Urbanistica s-partecipata

 Urbanistica s-partecipata

Urbanistica s-partecipata

Partiamo dal chiarire, come è stato già ribadito da più parti, che l’urbanistica partecipata è un’altra cosa.
Significa partire dall’inizio e dal basso, almeno per i progetti significativi: mettere a confronto disponibilità e tipologia di aree, pareri tecnici, esigenze della popolazione, abitative, di qualità di vita, di zona e quartieri, di servizi, vincoli ambientali e paesaggistici, confronto con esempi virtuosi di altri comuni, interessi imprenditoriali, e mescolarli in un crogiolo virtuoso dove il Comune, in qualità di rappresentante dei cittadini e con risorse proprie di cui disporre, media e dirige il tutto, verso uno scopo che possa soddisfare le parti in causa.

 Dove gli interessi imprenditoriali sono uno degli attori in gioco, con ovvio diritto ad un giusto profitto, ma non l’unico con tutte le carte da giocare già in mano, lasciando agli altri poche scartine.  E poi si parte con progetti e autorizzazioni, in un iter che, a quel punto, si suppone condiviso e veloce.

Quello che invece i Comuni intendono, di solito, è pratica talmente diffusa da meritare l’acronimo anglo-italiano DAD,  che nella nostra lingua suona: Decidi-Annuncia-Difendi.

Gli imprenditori hanno le aree, stabiliscono i progetti, contrattano col Comune, presentano. Dopodiché si vuole  far accettare il tutto  alla popolazione, già in una situazione in cui si tenta di incentivare l’approvazione, di scoraggiare i contrari, di limitare l’intervento dei cittadini a qualche critica o suggerimento di modifica, magari accogliendone qualcuno per dare l’impressione dell’ascolto.

Psicologicamente, del resto, nel momento in cui si viene invitati a discutere degli aspetti concreti del progetto, a fare domande, a segnalare problemi, l’accettazione risulta già in qualche modo implicita, e chi volesse esprimere dissenso di fondo si ritrova a  disagio. Se poi, irritato dal contesto provocatorio, lo fa animatamente, accalorandosi per qualcosa che gli sta a cuore di persona, ecco subito il biasimo, l’invocare la civile discussione. Ecco ricordare il rispetto a priori che merita chi si è “graziosamente” degnato di esporre il progetto. Irrilevante  quanto questo sia incidente sulla comunità. Irrilevante il fatto che non esista in natura, qualcosa come un fantomatico diritto a costruire.

E’ questa serie di atteggiamenti di base, profondamente fuorvianti,  che anima questo tipo di riunioni.

Lo abbiamo constatato anche per quel che riguarda il progetto Riborgo. Ma con qualche spiraglio, con qualche sintomo che fa ben sperare, se non altro in chiave futura.

Innanzitutto, l’elevata partecipazione alle due serate. Partecipazione di qualità, di cittadini attenti, sensibili, precisi nell’esporre il punto di vista, dignitosi e per nulla disposti a subire decisioni altrui, in un senso o nell’altro. Documentati e puntuali, “sul pezzo”, con tanto di foto delle alluvioni e delle frane.

Poi, gli esperti qualificati che hanno fornito pareri: i geologi, gli esperti del territorio, della viabilità, dell’idraulica, le associazioni Italia Nostra e Salviamo il Paesaggio.

La clamorosa presa di posizione del progettista energetico Gamaleri, che si è riconosciuto “obiettore di coscienza” nei confronti del consumo di suolo.

Di contro, i promotori del progetto stesso non sono apparsi così brillanti, chiari e informati, come se non fossero preparati ad ostacoli di rilievo.

Il consumo di suolo, la situazione idraulica, la viabilità. Sul primo punto le repliche sono state piuttosto goffe, dall’irridere la possibilità di coltivare i terreni, e la loro importanza, al rivendicare gli ampi spazi intorno. (Collinari e boscati a fronte di fasce semipianeggianti sacrificate, ma ciò è irrilevante). Mancando clamorosamente il vero nocciolo della questione, che non è se il terreno sia buono per le rape o per le patate, ma l’intero complesso di rapporti fra suolo disponibile e suolo usato.

