Valbormida: una chimica fine in direzione …

VALBORMIDA:
UNA CHIMICA FINE IN DIREZIONE OSTINATA E CONTRARIATA
IL CONTRIBUTO DI VERITA’ DI UN PROTAGONISTA CHE C’ERA!

VALBORMIDA:
UNA CHIMICA FINE IN DIREZIONE OSTINATA E CONTRARIATA
IL CONTRIBUTO DI VERITA’ DI UN PROTAGONISTA CHE C’ERA!

Per i più giovani va innanzitutto ricordato che la chimica fine in Valbormida nacque come evoluzione dell’attività di produzione di esplosivi. L’ubicazione doveva essere in zone meno densamente abitate. La disponibilità di corsi d’acqua era allora superiore, poiché non era ancora stata deviata una parte delle acque che hanno impoverito la portata del Bormida di Cengio.

Quando nel secondo dopoguerra aumentarono le giuste attenzioni alla protezione ambientale e iniziata a crescere la sensibilità ecologica, le attività produttive dovettero misurasi in modo crescente, da un lato con le istanze della protezione ambientale e dall’altro con le prime rivendicazioni operaie e sindacali per la salvaguardia della salute e la sicurezza del lavoro.


La progressiva crescita della sensibilità ambientale dei lavoratori e delle popolazioni, aveva  quindi determinato nuovi costi che – aggiunti ad altri fattori – avevano portato tutti i paesi occidentali a delocalizzare le attività chimiche di base nei paesi meno sviluppati e a concentrare in quelli tedeschi le attività di maggior valore aggiunto.

La chimica della Montedison si era dunque venuta a trovare – negli anni ’70 – in una situazione competitiva nuova e molto difficile da gestire: ripensare le linee strategiche diventava un vincolo e un’assoluta priorità della Proprietà e del Management per governare e reggere le nuove sfide imposte dall’ambiente e dal mercato sempre più internazionale.

La strategia di Mario Schimberni era stata di razionalizzare le attività di tutto il Gruppo avvalendosi di nuova linfa manageriale grazie all’inserimento di una decina di top manager provenienti dai più prestigiosi Gruppi internazionali.

  

Tra questi Ulrich Duden che – formatosi in Hoechst – aveva lavorato ben 12 anni in estremo oriente e conosceva molto bene le potenzialità in quei paesi e i relativi mercati di interesse.

Nel 1981 prese in consegna ACNA e capì subito che i tre business avevano destini diversi: i coloranti erano da chiudere, poiché, ormai delocalizzati da tutti fuori Europa (catena bassa della produzione chimica); i pigmenti furono ceduti alla United Technologies in base ad una analisi di competitività; gli intermedi prodotti a Cengio potevano avere un futuro, a condizione di rendersi compatibili con il territorio e di essere economicamente sostenibili nonostante i costi aggiuntivi per la protezione ambientale.

Duden comprese perfettamente e immediatamente la portata e la qualità della nuova sfida ecologica per reggere la moderna competizione internazione in un mondo che si avviava verso la globalizzazione.

E comprese – altrettanto bene – che vi era bisogno assoluto d’investimenti aggiuntivi in tecnologie, innovazioni di processo e di prodotto, chiusure d’impianti vetusti e pericolosi.

 

Ulrich Duden individuò ben presto anche un’altra priorità: per vincere le nuove sfide occorreva un cambio sostanziale di mentalità e del modo di affrontare le criticità della Chimica fine nel rapporto con territorio, lavoratori e “interlocutori esterni”.

Quindi serviva un Sistema di Relazioni industriali avanzato, talvolta aspramente dialettico ma collaborativo con i rappresentanti dei Lavoratori, a tutti i livelli.

Bisognava passare per un nuovo e diverso rapporto con la Federazione Unitaria Lavoratori Chimici (FULC) e i suoi rappresentanti pro tempore (Spagnoletti, FILCEA CGIL, Rossi, FLERICA CISL e Congiu, UILCEM UIL), nonché con il Consiglio Unitario dei Delegati CGIL- CISL– UIL dell’Acna.

Questo voleva dire una doppia sfida.

Far accettare a Montedison pesanti investimenti per la protezione ambientale: per il solo depuratore furono investiti circa 16 miliardi, pari a 8 milioni di Euro di allora, una cifra che oggi significa quasi 25 milioni di Euro.

Ma nel complesso, gli investimenti nel periodo ’81–‘86 sfiorarono i 50 miliardi di lire, oggi quasi 75 milioni di Euro principalmente in bonifiche delle strutture, rifacimenti e ambiente. Il fatturato di allora, 155 miliardi di lire, oggi quasi 240 milioni di Euro, dimostra la rilevanza dello sforzo fatto. 

Va detto che restavano da risolvere le bonifiche di buona parte dell’intero sito, pari a 53 ettari. Ma sarebbe stato illusorio pensare di risolvere eredità storiche risalenti a diverse proprietà – succedutesi attraverso due guerre mondiali e relative fasi economiche  – caricandone gli oneri su un ridotto business che meritava essere salvato con il relativo portato occupazionale. 

Era naturale che la razionalizzazione dei costi fosse un obiettivo necessario, quasi non negoziabile.

I sindacati chimici, che – non solo a Cengio – avevano dimostrato già nel Contratto Nazionale del 1976 la capacità di accettare non facili corresponsabilità nelle pesanti e inevitabili ristrutturazioni che  ormai che avevano investito tutti i Poli Chimici di eccellenza dalla Valle d’Aosta a Priolo in Sicilia, raccolsero la sfida di Cengio mettendovisi in gioco.


