Il premio di maggioranza in Costituzione e le perplessità sulla riforma costituzionale.

https://www.laleggepertutti.it/
Il cuore della riforma costituzionale della destra governativa si trova nella revisione dei due articoli 92 e 94. In sintesi, attraverso la riscrittura dell’articolo 92 Cost. si vuole l’elezione a suffragio universale e diretto del Presidente del Consiglio (Premier) contestualmente all’elezione del Parlamento. Attraverso la modifica dell’art. 94 Cost. si stabiliscono le modalità per la formazione di un secondo governo di legislatura, qualora il Premier cessasse dalla carica.
Chi ne avesse il tempo e fosse interessato potrebbe consultare il testo del “DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE n. 935, presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri (Meloni) e dal Ministro per le riforme istituzionali e la semplificazione normativa (Alberti Casellati), comunicato alla Presidenza il 15 novembre 2023”, intitolato “Modifiche agli articoli 59, 88, 92 e 94 della Costituzione per l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri, il rafforzamento della stabilità del Governo e l’abolizione della nomina dei senatori a vita da parte del Presidente della Repubblica”.

https://www.laleggepertutti.it/
Un’analisi completa del DDL Cost. n. 935/23 avrebbe una complessità incompatibile con la scrittura di un semplice articolo da parte di un dilettante della politologia. L’aspetto molto rilevante da considerare è quello della costituzionalizzazione del premio di maggioranza elettorale. L’intento dei riformatori è dichiarato esplicitamente: la proposta di revisione costituzionale ha l’obiettivo di offrire soluzione a problematiche ormai risalenti e conclamate della forma di governo italiana, cioè l’instabilità dei Governi, l’eterogeneità e la volatilità delle maggioranze, il « transfughismo » parlamentare… (DDL Cost. n. 935/23 – Incipit della Relazione al Senato). A tal fine i riformatori scrivono: la legge disciplina il sistema elettorale delle Camere secondo i princìpi di rappresentatività e governabilità e in modo che un premio, assegnato su base nazionale, garantisca il 55 per cento dei seggi in ciascuna delle due Camere alle liste e ai candidati collegati al Presidente del consiglio… (DDL Cost. 935/23, art. 3).
Si osserva che il premio assegnato su base nazionale al Senato “fa a pugni” con l’art. 57 Cost.: Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero… ma la questione di maggiore impatto è la regola del premio di maggioranza portata in Costituzione.