Più articolata la discussione sugli altri punti, fra soluzioni proposte, dubbi, problemi trascurati (i pozzetti delle fogne, le angolature delle strade, i materiali solidi delle piene, la demolizione della conceria…).

il progetto Riborgo
 

E’ stato poi aggiunto un altro punto, le caratteristiche progettuali, che per la verità non era affatto un elemento di discussione richiesto. Forse si voleva dar modo ai progettisti di far vedere quanto fossero belle e brillanti le soluzioni proposte, in una sorta di marketing, ma essendo difficilmente interessati gli abitanti del borgo all’acquisto di villette, 400 000 euro circa il prezzo di base, sono rimasti piuttosto freddi in proposito,  e non molto coinvolti dalla fisionomia innovativa ed estranea delle case che qualcuno vorrebbe piazzare di fronte alle loro, o dalle brillanti soluzioni tecnologiche.

Ecocompatibili? Impatto zero? Classe A+? Il vero impatto zero, mi ricordava qualcuno del pubblico, è quando abbatti e ricostruisci con criteri più efficienti, in loco. Non quando sacrifichi altri spazi.

E’ un po’ come quando ci arriva l’aglio biologico dall’Argentina. Che biologico è, se ha girato mezzo mondo?

L’ecologia, il rispetto dell’ambiente e del nostro futuro non sono un alibi, un passaporto, una bandiera, una facciata. Sono essenza e vita, volontà di cambiamento radicale. Altrimenti non servono a niente, anzi, sono controproducenti.

Il Piano casa di Berlusconi è stato l’ennesimo, famigerato liberi tutti al cemento selvaggio. Se aveva senso proporlo come ampliamento facilitato di casette singole, eliminazione di burocrazia e costi per ristrutturazioni, per dare incentivi alla piccola edilizia, che c’azzecca con la possibilità di acquistare fabbricati, demolire, sfruttare i volumi altrove in aree più convenienti? Esattamente quel che vorrebbe fare il progetto Riborgo, trasformare i volumi, di un fabbricato alto e stretto in riva al fiume, la conceria, AMPLIANDO DEL 35 %, in tanti blocchettini di casette sparse, massimizzando i vantaggi e i guadagni.

La legge regionale ligure sul Piano, sponsorizzata dall’ex vicepresidente Fusco, aveva ricevuto molte polemiche, da tanto era favorevole alla speculazione. Tanto mostruosa che si era resa necessaria una revisione, riducendo gli ampliamenti e sottraendo le aree agricole alla possibilità di trasformazione.

Ora è in dirittura d’arrivo una legge regionale per la tutela delle poche aree agricole rimaste. Non solo. A livello nazionale, persino un governo tutt’altro che ambientalista come quello Monti è costretto a riconoscere che non possiamo più sacrificare neppure un pezzettino di suolo libero e promuove leggi a favore dell’agricoltura e di salvaguardia dei terreni incolti ovunque siano.

In  tutto questo, il progetto Riborgo è stato depositato sul filo di lana, quasi fuori tempo utile, appena un giorno prima che entrasse in vigore la legge regionale modificata, che l’avrebbe di fatto impedito. Formalmente è in regola. Come sensibilità, opportunità e rispetto per la comunità, visione lungimirante, neanche un po’.

Non basta questo, a fermare l’idea stessa? Ci sono gli oneri, i lavori, il ponte. Ebbene, è stato ampiamente dimostrato che non risolverebbero del tutto i problemi di viabilità e idraulica, che andrebbero in massima parte a sostegno delle villette stesse, le quali peraltro aumenterebbero il peso insediativo della zona, come traffico e fognature.

Davvero, se si rinuncia al progetto,  non ci sono altre possibilità di allargare strade, fornire un accesso a quella casa isolata, le cui proprietarie difendevano giustamente il piano costruttivo, come ultima spiaggia per i loro diritti?  Sarebbe più che doveroso dare delle alternative, diverse dal pacchetto villette più oneri vari, quella che Salviamo il territorio chiama, come esempio assolutamente negativo, “urbanistica contrattata”.

Nell’intervento finale dell’amministrazione, nella persona di  Di Tullio, sono stati espressi chiari punti di vista, sui quali si potrebbe discutere e argomentare a lungo.

Mi vorrei soffermare solo, per esprimere disaccordo, sul ringraziamento ossequioso ai progettisti, che, secondo il vicesindaco, si sono prestati agli incontri e avrebbero potuto anche non farlo. Secondo me invece hanno semplicemente svolto un loro minimo dovere verso la collettività.