(il giovane Sergio Cofferati al 4° Congresso della Filcea- Cgil)

Era naturale che questa linea di comportamento sollevasse obiezioni, anche se non era affatto una “subordinazione” del Sindacato alla cultura aziendale o un cedimento alla pratica dello “scambio” o – peggio ancora – un “mercato” degli interessi di Parte.

Queste obiezioni che hanno accompagnato tutti quegli anni hanno dimostrato che molti non avevano capito molto le ragioni della svolta della svolta imprenditoriale (Schimberni e Duden) e Sindacale (Cofferati, Mariani, Degni)!

In quegli anni di inizio – metà ’80 furono messi a dura prova molti altri soggetti dentro ACNA, dal management e dai quadri, per arrivare a tutti i collaboratori, anche nei singoli reparti produttivi. Il cambiamento fu sostenuto da un investimento massiccio in formazione e in comunicazione interna, inizialmente visto con scetticismo, gradualmente trasformatosi in condivisione.

Va riconosciuto al sindacato il merito di non aver remato contro e – soprattutto – di essersi mantenuto unito nello sforzo di partecipare al risanamento di ACNA, divenuta ACNA Chimica Organica, negoziando i programmi d’investimento, i segmenti di business da consolidare e innovare, in un quadro di progressiva compatibilizzazione dell’industria chimica con il territorio.

Esperienza che più recentemente non è stata valorizzata in altri settori. Basti pensare a quello metalmeccanico in cui la FIAT di Marchionne ha dovuto fronteggiare una forte linea contraria da parte della FIOM di Landini! 

Se in ACNA si arrivò a traguardare con successo le realizzazioni dei primi anni ’80 lo fu per la coesione  e la costruzione di un sistema di relazioni industriali (management-sindacato-lavoratori), capace di lavorare con obiettivi comuni nell’interesse delle parti: ricomponendo conflittualità e partecipazione nella gestione dei processi industriali e delle scelte strategiche d’impresa,  finalizzate a vincere la “doppia” sfida dell’innovazione tecnologica per salvaguardare produzione chimica, salute e ambiente interno ed esterno al grande Stabilimento di Cengio.

La decisione di non aderire al progetto di depuratore consortile e di puntare al depuratore autonomo fu presa con il convinto sostegno del sindacato, nonostante alcune forze politiche inviassero messaggi contrari.

Questo per dire che un sindacato forte deve saper lavorare in autonomia dai Politici, soprattutto quando c’è alle spalle – come a Cengio – una tradizione opposta e contraria.

E’ ormai un fatto storico appurato il perdurante negoziato (qui sì compravendita)  tra i Politici locali, i Sindaci e la Montedison, per ottenere occupazione in cambio di abbuoni in materia ambientale sia nel versante ligure, sia piemontese.

Questo era stato possibile negli anni ’50-’70, prima che le normative ambientali divenissero particolarmente stringenti sotto la pressione di un mutato clima dovuto ai fatti di Seveso.

Il nuovo e diverso orientamento del Sindacato degli ’80, facilitò l’abbandono della storica mediazione con il territorio, consentendo alla nuova ACNA di negare l’atavico scambio, occupazione contro tolleranza all’inquinamento.  

I Sindaci della Valle Bormida furono inizialmente increduli, ma poi dovettero rassegnarsi e parteciparono soddisfatti all’inaugurazione del depuratore.


L’azienda era stata capace di risolvere il problema degli scarichi nel Bormida e di produrre e commerializzare i propri intermedi chimici in tutto il mondo, producendo utili.

Basti dire che in Giappone veniva esportato il 10% del fatturato.

Come già detto, restavano da affrontare i problemi degli stoccaggi di materiali provenienti dalle lavorazioni di un secolo di attività, ma l’azienda era stata rimessa bene in piedi e, a fine 1986, si poteva guardare a un quinquennio successivo per impostare progetti altrettanto ambiziosi, anche nel campo ambientale, anche a vantaggio dell’occupazione in Valbormida.

Sappiamo bene che il 1987 e 1988 hanno visto l’avvicendamento romanzesco di Mario Schimberni con Raul Gardini e tutto quello che ne è conseguito nella chimica italiana.


 

La breve gestione Ferruzzi fu segnata da vicende finanziarie, piuttosto che da vera strategia per la chimica, nonostante le affermazioni di Raul Gardini. Il Gruppo Ferruzzi aveva ben presto iniziato a disinvestire i suoi gioielli (Erbamont, Himont. Ecc.) per incassare migliaia di miliardi di lire di allora.

Gli scandali che arrivarono al suicidio di Cagliari e di Gardini fecero il resto.


 In una fase immediatamente successiva Enichem è intervenuta a mutare il contesto, allontanando ACNA Chimica Organica dalla direzione tracciata nella prima metà degli anni ’80; difficile da verificare negli anni seguenti per le vicende che hanno cambiato il quadro, al quale chi scrive non ha partecipato. Ma questa è un’altra storia che qualche Protagonista di allora potrà raccontarci!

Giovanni Ferrero

 

Giovanni Ferrero, è stato il dirigente responsabile di Personale, Organizzazione e di Comuncazioni interne esterne di Acna Chimica Organica nel triennio ’82-’86. Ha operato inizialmente presso Italia Navigazione Genova, Confindustria Savona ed Essochem a Vado Ligure e Milano, ricoprendo incarichi associativi regionali e nazionali con esperienze di contrattazione sindacale a tutti i livelli (Federmeccanica e Aschimici). Lasciata Cengio ha lavorato in Montefibre prima di accettare nel 1988 un importante incarico in Himont negli Stati Uniti.  Tornato in Europa alla fine del 1991, è stato Direttore Personale e Organizzazione,  e membro del Comitato di Direzione con incarichi nel CdA di Affiliate in Italia ed Europa presso importanti multinazionali: Waste Management, Emerson Electric.  

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