97 italiani da non dimenticare

97 italiani da non dimenticare

97 italiani da non dimenticare

 “Ringrazio tutti i presenti e mi sento in dovere di dire che occorre prendere le distanze da tutte le dittature e combattere tutti gli estremismi”, ha dichiarato il sindaco di Savona Ilaria Caprioglio durante le celebrazioni della Giornata del Ricordo in onore delle vittime delle foibe, “e dare ai nostri giovani la cultura per il rispetto e le differenze. Incontri di questo genere stimolano riflessioni e mi dispiace molto che non ci siano giovani delle scuole”.

 


Parole simili da parte del presidente del consiglio regionale Francesco Bruzzone: ”Sono qui con molto piacere e purtroppo devo dire che questa storia è stata per troppi anni dimenticata e chi fa politica fa dimenticare questi eventi che tra il 2000 ed il 2005 sono stati rispolverati. Nel 2004 la regione Liguria ha creato una legge regionale per ricordare questi tragici fatti ed è stata la prima regione italiana a fare una legge di questo tipo. La legge ligure prevede per il Giorno del Ricordo una seduta solenne del consiglio regionale su questo tema ed un concorso per le scuole il cui premio è una visita, a spese della regione, presso i luoghi simbolo di questa tragedia”.

“La volontà di organizzare è molto importante e condividiamo con la città il ricordo”, ha sottolineato Alessandro Parino, presidente dell’associazione “Centro Studi Savonese” che ha organizzato l’evento, “e l’associazione offre stimoli per il ricordo creando sinergie importanti che permettono di offrire la cultura. E’ molto importante il bisogno di condividere ed elaborare i pensieri e se tutto ciò si allarga all’intera città si può dire che l’obiettivo dell’assocviazione è stato pienamente raggiunto”.


“Questo per me è un momento molto importante”, ha evidenziato l’assessore alla sicurezza del comune di Savona Paolo Ripamonti, “e mio padre è stato finanziere in quelle zone ed i suoi ricordi mi hanno accompagnato durante tutta la mia infanzia. Occorre ricordare e ricordare è una cosa molto seria che non deve mai venire meno”.

“L’8 settembre 1943 l’Italia ha firmato l’armistizio e l’esercito si è ritrovato allo sbando”, ha rilevato Giovanni Palma, comandante provinciale Guardia di Finanza Savona, “ed il disordine di quei giorni ha portato ad equivoci che hanno portato ai trattati di Londra (il memorandum d’intesa di Londra fu un accordo sottoscritto il 5 ottobre 1954 fra i governi d’Italia, del Regno Unito, degli Stati Uniti e della Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia, concernente il regime di amministrazione provvisoria del Territorio Libero di Trieste (TLT), previsto dall’allegato VII del trattato di Parigi (1947) e Osimo (il trattato di Osimo, firmato il 10 novembre 1975, sancì lo stato di fatto di separazione territoriale venutosi a creare nel Territorio Libero di Trieste a seguito del Memorandum di Londra (1954), rendendo definitive le frontiere fra l’Italia e l’allora Jugoslavia) e nel CLN (il Comitato di Liberazione Nazionale (abbreviato in CLN) fu un’organizzazione politica e militare italiana costituita da elementi dei principali partiti e movimenti del paese, formatasi a Roma il 9 settembre 1943[1], allo scopo di opporsi al fascismo e all’occupazione tedesca in Italia, scioltasi nel 1947) di quelle zone erano presenti partigiani titini ed italiani e le caserme della Guardia di Finanza vennero usate dai titini. Il 28 aprile 1945 il CLN e la Guardia di Finanza iniziarono le operazioni su Trieste ma i veri problemi iniziarono il 1 maggio quando le formazioni partigiane fecero entrare le truppe di Tito che si recarono presso la Guardia di Finanza, l’unico rappresentante dello Stato, alle quali fu ordinato di arrendersi. Certi finanzieri vennero deportati mentre altri restarono in carcere ed il 2 maggio le truppe neozelandesi entrarono e 86 finanzieri vennero portati via e non se ne seppe più nulla. Ben presto la polizia segreta di Tito ebbe l’ordine di slavizzare tutte le istituzioni e ancora oggi Trieste è una città particolare che vive d’influenza slava e sono aperti contenziosi con autorità slave ed italiane. Nel 1954 il tricolore venne posto sul palazzo della Prefettura per ricordare il ritorno di Trieste all’Italia anche se Tito si riprese l’Istria e tutte le isole della zona oggi territorio croato e la stessa Trieste venne dimezzata”.


“Negli anni 97/98 ho partecipato ad un’assemblea al liceo Chiabrera su questi temi ed è in questa occasione che ne ho sentito parlare per la prima volta”, sottolinea Alessandro Parino, “capendo anche che era molto difficile parlare di questi temi. La storia di quelle terre è molto importante e tutto cos’era Italia doveva essere distrutto così come fece poco tempo fa l’Isis in Siria cancellando l’identità di un intero popolo. Il modus operandi non è cambiato negli anni ed il tema della sovranità è molto importante anche in vista delle prossime elezioni politiche perchè occorre essere sovrani della propria memoria ed aprire gli occhi sulle vicende meno note”.


“Il silenzio cupo è il miglior modo per dissipare la memoria”, dichiara Luca Germano del comitato storico giuridico “Centro Studi Savonese”, “e la sottrazione della volontà di vivere di una persona è peggio che l’annientamento fisico ed i prigionieri di queste tristi vicende avevano la delazione come unico scopo. Nel 1946 la città di Pola era un’enclave italiana e si diceva che gli italiani dovevano fuggire al più presto ma si svolse una gara di cannottaggio per far sentire a tutti l’italianità di quella città e proprio qui avvennero due importanti massacri, uno dei quali coinvolse mine e siluri accatastati, esaminati e considerati inutili che esplosero disintegrando molti presenti, ma il giornale italiano “L’Unità” condannò la superficialità degli angloamericani che in precedenza avevano esaminato gli ordigni. Gli italiani scapparono da quelle terre da un giorno all’altro ed al loro arrivo a Bologna vennero accolti dalla Croce Rossa che portò il latte per i bambini, ma questo latte venne gettato sui binari della ferrovia perchè gli esuli vennero considerati fascisti che non accettavano il regime socialista di Tito. Alcune persone, per la maggior parte operai, restarono in quelle terre credendo che la Iugoslavia fosse il paradiso ma vennero deportati perchè sostenitori del comunismo sovietico, che era diverso da quello iugoslavo. Tra i morti di questi tragici fatti vi furono anche cosacchi, difensori dell’impero zarista sotto lo zar costretti ad emigrare con l’avvento del comunismo in Russia, i quali vennero impiegati dai tedeschi per fornire loro aiuto”.

“Sono molto emozionata e voglio dire che mia zia Beatrice, che ha vissuto sotto quattro bandiere diverse (Impero Austro-Ungarico, Italia, Iugoslavia e Croazia) senza mai spostarsi e durante la Prima Guerra Mondiale venne deportata in Austria. Questi esuli sono gli italiani più veri perchè hanno rinunciato a tutto per essere italiani e nei loro confronti è stata attuata una vera e propria pulizia etnica. Gli italiani di quelle zone, con i loro beni, hanno pagato i debiti di guerra e con il Trattato di Parigi del 1947 venne pagato un prezzo troppo alto per la libertà”, conclude Rita Muscardin, scrittrice e figlia di esuli.

 

        SELENA BORGNA  

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