PUBBLICITA’
La finalità sembra quella di mettere la futura legge elettorale al riparo da conseguenti pronunce della Consulta, che già per due volte ha sentenziato l’incostituzionalità dei premi di maggioranza sproporzionati, precisamente nelle leggi elettorali note come “Porcellum” e “Italicum”. La legge n. 270 del 2005 (Porcellum) attribuiva su base nazionale circa il 54% dei seggi della Camera al primo partito o coalizione e il 55% dei seggi su base Regionale al Senato. La legge n. 52 del 2015 (Italicum) riguardava la sola Camera dei deputati (essendo collegata alla riforma monocameralista Renzi-Boschi) e assegnava 340 seggi alla lista che avesse superato il 40% dei voti espressi (portandolo al 54% in sede parlamentare), se nessuna di queste avesse superato la suddetta soglia, il premio sarebbe stato attribuito dopo il ballottaggio tra le due liste più votate.
Quindi, i riformatori attuali hanno pensato, evidentemente, di risolvere l’incostituzionalità di una regola facendola entrare in Costituzione e rendendola ipso facto costituzionale, così da sottrarla al giudizio eventuale della Corte.
Il problema sostanziale però rimane: la superiore collocazione gerarchica della legge non ne annulla il contenuto palesemente lesivo del principio di rappresentatività, secondo le citate sentenze della Corte.
Ci sono dei limiti alla revisione costituzionale? Sicuramente sì. Lo ha affermato la stessa Consulta nella sentenza n. 1146 del 1988, dove ha espresso la considerazione in diritto secondo cui la Costituzione italiana contiene alcuni princìpi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali. Tra questi potrebbe rientrare il principio di eguaglianza del voto, sancito nell’art. 48 Cost: Il voto è personale ed eguale, libero e segreto.
Dunque, tenuto conto della giurisprudenza della Corte, davanti alla quota del 55% dei seggi assegnati senza stabilire alcuna ragionevole soglia minima di voti si rimane basiti. Bocciando il Porcellum con la Sentenza 1/2014, la Consulta lo ha ritenuto foriero di una eccessiva sovra-rappresentazione, così da comprometterne la compatibilità con il principio di eguaglianza del voto e atto a produrre una oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica, perché non prevedeva il raggiungimento di una soglia minima di voti alla lista. Per quanto riguarda l’Italicum, invece, la Corte ha affermato che le concrete modalità dell’attribuzione del premio attraverso il turno di ballottaggio sarebbero state tali da determinare la lesione degli artt. 1, secondo comma, 3 e 48, secondo comma, Cost., vale a dire lesive della sovranità popolare e dell’uguaglianza del voto (Sentenza 35/2017).
La riforma proposta, per di più, potrebbe non raggiunge neppure gli obiettivi che persegue. Quest’affermazione si può illustrare con dei numeri ipotetici: se ad esempio la maggioranza elettorale fosse costituita da tre forze coalizzate in cui il partito “A” raccoglie il 27% dei consensi, il partito “B” il 10% e il partito “C” l’8%, la coalizione raggiungerebbe il 55% degli scranni con il 45% dei suffragi. A livello parlamentare “A” raggiungerebbe il 27×55/45% = 33%, “B” il 12,2% e “C” il 9,8%. “B” o “C” o entrambe insieme potrebbero diventare il classico “ago della bilancia”, trovando un’intesa con le forze di minoranza. Alcuni gruppi parlamentari uniti potrebbero formare un esecutivo alternativo. Un accordo tra personalità politiche estremamente distanti è assai improbabile, ma non sarebbe impossibile se fosse realizzato tra elementi centristi. Prendendo il DDL alla lettera sarebbe sufficiente formare una compagine guidata da un parlamentare eletto in collegamento al Premier dimissionario. Il Capo dello Stato potrebbe conferirgli l’incarico, dopodiché al Presidente del Consiglio incaricato basterebbe dichiarare la continuità con il programma del Premier dimissionario (che non è altro che un insieme di annunci) e “incassare” la fiducia. Trascurando ogni considerazione su norme cosiddette “antiribaltone”, governi eletti o governi “tecnici” e non eletti e così via, sorge dunque la seguente questione: la novella previsione costituzionale stabilizza con certezza l’esecutivo? Si tratta di una domanda retorica, infatti la risposta è scontata: certamente no, come dimostra l’ipotesi numerica appena presentata.
La modesta conclusione è questa: se per stabilizzare l’esecutivo (e neppure con certezza) bisogna comprimere la rappresentatività del Parlamento, si rischia di ridurre l’opposizione all’irrilevanza. Si rischia di parcellizzare ogni minoranza, con grave danno al pluralismo, al dibattito e al confronto tra la maggioranza e le minoranze. Si rischia di scivolare nella triste e pericolosa monotonia del pensiero unico.
C’è da rimanere sbalorditi quando si sente dire che l’elezione diretta del premier da parte del popolo è la vera democrazia perché esclude i “giochi di Palazzo” e dà la parola al popolo sovrano. In primo luogo, perché il popolo, non è un’entità monolitica che agisce “come un sol uomo”. Il corpo elettorale è composito, variegato, portatore di interessi contrapposti che possono, appunto, confrontarsi in un Parlamento (soluzione che pare assai più democratica a chi scrive). In secondo luogo, per ammissione implicita dei riformatori stessi, il premier non sarebbe eletto neppure dalla maggioranza del corpo elettorale, infatti, la modifica costituzionale stabilisce un premio di maggioranza del 55%. La riscrittura dell’art. 92 non fissa neppure una soglia minima per accedere al premio, elemento che almeno era previsto dall’Italicum, per quanto fosse irragionevole in caso di ballottaggio tra le due liste più votate. Gli accordi tra le parti, infine, sono essenziali alla politica e qualificarli spregiativamente come “giochi di Palazzo” è soltanto una strategia comunicativa.
Come già argomentato, all’opposto, la riforma rischia di non centrare neppure l’obiettivo di quella stabilità di governo che, secondo il martellamento mediatico a cui siamo sottoposti da parecchi lustri, sarebbe uno tra i peggiori mali che affliggono il nostro Paese.
Si deve infine osservare che con il 43,8% dei suffragi già oggi la maggioranza di governo ha ottenuto all’incirca il 58-59% dei seggi parlamentari (59,25% alla Camera e 57,5% al Senato), per effetto della legge elettorale Rosato (maggioritaria uninominale al 37%). Poiché l’attuale Esecutivo non sembra né traballante, né “ribaltonabile”, c’è da chiedersi che senso abbia questa riforma costituzionale di cui ben pochi concittadini sentono il bisogno.
Savona, 5 maggio 2024
Fabio Tanghetti Democrazia Solidale, Demos Liguria