2 Giugno

REPUBBLICA, COSTITUZIONE, FORMA PARLAMENTARE
RIFLESSIONI E ANALISI NELLA RICORRENZA DEL 2 GIUGNO

REPUBBLICA, COSTITUZIONE, FORMA PARLAMENTARE
RIFLESSIONI E ANALISI NELLA RICORRENZA DEL 2 GIUGNO

Nell’occasione della ricorrenza del 2 Giugno, data fondativa della Repubblica Italiana, è necessario ricordare alcuni aspetti del nostro assetto istituzionale che, in questo momento, sono oggetto di furibondi attacchi e di proposte di revisione che si rivolgono verso un accentramento dei poteri in poche mani, ed in particolare del capo dell’Esecutivo.

Non è il caso di ricordare, se non per sommi capi, che l’Italia è una Repubblica Democratica per volontà del popolo che ne ha votato la forma di Stato in un Referendum, dopo che per un  periodo non breve le forze politiche uscite vittoriose dalla lotta di Liberazione avevano oscillato tra l’idea di affidare al popolo la scelta decisiva oppure di attribuirla all’Assemblea Costituente che sarebbe stata eletta nella stessa data del 2 Giugno 1946 (il decreto che fissa il referendum istituzionale porta la data del 10 Marzo 1946: l’obiettivo era quello che, una volta sgombrato il capo dal nodo della forma dello stato l’Assemblea Costituente, sulla base del mandato ricevuto dai cittadini avrebbe potuto dedicarsi completamente alla redazione della nuova Carta Costituzionale).

La scelta referendaria, inoltre, corrispondeva ad una ulteriore esigenza: quella di completare il processo unitario risorgimentale, considerato nell’analisi gramsciana, in una qualche misura “monco” per la mancata partecipazione delle masse popolari.

Si sanciva così, per via diretta, l’unità del Paese, dopo che – nei tragici mesi trascorsi tra l’8 Settembre ed il 25 Aprile- l’Italia era rimasta divisa.

Si tratta di elementi che vanno sottoposti, ancor oggi, alla riflessione di tutti: in una fase in cui sembrano prevalere spinte a forme presidenzialistiche, a punti di mutamento costituzionale che possono far presagire la separazione, se non il disfacimento, dell’unità repubblicana, al sovvertimento del ruolo fondamentale della sovranità popolare, aprendo la strada ad avventure pericolose, forse improbabili, ma i cui segnali non possiamo sottovalutare.

E’ mutato, soprattuto, il ruolo del Parlamento, con un passaggio “forte” nella capacità di proposta legislativa nelle mani del Governo, attraverso un uso immotivato dello strumento dei decreti legge (uso immotivato che, ormai, risale nel tempo fin dai primi anni ’80 del secolo scorso: quando cioè si cominciò a parlare di “Grande Riforma” da attuarsi in nome di un cosiddetto “decisionismo”).

Vale allora la pena, proprio in occasione della ricorrenza del 2 Giugno, recuperare i passaggi fondamentali che, sulla materia del ruolo del Parlamento, furono compiuti in sede di Assemblea Costituente.

La Costituente accettò (in linea con l’esito referendario) l’individuazione antifascista delle responsabilità per le origini della dittatura nell’atteggiamento antiparlamentare della monarchia, sancendo così il definitivo primato delle Camera nel sistema, dando così vita ad una “repubblica parlamentare”.

Concentrando, infatti, nelle due Camere, rese entrambe elettive e pari nelle attribuzioni, i maggiori poteri, la Costituzione Repubblicana pone il Parlamento in una posizione di evidente supremazia rispetto agli altri organi dello Stato.

Il Governo, infatti, appare ad esso sottoposto sul piano formale, sia per il voto di fiducia che lo lega alle Camere in un rapporto di dipendenza politica, sia per il costante esercizio della funzione ispettiva e di controllo sui suoi atti da parte di quelle.

E’ anche nella determinazione delle modalità di esercizio della funzione legislativa che la Costituente parve voler impedire ogni pericolo di usurpazione da parte del Governo del potere normativo, memore sia dell’esperienza vissuta in età liberale sia di quella, ben più pesante al riguardo, dei tempi della dittatura fascista.

Tutto questo oggi, ripetiamo, è messo pesantemente in discussione e va ricordato, perché l’osservanza costituzionale è ancora legata a questi fondamentali principi che si sono esplicati nell’articolato della Carta Fondamentale, ricordando ancora come la Costituzione stabilisca che le Camere non possono procedere alla modifica o alla riforma del testo costituzionale senza l’osservanza di un preciso procedimento di revisione (articolo 138); in secondo luogo ha , poi, assoggettato l’attività legislativa ad un sindacato di legittimità costituzionale davanti ad un organo speciale, la Corte Costituzionale, al fine di evitare l’introduzione nell’ordinamento stesso di norme contrarie ai principi essenziali che l’ispirano.

In terzo luogo ha fissato il ruolo delle comunità intermedie, in particolare delle Regioni, modificando la tradizione accentratrice dello Stato risorgimentale ma, nello stesso tempo, garantendo l’unità statuale (ed è questo il punto di maggiore difficoltà che, oggi, forse ci troviamo di fronte nella prospettiva di una idea federalista che nasconde l’ipotesi di secessione, in una condizione di vera e propria confusione ed in una prospettiva europea, non esistente al momento dello svolgimento dei lavori dell’Assemblea Costituente, che non riesce a superare un grave “deficit democratico”).

Infine va ricordata l’introduzione del referendum costituzionale e del referendum abrogativo delle leggi approvate dal Parlamento, il primo ad eventuale garanzia popolare contro una revisione della Costituzione che non venisse approvata da una maggioranza parlamentare troppo ampia, il secondo a tutela delle aspirazioni e degli interessi dell’elettorato contro una attività legislativa ritenuta impopolare, affiancando così alla democrazia rappresentativa caratterizzante il sistema di un istituto di democrazia diretta, stabilendo nel contempo una sorta di controllo popolare sull’operato normativo della classe politica.

Non si trova, come è noto, in Costituzione un capitolo riguardante le leggi elettorali: ma l’idea di un Parlamento sovrano richiederebbe una legge elettorale tale da consentire il massimo possibile delle espressioni delle culture e delle sensibilità politiche presenti nel Paese.

Si può ben dire che le modifiche alla legge elettorale avutesi nel 1993 e nel 2005 siano andate in direzione contraria, tentando di affermare il primato della governabilità rispetto a quello del dibattito parlamentare.

Ecco: abbiamo  ricordato, forse pedantemente, queste cose al riguardo del ruolo del Parlamento perché si abbia chiaro, all’interno della ventata populistica e antipolitica che stiamo subendo, ciò che di più prezioso vada difeso nell’ambito della nostra democrazia repubblicana.

Savona, 28 Maggio 2010                                                         Franco Astengo

 

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