Viva la Siria che resiste

Marco G. Pellifroni propone per trucioli savonesi di questa settimana un articolo di un giovane filosofo, Diego Fusaro
Viva la Siria che resiste

Il nostro collaboratore Marco G. Pellifroni propone per trucioli savonesi di questa settimana un articolo di un giovane filosofo, Diego Fusaro, che ha seguito negli ultimi anni attraverso sue conferenze di presentazione di altrettanti suoi libri, che ha trovato estremamente penetranti: “Bentornato Marx”, “Minima mercatalia” e “Coraggio”, appena uscito e presentato dall’autore in una delle serate promosse dalla libreria Centofiori  di Finale Ligure nella rassegna “Un libro per l’estate”.
 L’articolo e tratto dal sito  lospiffero.com

Viva la Siria che resiste

L’oscena propaganda mediatica che, urbi et orbi, sta in questi giorni demonizzando la Siria e favorendo la vergognosa aggressione imperialistica americana può essere assunta come emblema del dilagante pluralismo multicentrico e polifonico che professa al plurale un’unica verità, quella del pensiero unico dominante e del suo scopo, la santificazione sub specie mentis della realtà nel suo stato attuale.

Le fantomatiche “armi chimiche” – che, non dimentichiamolo, vengono dopo le inesistenti “armi di distruzione di massa” in Iraq – diventano così il casus belli per legittimare ciò che era già stato deciso da tempo, ossia l’aggressione imperialistica della Siria, uno degli Stati che eroicamente resistono alla subordinazione all’impero americano. È l’equivalente dell’argomento dell’intorbidamento dell’acqua usata dal lupo che sta a monte, nella nota favola di Fedro, per aggredire l’agnello che sta a valle. Tutti (compreso il lupo) sanno che è una falsità organizzata, ma nessuno dice niente!


Il paragone è più istruttivo di quanto possa a tutta prima apparire. In effetti, per comprendere la vera natura della vicenda di Siria – episodio interno alla “quarta guerra mondiale”, dichiarata nel 1989 dall’impero americano a tutti gli Stati che eroicamente resistono al suo meschino imperialismo camuffato con la foglia di fico dei “diritti umani” –, più della retorica manipolata può aiutare la già ricordata favola di Fedro del lupo e dell’agnello, dedicata a quelli qui fictis causis innocentes opprimunt.

La vicenda di Siria va certo collocata nel quadro della cosiddetta “primavera araba”: la quale, a sua volta, non è affatto un “risveglio della storia” (Badiou), ma è semmai un penoso “ristagno della storia” (Gramsci). Si tratta complessivamente, infatti, di un grandioso processo controrivoluzionario, il cui tratto saliente deve essere identificato con il transito al regime neoliberale, alla produzione mercatistica affrancata da impedimenti valoriali e alla sottomissione integrale alla lex della monarchia universale. I patetici starnazzamenti contro l’Islam (dalla Fallaci a Baget Bozzo) sono del tutto interni a questo terrorismo che bolla come terrorismo ogni forza disposta a opporgli resistenza.

Come il 1991 sovietico ha posto fine al ciclo delle rivoluzioni comuniste novecentesche tramite una controrivoluzione restauratrice delle nuove classi medie, con tutte le tragedie sociali che ne sono scaturite (nei Paesi dell’ex Unione Sovietica le aspettative di vita sono in media scese di sette anni), così il ciclo della “primavera araba” sta rapidamente ponendo fine, non senza bagni di sangue, al ciclo delle rivoluzioni nazionaliste avviatesi a partire dal 1945 (dal nasserismo egiziano al gheddafismo libico). La “primavera araba” è, pertanto, funzionale alla sottomissione dell’area araba all’impero americano ed è a tutti gli effetti una fase decisiva della quarta guerra mondiale.


Diego Fusaro

Nel deserto di questa quarta guerra mondiale, è stato costruito ad hoc un nuovo modello antropologico che rappresenta l’apice dell’alienazione: l’homo videns. Spettatore del cosmo in cui i veri soggetti sono le merci e i meccanismi anonimi dell’economia feticizzata ed esportata con bombardamenti etici ed embarghi umanitari, manipolato dal circo mediatico e signoreggiato dalla media-crazia, l’homo videns si limita a osservare passivamente la realtà, conformandosi ad essa in forme sempre più irriflesse, secondo quella che la debordiana Société du spectacle etichettava come “l’alienazione dello spettatore a vantaggio dell’oggetto con­templato” (§ 30).

