Gli eroi distratti della cultura savonese ed imperiese con Berlusconi e Scajola

Grazie al “Popolo della Libertà”

la censura arricchisce la democrazia

Il nuovo modello “manette ai giornalisti”. Chi tace fa carriera. Chi pubblica in castigo. E… la Cassazione: ha torto Antonio Ricci per  e-mail diffamatorie



Giovanni Negri

Sulla prima pagina de Il Sole 24 Ore, sabato, 14 febbraio, festa di San Valentino e degli innamorati (per questa ragione tutti eravamo distratti ed ad altro impegnati), è stato pubblicato un articolo, col titolo “Con la censura sulle indagini un colpo all’informazione-  Giustizia e diritto di cronaca”. Articolo scritto da Giovanni Negri e Donatella Stasio.

Trucioli Savonesi riporta i passi salienti. In questa angolo di Liguria ormai non c’è più bisogno di invocare libertà e completezza di informazione.

Da queste parti non esistono né limiti, né poteri forti che limitano il diritto di cronaca. Qui sappiamo perché leggiamo tutto di tutti. Senza censure ed autocensure. Un angolo felice e per questa ragioni gli uomini di cultura, sempre ammirati, pressati da inviti (gratis), su questo tema di civiltà restano disoccupati.

Oltre a questo articolo, riproduciamo sempre da Il Sole 24 Ore, la storia di una causa, finita in Cassazione, che riguarda il savonese, il ligure più illustre – record di ascolto, 8 milioni, con Striscia la notizia -, Antonio Ricci, albenganese di nascita, alassino d’adozione. Nel suo caso la Cassazione ha dichiarato <non punibili i gestori per e-mail diffamatorie>. E’ interessante leggere la motivazione.

Giovanni Negri e Donatella Stasio su tema della censura e dei seri pericoli hanno scritto: <Dopo otto mesi dal varo del Disegno di legge sulle intercettazioni, il Governo (Belusconi) ha confermato la “censura all’informazione”. Cosi l’abbiamo definita su questo giornale, a giugno 2008, senza ricorrere a slogan coloriti, perché le cose vanno chiamate  con il loro nome per un doveroso rispetto dell’opinione pubblica. Il totale silenzio imposto dal Governo (Berlusconi) sul contenuto delle indagini  e sui loro sviluppi, fino al dibattimento (vale a dire per un periodo che, in media, va da 4 ai 6 anni), è una censura al diritto-dovere di informare e al diritto-dovere di conoscere fatti rilevanti della vita pubblica. E’ un grande segreto di Stato, che cancella una libertà fondamentale del cittadino, privandolo del diritto di essere parte attiva dell’opinione pubblica. E una democrazia liberale non può fare a meno di un’opinione pubblica informata. Perciò la “censura” imposta dal Governo offende non una categoria, ma la democrazia…

La minaccia di vietare il diritto di cronaca è, di per sé, uno sfregio alla Costituzione e ai principi di libertà. Né trova alcuna giustificazione nell’esigenza, sacrosanta, di tutelare un altro diritto fondamentale, quello della privacy dei cittadini: altre sono le strade da seguire, ma in tredici anni non sano state neppure imboccate.

Antonio Ricci

E’ dal 1996, infatti, che i Governi di centro destra e di centro sinistra sono alle prese con la “gogna mediatica”: questo è il quarto provvedimento adottato sull’onda dell’indignazione suscitata da stralci di intercettazioni pubblicati sui giornali, riguardanti, per lo più, personaggi pubblici.

La paura di un Grande orecchio è diventata una delle tante “emergenze nazionali” da affrontare addirittura  con decreti legge o con corsie parlamentari preferenziali. Eppure, nulla è stato mai approvato, neppure le misure condivise, che tentavano di rispondere in modo ragionevole al problema, reale, di proteggere la riservatezza delle persone e di conversazioni estranee alle indagini…

Si è preferito cavalcare misure sempre più irrazionali e sproporzionate rispetto al bene da tutelare.

Il problema della censura al diritto di cronaca  non è una faccenda corporativa, ma di portata generale.  Il Governo, invece,  pensa di superarlo affievolendo le sanzioni per i giornalisti (non più il carcere e l’ammenda, ma l’uno o l’altra) e aumentando quelle pecuniarie a carico degli editori, sul presupposto (errato) che questi ultimi possano o debbano arrivare la dove non arriverebbe mai un direttore di giornale. Una soluzione ancora più irrispettosa.

E’ giusto punire, anche severamente, la violazione della privacy; ma la punizione prevista dal Governo (Berlusconi) scatta per il solo fatto della pubblicazione, anche se non si tratta di gossip ma di notizie rilevanti; anche se il giornalista ne è venuto in possesso lecitamente perché è caduto il segreto; anche se non c’è alcuna lesione della privacy.

Parlare di un’indagini in corso è sempre e comunque vietato: guai a pubblicare il benché minimo dettaglio.

A prendere alla lettera il divieto, sarebbe reato persino la pubblicazione di un necrologio in cui è scritto, dopo il nome del defunto, “barbaramente ucciso”.

Guai a pubblicare anche il nome o la foto del magistrato che indaga. Il giornalista iscritto nel registro degli indagati è deferito al Consiglio dell’Ordine per una sospensione della professione di tre mesi, prima ancora che sia accertata la sua responsabilità penale.

…E se è vero che non sempre le libertà fondamentali sono esercitate in modo responsabile. È anche vero che l’etica della responsabilità (nel giornalismo, nella giurisdizione e nella politica) non si declina con l’intimidazione o con la minaccia del carcere. Meno che mai con il sacrificio della libertà. Nessuna politica- neanche quella ispirata a “tolleranza zero” o alla “cattiveria” – può calpestare i diritti fondamentali dei cittadini.

Giovanni Negri e Donatella Stasio

 LEGGI IL “CASO ANTONIO RICCI”