Voglio stare lassù: il prezzo della libertà

Voglio stare lassù: il prezzo della libertà

Voglio stare lassù: il prezzo della libertà

 

Il vento fischia. Fa un freddo cane. Rimpiango la giacca che ho dovuto lasciare. Ora sembra una scelta azzardata ma in realtà so che non è così. Mi avrebbe impedito nei movimenti e un capitombolo non è proprio quel che ci vuole stasera.

È strano questo spettacolo. È la prima volta che eseguo il numero al buio, senza averlo mai provato prima, ma la sua stravaganza consiste nel mio pregare che nessuno alzi gli occhi al cielo e mi scorga.

Non ho mai capito chi cammina guardando a terra. Calciare qualche sasso per rincorrere un pallone inesistente. Mi sono sempre domandato che gusto ci sia. Eppure stasera sono qui a sperare che laggiù ci siano sassi di tutte le fogge a stuzzicare stivali pronti a calciare e fare goal. 

Sì, sì, buttate pure la palla in rete, basta che nella rete non finisca io. 

No, di questo almeno sono certo. Questa sera lo spettacolo è straordinario, sono sospeso nel vuoto e niente rete sotto. 

Sono un pazzo, o forse sono solo un imprudente sognatore.

Il cavo ondeggia sotto il mio peso. Sono quasi certo che reggerà. La distanza tra i due tralici è di 70 metri, una discesa di pochi minuti, una corsa nel buio.

Una corsa in una notte senza luna.  Agli spettatori di questa performance non è permesso  vedere neppure la mia ombra.

Mi calo lungo il cavo, basta un piccolo errore e sono fritto, ridotto in cenere.

L’adrenalina mi scorre lungo la schiena. E se tutto fosse solo un errore?

Qui, sospeso a venti metri d’altezza, con un biglietto di sola andata mi dico che la domanda è superflua.

Il mio passato, i miei affetti sono ormai solo un ricordo. 

Quando il numero sarà finito tutto sarà nuovo e diverso.

Un altro circo mi ingaggerà e non tornerò mai più in questa città per una replica. No, non tornerò né a casa né sotto quel  tendone che era il mio mondo e che ho perso quando sono stato definito dissidente.

Il primo ostacolo è superato, ora devo solo passare inosservato e scendere. Scendere senza toccare, senza neppure sfiorare gli isolatori. Altrimenti sarò fritto. Non capisco molto di elettricità ma ne so abbastanza per capire che 120.000 volt non mi lasceranno scampo.  

Passare, passare inosservato. 

Eccoli là i miei nemici. I fari delle torrette illuminano a giorno il muro. Posso quasi distinguere un Franz qualunque che aspira avido il fumo della sigaretta nell’illusione di scaldarsi un po’.  

Franz, in questa Berlino divisa non guardare le stelle questa sera. Non alzare gli occhi al cielo per scorgere un fratello, imbracciare il fucile e farlo fuori. 

Franz, in questa Berlino divisa fumati la tua sigaretta, placa la tua solitudine così e lasciami fare ciò che meglio so fare.

Franz, questo è davvero il mio numero migliore. Peccato tu non possa vederlo.

Franz, continua così. 

Cammina nervoso là sotto senza sapere che il mio successo dipenderà solo da te.

Cammina ignaro, un passo dietro l’altro.

Cammina inconsapevole fino al dietrofront.

In presenza di un pubblico pagante questo sarebbe il momento del silenzio. Quel silenzio che nasce quando tutti trattengono il fiato mentre prendo lo slancio, piroetto in aria e balzo a terra.

Quel silenzio che si rompe con l’applauso e col sospiro comune di chi riprende a respirare.

Franz, peccato tu non debba vedermi ma spero tu capisca.

La tua cecità è la condizione necessaria affinché io torni ad essere solo un uomo semplice il cui cuore si riempie di gioia nello librarsi da una corda e l’altra, dondolando mentre il mondo lo osserva da lontano.

Peccato non possa vedermi ma comprenderai, questa è la condizione necessaria affinché io torni ad essere solo un artista di circo. 

Solo un trapezista che volteggia sotto un tendone, ma che piroetta da uomo libero. 

Horst Klein di 36 anni è fuggito nella notte del 27/12/1962 quando la temperatura era -15°. 

Questo è quanto ha dichiarato a La Stampa “Voi direte che sono stato un pazzo, ma non riuscivo più a vivere lontano da un circo. Facevo il trapezista nella zona comunista ma un giorno mi hanno licenziato perché non riuscivo a nascondere la mia avversione al comunismo. Da allora non ho pensato che alla fuga. Di elettricità non ne ho mai capito molto. Sapevo però che se avessi toccato contemporaneamente il pilone e il cavo elettrico, sarei stato ridotto in cenere. Perciò sono stato molto attento a saltare. Tutto qui. In un primo momento avevo pensato a fuggire a Berlino Ovest superando le barriere di filo spinato. Ma le trappole collocate dai comunisti e i mitra degli agenti di Panlow mi facevano paura. Vidi un pilone di una linea ad alta tensione, osservai la direzione di cavi, e mi venne improvvisamente una ispirazione. Perché non passare da lassù? Se non altro, pensai, sarà difficile che ai comunisti venga in mente di guardare in alto. Sentivo il vento muggire tra i cavi e come una strana sensazione nella schiena. Sotto di me scorgevo le pattuglie degli agenti e le barricate di filo spinato lungo il canale. I riflettori illuminavo la scena a giorno, ma i fasci luminosi non arrivavano all’altezza dei cavi.”

 

 CRISTINA RICCI

 

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