Verso un bipartitismo virtuoso

 

Verso un bipartitismo virtuoso

La dialettica politica di un Paese normale

Verso un bipartitismo virtuoso

La dialettica politica di un Paese normale

 Col voto di domenica si saprà in modo definitivo quali sono i reali rapporti di forza fra le due componenti del governo e si vedrà se c’è veramente l’intenzione di proseguire fino al termine della legislatura, mettendo ovviamente in bilancio gli equilibri imposti dall’esito delle consultazioni. Il ridimensionamento inevitabile dei Cinquestelle non dovrebbe indebolire l’esecutivo, semmai dovrebbe contribuire a recidere i residui collegamenti con le frange dell’estremismo rosso, tacitare per sempre il rimpianto per il mancato accordo col Pd e  convincere la sua leadership della necessità di un’alleanza organica con la Lega superando la prospettiva angusta del contratto per enfatizzare la comune vocazione popolare e nazionale (diciamo pure populista e sovranista).   


 

Il pessimismo non paga; anticipare il fallimento non serve a nulla, costringe a vivere nell’attesa che si verifichi. Forte di questo principio mi convinco che l’alleanza giallo-verde reggerà per tutta la legislatura e spazzerà via definitivamente la politica, i partiti, le ideologie lasciatici in eredità dal dopoguerra. Mi si apre così lo scenario di un Paese ripulito dai residui del Pci poi Pds poi Ds e infine Pd e dei suoi satelliti, della sinistra tutta, della stucchevole ma non innocua retorica resistenziale e antifascista (settantasei anni dopo la fine del fascismo), con la Chiesa restituita alla sua funzione pastorale. Quando, parlando di valori, ci si riferirà all’onestà, alla lealtà, al coraggio, alla grandezza d’animo e non a un pezzo di carta frutto di compromessi, pesi e contrappesi come la costituzione o a eventi tragici, divisivi e discussi come quelli che caratterizzarono la dissoluzione della repubblica del nord.  Aver fatto assurgere la costituzione e la resistenza nell’empireo dei valori assoluti dà la misura dell’infantilismo etico e politico della  cultura di regime, un regime che come l’idra di Lerna sopravvive alla perdita del consenso elettorale ma una volta privato della linfa del potere dopo qualche colpo si coda finirà per stramazzare.

Se ciò accadrà, se quello scenario si realizzerà, credo anch’io, come Stefano Zecchi, che l’alleanza gialloverde evolverà in un nuovo bipolarismo, costruttivo, autenticamente dialettico, fra Lega e Cinquestelle, due anime dello stesso populismo, tatticamente in conflitto e in competizione fra di loro ma strategicamente complementari e solidali nel perseguire l’interesse della Patria.  Non è stato così negli anni  della prima e della seconda repubblica. Abbiamo avuto un’opposizione, quella comunista, che mirava al rovesciamento delle istituzioni, giocava su due tavoli, quello parlamentare e quello della piazza, e si avvaleva di una rete spionistica e di un apparato paramilitare, alla quale ha fatto seguito un compromesso sulla pelle degli italiani e della democrazia, con maggioranza e opposizione che, come i ladri di Pisa, si litigavano di giorno per spartirsi il bottino di notte. Insomma: una vera dialettica politica in Italia non c’è mai stata: si è passati dalla guerra civile al pateracchio.  Oggi, invece, nella tensione fra i due alleati di governo vedo le premesse per un autentico confronto politico, che non è mai fra il giusto e l’ingiusto o fra il bene e il male ma fra sensibilità diverse ma non incompatibili, il cui variabile dosaggio costituisce la ragion d’essere della democrazia.  Per semplicità lo ricondurrei  al contrasto fra ragione e sentimento, con la Lega  interprete dell’esigenza di  un funzionamento corretto della macchina amministrativa, del suo decentramento, della produttività,  dell’ammodernamento delle infrastrutture, della sburocratizzazione, del sostegno all’iniziativa privata, della valorizzazione del lavoro e del profitto. Una Lega ispirata all’etica protestante, così come la vedeva Max Weber, pragmatica e attenta ai bisogni dei cittadini. Di contro, il primato del sentimento nell’azione politica dei Cinquestelle, sensibile al richiamo di valori come la qualità della vita, la libera espressione del sé,  l’armonia con la natura, e attenta ai guasti che possono seguire a uno sconsiderato sfruttamento delle risorse naturali e a una malintesa idea di progresso e di modernità.


Voltaire e Rousseau

Una dialettica che ripropone le due anime della nostra civiltà, l’esprit de géométrie e l’esprit de finesse, Voltaire e Rousseau, così diversi fra di loro ma così tenacemente uniti nell’abbattere l’ancien régime, come cantavano i sanculotti, le due anime che convivono nei grandi della letteratura europea, in Goethe come in Leopardi, e rendono semplicistica e fuorviante la contrapposizione fra classicismo e romanticismo.  Così, fuor di metafora, vedo una finalmente sana, genuina, spregiudicata dialettica che interpreta atteggiamenti, esigenze, obbiettivi contrastanti ma autentici perché espressione di persone reali  non di arbitrari costrutti teorici  che coprono malamente interessi inconfessabili.

Con gli occhi e la mente rivolti a quello scenario non mi preoccupano le diàtribe all’interno della coalizione sulla linea ad alta velocità, sui viadotti, il trasporto del gas o i pozzi di petrolio.  Si possono, forse si debbono, poter sostenere tesi opposte col comune obbiettivo del bene comune e dell’interesse nazionale.

