorevole agli occhi di Macron e Biden, non può permettersi che due dei suoi alleati si azzuffino come galli in un pollaio. E così li richiama all’ordine, impone il silenzio e pretende che, almeno fino al vertice di Parigi, la recita della coesione vada in scena.
Ma la verità è che questa tregua è solo di facciata. Il vero scontro si giocherà più avanti, sul terreno delle regionali e della leadership del centrodestra. Per ora Tajani e Salvini abbassano la voce, ma il rancore rimane. E Meloni, da mamma severa, è lì pronta a intervenire di nuovo, con la mano sulla cintura, pronta a tirar giù le brache a chi non rispetta le regole del gioco.