Votare senza sapere per chi si sta votando

Qualche giorno fa al ritorno da un’uscita solitaria in bike in una giornata infuocata mi fermo per bere dalla borraccia   davanti ai cartelloni elettorali e sbirciando i nomi dei candidati nei collegi uninominali vedo che il Pd candida Andrea Romano, che mi è familiare per le frequenti comparsate televisive, e mi auguro che venga riconfermato in parlamento lasciando ad altri, chiunque sia, la cattedra di storia contemporanea alla romana Tor Vergata. Del resto nessuno di quelli di cui so qualcosa negli altri partiti o coalizioni mi convince;   poi scorro le liste soffermandomi sui due partitini che si contenderanno il mio voto nel caso in cui prevalga in me  il senso di un presunto dovere civico. Nomi, luogo e data di nascita e un tratto in comune: gente perfettamente sconosciuta. Sconosciuti, perfettamente sconosciuti, i livornesi e presumo altrettanto sconosciuti gli altri nelle rispettive città. Si dirà: ma tu non bazzichi circoli o sedi di partito, ti sei escluso da qualsiasi occasione di incontro e di dibattito e la gente, poca, che frequenti è come te.  No, non è così, anche volendo non si saprebbe dove andare. Non c’è traccia fisica di luoghi nei quali quei candidati si sono fatti conoscere o affermati per qualche loro caratteristica né spazio sui giornali locali, cartacei e no, sui quali si siano presi la briga di scrivere qualcosa, quel tanto da permettere all’elettore di farsi un’idea su di loro.

Andrea Romano

Insomma, questi nomi non si sa a che cosa corrispondano, privi di corpo e di faccia -poco male – ma anche di cervello; non si sa che idee hanno, se ne hanno, qual è la loro storia, da quanto tempo fanno politica, se la fanno, che cosa li ha spinti a candidarsi e con quali intenti andrebbero in parlamento una volta eletti. E allora mi chiedo: se darò il mio voto a uno di quei due partiti, i cui leader sono gli unici  che si sono scopertamente sottratti al mainstream prima sulla campagna vaccinale e dopo sull’inconsulto attacco alla Russia da parte del governo Draghi, e se faranno altrettanto molti fra quanti sono disgustati dalla sinistra e dal centrodestra saremo un numero sufficiente per sfondare il muro del 3%.   In quel caso.  il mio, il nostro voto non sarà solo dimostrativo ma spedirà in parlamento, oltre ai due leader che conosciamo e di cui ci fidiamo, una pattuglia consistente di signor nessuno che hanno furbescamente, come a suo tempo fecero i grillini, tentato la sorte o, se vogliamo, comprato – senza nemmeno pagarlo – il biglietto della lotteria che gli cambia la vita.

Ma la politica è un’altra cosa, la democrazia è un’altra cosa: non è affidarsi al buio a persone di cui non si sa nulla, che non si sono impegnate nella campagna elettorale, che non fanno nemmeno lo sforzo di scrivere una lettera agli elettori. I candidati dovrebbero presentarsi come persone in carne e ossa, dovrebbero incontrare gli elettori, prendere degli impegni precisi, assumersi delle responsabilità e gli elettori dovrebbero essere messi in condizione di valutarne l’affidabilità, l’intelligenza, le competenze, e, perché no, i motivi che li hanno spinti nella politica attiva.  Non c’è niente di democratico, niente di politico in una lista di nomi, quale che sia il criterio con il quale è stata compilata, se per gli elettori sono solo nomi: quanto meno ci dicessero il mestiere, la professione, i titoli di studio, il curriculum, come si chiede a chiunque si proponga in un’azienda o nella pubblica amministrazione! Non basterebbe, ma sarebbe qualcosa. Poi non ci lamentiamo se il parlamento è ridotto a una banda di storditi/e, arrivati – metaforicamente – con le pezze al posteriore e dall’oggi al domani col look, e non solo quello, rifatto, le borse firmate e le scarpe alla moda, ma sempre storditi/e o, peggio scaltriti come quel pupazzo dimentico di quel po’ di geografia che si studia alle elementari che ha guidato la nostra politica estera.