Provare per credere. Non appena si parla del caso della Siria, il popolo soggiogato al dominio mediatico è schierato totalmente con il potere: dà per scontato che le armi chimiche siano usate dall’efferato Assad e che, per ciò stesso, sia necessario bombardare il sanguinario tiranno (non importa sacrificando quante vite umane).

È uno scenario patetico e disarmante, prodotto dal bombardamento mediatico del pensiero unico. In coerenza con il teorema di Marx (le idee dominanti sono sempre le idee dei dominanti), il messaggio propagandato dall’industria dei consensi – il solo ad avere accesso nella mega-macchina dell’informazione millimetricamente controllata (tv, radio, giornali, ecc.) – non fa che confermare l’ordine dei dominanti, inducendo anche i dominati ad accettarlo supinamente. Accettando penosamente questa lordura ideologica, la sinistra italiana si rivela, una volta di più, subalterna a Monsieur le Capital. Essa ha totalmente introiettato le idee dominanti: chi pensa di essere “contro il sistema” o “contro il capitale” perché sta con la “sinistra” è un caso disperato, degno di essere abbandonato al suo misero destino.

Il popolo è ridotto a inerte spettatore della realtà mediatizzata ad opera del capitale schopenhauerianamente imperante “come volontà e rappresentazione”. Inutile mostrare, magari anche in modo documentato, che le “liste di proscrizione” contro i rogue States erano già state compilate da anni e che, dunque, l’aggressione alla Siria era programmata da tempo, bisognava solo trovare il casus belli: la potenza dell’ideologia non può essere scalfita, è onnipervasiva.  

La realtà e il simbolico sono totalmente pervasi dal potere, dall’ordine americano che si presenta come impero del bene delegittimando a priori ogni modello alternativo e ogni eroica resistenza (subito diffamati come “nuovi Hitler” da bombardare).


La media-crazia televisiva ha svolto, e continua a svolgere, una funzione imprescindibile in quest’opera di ottundimento programmato delle menti (complice anche, naturalmente, il clero giornalistico, che è parte integrante del circo mediatico). Essa sostituisce l’essere con l’apparenza, risolvendo la realtà nel flusso delle immagini manipolate degli schermi televisivi, in modo che la grande narrazione dominante sia continuamente confermata e riprodotta (armi chimiche, dittatori baffuti da abbattere, Impero americano del Bene che lotta per l’Umanità, ecc.). Mostrato sullo schermo televisivo, tutto si fa familiare e indifferente, perfino la bomba atomica o l’invasione etica in nome dei diritti umani.

Con la sintassi di Debord, lo spettacolo è un rapporto sociale mediato da immagini, in modo che l’ideologia egemonica possa impadronirsi a tal punto delle coscienze dell’opinione pubblica che non vi sia critica che valga a destrutturarla. Cade puntualmente nel vuoto la vox clamantis in deserto di chi, con spirito dissidente, canta fuori dal coro, denunciando la vera natura imperialistica delle operazioni della “monarchia universale” che aspira a sottomettere il mondo intero.

Ancora una volta, nel tempo che con diritto potrebbe essere definito heideggerianamente dell’“immagine del mondo” (Weltbild), in cui il reale è sostituito dalle sue immagini distorte ad opera del potere, il sistema ha buon gioco nel mostrarsi tollerante verso le opinioni antagoniste, puntualmente incapaci di superare la cortina dell’ideologia diventata pensiero unico.

Sul “Corriere della sera” come su “Repubblica”, su “La Stampa” come su “L’Unità”, l’allineamento con il messaggio dominante è spaventoso: il coro virtuoso del politicamente corretto trionfa incontrastato, e chi prova a far passare un messaggio alternativo è ignorato o puntualmente diffamato (fascista, stalinista, “amico dei dittatori”, ecc.).

Il raddoppiamento simbolico dell’esistente e la legittimazione integrale del potere rendono la destra e la sinistra perfettamente interscambiabili ed è – per inciso – il motivo per cui da tempo sostengo la necessità di abbandonare questa dicotomia, il cui grado di attualità è pari a quello della dicotomia tra guelfi e ghibellini. La vera divisione, oggi, è tra chi resiste al capitale e all’impero americano e chi invece li accetta supinamente. Chi continua a ragionare seguendo la dicotomia destra-sinistra si muove con le vecchie mappe sul nuovo territorio e, per ciò stesso, non può capire alcunché di quanto sta accadendo.