Ma quando è in ballo la sicurezza dei confini, la stabilità economica del Paese, il benessere e la tranquillità dei cittadini, non c’è spazio per il dissenso, ci deve essere unanimità, si è con la Patria o contro la Patria, enten eller, per dirla col filosofo danese, nessun distinguo, nessuna reticenza, nessun compromesso.  Per compiacere a Bruxelles – e non solo – e per gli affari degli amici e la speranza in un futuro target elettorale non mi sorprende che la sinistra strizzi l’occhio all’invasione – per molto meno i compagni volevano cedere il veneto agli slavi –  come non mi sorprende l’atteggiamento della Chiesa, che bada ai suoi interessi. Perché mai la Chiesa dovrebbe considerarsi italiana? Il calcio mi è del tutto indifferente come tutto lo sport spettacolo ma ricordo bene per chi tifavano i compagni quando l’Italia giocava contro la Russia sovietica, la loro vera patria, la loro patria ideale. Do per inteso che il clero, il Vaticano, gli eredi del Pci siano un corpo estraneo nel Paese. Ma i partiti che hanno almeno politicamente rovesciato il regime, i partiti del cambiamento, additati come populisti e sovranisti (un riconoscimento di cui essere fieri) non possono tradire il loro elettorato, non possono tradire  la patria italiana. E non opporsi con tutte le forze all’invasione significa tradire l’Italia, quale che sia il movente che viene addotto: salvare vite, comune umanità, dovere dell’accoglienza, trattati internazionali (?) o lettere delle nazioni unite dettate in Italia.


Su questo si gioca la credibilità del governo del cambiamento. E se si continua a parlare di ridistribuzione di migranti in Europa, dell’Ungheria che sarebbe ostile all’Italia perché sigilla i propri confini, se si sposta l’attenzione sui  respingimenti negando però le risorse necessarie per attuarli e coccolando i magistrati che li impediscono, se si celebra la giornata delle forze armate facendone la festa dell’accoglienza, non ci siamo.  Un governo che stintigna per dare  qualche centinaio di euro a nullatenenti italiani, che ha fatto fatica a consentire che altri italiani dopo aver versato contributi per quaranta anni  possano vivere il resto della loro vita liberi da un lavoro alienante, intende continuare a farsi carico di centinaia di migliaia di asiatici e africani in fuga dal lavoro e attratti dal miraggio dell’eldorado italiano?

Il mio ottimismo è giustificato dall’immagine che le due forze politiche di governo hanno fornito di sé, dal significato che è stato loro attribuito, dalle attese del loro elettorato. Comunque si considerino, tutti questi aspetti hanno un denominatore comune: il cambiamento. Il cambiamento, la svolta, la cesura col passato. Questa è, o meglio deve essere la loro essenza e proprio dal “dover essere” provengono insieme la mia fiducia e i miei dubbi, perché l’ottimismo non è la certezza fideistica del credente e il dover essere degrada facilmente nel “dovrebbe” essere. Sein-solleno, più precisamente, sein-sein sollen sono i due corni del dilemma dal quale dipende il destino del cambiamento, il senso delle parole che vengono dette, lo spessore e la credibilità degli uomini che le pronunciano. I piccoli uomini diventano grandi se  entrano nel disegno della grande storia, come del resto grandi uomini portano con sé la loro grandezza se si trovano a vivere in tempi che di grandi uomini non hanno bisogno.  

Sono a un bivio i partiti come sono a un bivio gli uomini. Di Maio  è un ragazzo sveglio, intraprendente, simpatico. Dopo  i primi passi nell’attività di governo  mi era sembrato che non solo imparasse in fretta il mestiere ma dimostrasse anche entusiasmo  e  una convinta sintonia con l’alleato di governo. Poi la sua immagine si è offuscata; innervosito dai sondaggi, deluso dai risultati elettorali, pressato dagli oppositori interni, più che al comando di una nave proiettata verso l’oceano si è trovato al timone di una barchetta in balia della risacca sottocosta. Mi spiace dirlo ma quando, ospite della Palombelli, rivendicava la sua napoletanità e giurava che lui a un pateracchio col Pd non ci pensava nemmeno ho provato un brivido lungo la schiena: ma questo è uno statista o un venditore di patacche? 

Dalle parti dei Cinquestelle  si sente troppo spesso ripetere il sospetto assolutamente infondato di un ritorno di Salvini nelle grinfie di Berlusconi;  un sospetto infondato, smentito dai fatti ma allarmante perché ha tutta l’aria di una formazione reattiva. L’enfasi che le emittenti di Stato, nelle quali ora si avverte lo zampino pentastellato, dedicano alla vicenda austriaca  non è casuale: sarebbe un bel colpo, una “figata” come dicono i ragazzi (io invece alludo al presidente della Camera) se Salvini e i suoi togliessero l’incomodo,  fossero rimpiazzati da tecnici e il governo rimanesse in piedi col sostegno della sinistra e degli immancabili responsabili attinti fra le fila forziste. E, a proposito di emittenti di Stato, il vergognoso tentativo di occultare il fattaccio di Mirandola – un attentato ad opera di un marocchino richiedente asilo in cui sono morte due persone e una ventina sono finite all’ospedale – di cui si è dato un primo frettoloso resoconto per subito dopo archiviarlo.  Chissà perché sull’episodio, per altro oscuro, del presunto stupro da parte di militanti di Casapound  le stesse emittenti sono tornate in tutte le edizioni per una settimana di seguito, saldandolo con  l’ostracismo antifascista all’editore di Casapound  che pubblica il libro intervista di Salvini. Cose degne della disinformatia stalinista. Se è questo il risultato dell’ingresso di Foa nella sala comando della Rai c’è poco da stare allegri. 

 Pier Franco Lisorini  docente di filosofia in pensione

 

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