Un progetto che incide così sulla vita di un intero borgo, avrebbe potuto essere discusso in sede comunale e poi imposto se approvato? Quando richiede una variante specifica, sottoposta a commissione, consiglio, sovrintendenza, conferenza dei servizi?

I costruttori sarebbero stati perfettamente legittimati a presentarsi lì con cartelli e ruspe, far strade e ponti e case, senza nulla dover spiegare prima agli abitanti? Mi pare una versione quanto meno curiosa della democrazia. Anche di quella rappresentativa e delegante, senza voler chiamare in causa quella diretta, tanto vituperata e pericolosa.

Né questo fantomatico rispetto per i costruttori deve spingersi a non poter criticare chi difende la Margonara e non le campagne. Additare la mancanza di coerenza, uno dei mali del nostro tempo, non è “sbeffeggiare”. Non è “imbarbarire” il dialogo. Curiosi i termini dell’assessore.

A me sembra che a mancare profondamente di rispetto alla comunità di Riborgo, sia stato chi, in principio di serata e in mancanza di argomenti validi, ha detto qualcosa come: ma cosa volete coltivare, non c’è neanche una strada… ve li regalo, quei terreni, se dite che sono “un granaio”. Però poi voglio mangiare il pane! Con estremo e leggero disprezzo.

Questo sì, è sbeffeggiare. Chi conosce l’amore disperato per la nostra terra ligure così aspra, e faticosa, eppure dai frutti così dolci. Chi affronta, per lavoro o per passione, un lavoro manuale dalla saggezza antica, ha la consapevolezza che in questo ponte con il passato sta la chiave di volta per il futuro. Ha nelle mani la vera dignità dell’individuo, le nostre radici che non dobbiamo cancellare, un prezioso retaggio che, certo, trasformato nel modo giusto, mediato dalla modernità, (non solo zappe e calli alle mani!) può costituire una risorsa fondamentale. Non parlo per sentito dire, ma per esperienza diretta di una vita.

Comunque io ero lì, fra il pubblico, quando fu deciso il sì al progetto Margonara esposto dallo stesso assessore. Agitavo ciabattine, in risposta all’assessore alla cultura Molteni che definiva i contrari  a Fuksas “pantofolai”.

Nonostante fossi scesa su quella spiaggia non più di un paio di volte in vita mia.

Difendo la vita di un borgo quieto e suggestivo, che respira tradizione e legame fra passato e futuro, nonostante l’abbia visitato per la prima volta due mesi fa.

Così come difendo, in base a quegli stessi principi, ciò che mi riguarda più da vicino. Sempre, e con identica passione. E continuerò a farlo.

A meno che lo sbeffeggiare tanto biasimato dall’assessore non fosse riferito a questo articolo di Preve nel suo blog su Repubblica:

http://preve.blogautore.repubblica.it/2012/10/02/savona-ambientalisti-transgender/

Pure il giornalista non era abilitato a criticare?

In sostanza, questa volta la figura dei nimby, di chi difende interessi nel suo particulare ammantandoli da interessi generali, non l’hanno fatta certo i cittadini.

Hanno invece saputo ragionare, valutare, chiedere, non facendosi solo accecare dalle sirene del presunto sviluppo, della presunta valorizzazione dei terreni e dei propri beni, dei vantaggi puramente monetizzabili. Hanno tenuto nel giusto conto, sull’altro piatto della bilancia,  il valore prezioso della vita di una comunità, lo snaturamento da evitare, la dignità e i veri diritti, tra cui quello alla quiete.

Nel rispetto della tradizione, nel rude carattere ligure, con quell’atteggiamento un po’ brusco, schivo, che bada al sodo, che ci caratterizza, han saputo intuire che esiste una via, che non è arretratezza, non  è “ritorno alle caverne” , non è la natura “immobile come presepe”,  non è “populismo demagogico e strumentale” fastidiosi slogan stereotipati e ammuffiti che per fortuna si sono uditi poco in sala: è ricostruire tutti insieme, in solidarietà, allegria e speranza, un modello nuovo e migliore di economia, territorio e futuro.

Belle o brutte che siano, son le “nostre” case, han detto.

Basterà tutto questo perché siano ascoltati?

 

 

 

 

 

 

 

Milena Debendetti  consigliera del MoVimento 5 stelle

 

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