Ricordo, en passant, che gli USA – i nobili esportatori di democrazia e diritti umani – non solo hanno dato luogo a realtà concentrazionarie come Guantanamo e Abu Ghraib, in cui il capitale torna a grondare sangue e sporcizia da ogni poro (la fantomatica “comunità internazionale” non decide di intervenire anche lì?): hanno esplicitamente rifiutato di aderire, a suo tempo, alla messa al bando delle armi chimiche, con la motivazione per cui non intendevano limitare la loro (sottolineo la loro!) possibilità d’utilizzo di tali armi nell’interesse della nazione (per la stessa ragione non hanno aderito al tribunale internazionale dell’Aja, a cui tuttavia consegnano i loro prigionieri!). Perché il clero giornalistico e il circo mediatico si scordano sempre di specificarlo?

La monarchia universale USA – rispetto alla quale, in materia di crimini, Hitler e Stalin erano dei dilettanti – è, oggi, un impero a vocazione messianica ed espansionistica: per un verso, promuove la disgregazione degli Stati nella loro forma tradizionale in nome della globocrazia dei mercati; e, per un altro verso, contrabbanda se stesso come il solo Stato legittimo, imponendo in forma sempre più massiccia la propria spregevole natura di impero universale alfiere di una special mission coincidente con l’imposizione planetaria del mercato globale, spesso secondo modalità tutto fuorché idilliache (Iraq, Kosovo, Afghanistan, ecc.). Con una figura dialettica che potrebbe inscriversi idealmente nella struttura della Fenomenologia dello Spirito di Hegel, il vuoto cosmopolitismo astratto si rovescia in imperialismo messianico concreto.

È interessante, a questo proposito, prestare ascolto al lessico dell’impero. Così nel discorso di Bill Clinton del 20 gennaio 1997: “America stands alone as the world’s indispensable nation”. Tradotto nel lessico geopolitico: l’America è l’unica nazione indispensabile al mondo, tutte le altre o si piegano al suo dominio o possono essere spazzare via.

Ancora: in un’intervista televisiva del maggio 1996, la segretaria di Stato americano Madeleine Albright, di fronte alla giornalista che le ricordava timidamente che nella guerra d’Iraq erano stati uccisi mezzo milione di bambini (più che a Hiroshima!), così rispondeva: “I think this is a very hard choice, but the price… we think the price is worth it”. Tradotto in linguaggio politico: è un male necessario, ma ne vale la pena. È lo stesso dispositivo che è tornato a manifestarsi in Libia (2011) e ora in Siria: è un male necessario, ma… the price is worth it. Uccidere mezzo milione di bambini è, per la monarchia universale, un prezzo che può essere pagato: cosa dice di questo il clero giornalistico? Cosa dicono gli aficionados dei diritti umani? Quale guerra può mai valere la vita di mezzo milione di bambini?

Data la situazione tragica, bisogna pensare e agire radicalmente, cioè – come usa dire – senza se e senza ma: bisogna stare dalla parte di chi resiste, confidando negli Stati che si oppongono all’impero americano (dall’Iran alla Siria, da Cuba al Venezuela), valorizzando anche geopoliticamente la Cina e la Russia. Si tratta di spegnere l’incendio (imperialismo e invasione del mondo da parte della forma merce, ciò che pudicamente viene detto “globalizzazione”), e chi storce il naso di fronte alla Russia e alla Cina, all’Iran e alla Siria si comporta come chi, di fronte alle fiamme, volesse controllare i documenti dei pompieri per accertarne l’identità!

Per capire tutto questo e, soprattutto, la necessità di contrastare la monarchia universale, non bisogna aver letto Lenin o Carl Schmitt. Basta leggere Immanuel Kant, che in Per la pace perpetua (1795) così scriveva: “la separazione di molti stati vicini ed indipendenti fra loro è già di per sé uno stato di guerra (a meno che la loro unione in federazione non prevenga lo scoppio delle ostilità), ma esso val sempre meglio, secondo l’idea della ragione, che la fusione di tutti questi stati per l’opera di una potenza che si sovrapponga alle altre e si trasformi in monarchia universale”. Ben detto, Kant! Lunga vita agli Stati che resistono alla monarchia universale!

Diego Fusaro

http://www.lospiffero.com/cronache-marxiane/viva-la-siria-che-resiste-12277.html

 

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