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Ben venga allora Andrea Romano, che perlomeno si sa chi è e liberi di votarlo quelli a cui piace o se lo fanno piacere perché lo impone il Partito. Personalmente lo eviterei come la peste bubbonica, ma questo è un problema mio. Però non si vota per esclusione e non è detto che se una parte politica è una calamità quella che le si contrappone non sia una calamità anche peggiore. Questo è il motivo per cui tanti anche alle ultime elezioni politiche si sono astenuti dal voto o si sono riversati su una sigla che prometteva di rovesciare il sistema, di “aprire il parlamento come una scatoletta di tonno”. Si è visto come è andata a finire ma si poteva capire fin dal momento in cui hanno fatto il loro ingresso nel tempio della democrazia gli increduli anonimi che si sono approfittati della voglia di riscatto di tanta parte della società italiana: hanno pensato bene di cominciare col riscattare se stessi. Non si vota una sigla o una parola d’ordine: si vota per eleggere delle persone perché se ci sono dei progetti, delle idee, dei programmi, questi debbono essere incarnati da persone che convintamente li sostengono perché scaturiscono dalla loro testa. E allora guardando quelle liste di nomi sconosciuti e riflettendo sull’assenza assoluta di iniziative, sul silenzio e la latitanza nei quartieri, nelle scuole, nei luoghi di lavoro e di incontro mi chiedo: farò, faremo, in pochi lo stesso errore che hanno fatto in tanti quando hanno votato per i Cinquestelle? Chi fra quegli elettori si sarebbe aspettato di aver mandato in parlamento gente che ha voluto la riconferma di Mattarella, gente che è stata decisiva per mettere a capo dell’Ue una che vorrebbe processare Putin (non sono bastati lo sconcio dei processi farsa a Milosevic o a Saddam Hussein e l’orrendo assassinio di Gheddafi voluto da francesi e americani), gente che è passata allegramente dall’alleanza con la Lega a quella col partito di Bibbiano,  gente che ai primi segnali di pericolo si è affrettata a cambiare casacca e che ora, a riprova del fatto che nel nostro Paese la mancanza di feedback fra Palazzo e cittadini consente ai politici di galleggiare sulle loro balle, ci riprova col Conte, uno e trino, nemico delle sanzioni, dell’attacco diplomatico alla Russia, della fornitura di armi all’Ucraina, del forzato isolamento in casa, dell’obbligo vaccinale – tutti provvedimenti che il movimento da lui presieduto ha voluto e condiviso –  e di quel Draghi che ha consentito ai suoi di rimanere in sella fino al termine della legislatura. Certo, non peggiore Conte di quel Salvini che rimprovera a Putin il  voltafaccia  di cui lui stesso ha dato un’oscena dimostrazione quando ha candidamente dichiarato, sulle orme di Berlusconi, che il Putin che conosceva, stimava e ammirava era un altro Putin. Troppo comodo per coprire il suo personale, chiamiamolo così, cambio di opinione o, se vogliamo, più propriamente, tradimento.

La verità è che se fossimo in grado di eleggere persone serie, responsabili,  fisicamente riconoscibili e rintracciabili   i leader non si potrebbero permettere tante giravolte, sarebbero ancorati ai programmi, alle posizioni, agli umori del loro elettorato; perché un uomo solo può essere ricattato, impaurito o corrotto ma se ha sul collo il fiato di parlamentari ancorati al  territorio o si dimette o prosegue sulla strada che il suo elettorato si aspetta;  nel caso specifico sfido chiunque a contestare il dato – che i sondaggisti tengono accuratamente nascosto – che la stragrande maggioranza degli elettori leghisti e pentastellati  non ne può più dell’Ucraina e di Zelensky e considera Biden e la Von der Leyen, non Putin, una minaccia per il pianeta. Ecco perché guardo quelle liste di nomi e mi viene il terribile sospetto che una volta in parlamento voltino le spalle a Rizzo o a Paragone, si rifugino nel gruppo misto e facciano da puntello a una maggioranza quale che sia.

E quindi…

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