Un racconto

Un racconto di Orlando Defrancisci
LA CACCIA

Un racconto di Orlando Defrancisci
LA CACCIA
Jonathan era un cacciatore, ma di quelli proprio incalliti, lui la caccia l’aveva nel sangue, del resto non poteva essere altrimenti, suo padre e suo zio lo avevano portato con loro che neanche ancora sapeva camminare, il rumore degli spari era stata la sua ninna nanna e l’odore della polvere nera, il suo profumo di talco!
Sparava bene Jonathan, ed era pieno di armi di ogni genere e tipo, insomma lui era “il cacciatore” per eccellenza!

Il circolo era il posto degli “uomini”, non che le donne non fossero ammesse, per carità, ma francamente sarebbero state fuori luogo, i soffitti alti e affrescati, le comode poltrone, e gli inservienti che discreti si aggiravano tra le stanze di quel bel palazzo settecentesco in cui il circolo aveva sede, rendevano l’atmosfera morbida, ma estremamente forte, come forti erano i discorsi che in quel luogo avvenivano, li si compivano alleanze, li si decidevano tanti equilibri politici ed economici che avrebbero inciso nelle vite di tanta gente, li si stringevano patti che sarebbero rimasti segreti, li si raccontavano segreti e si mischiavo le carte del gioco della vita, quello era un luogo per gente importante, che conta e che decide, Jonathan stava parlando con l’avvocato Malcovich, che aveva accanto monsignor Smitherson, sulla grande poltrona vicino al monumentale camino sedeva Verner, si proprio il grande regista, quello degli Oscar, stavano tutti amabilmente parlando di caccia.

Monsignore, disse Malcovich, “ma tu veramente ci staresti, e la tua fede”?
Il sorriso che increspava il suo volto era già una chiara risposta alla domanda rivolta all’alto prelato, che con un cenno di fastidio gli disse “pensa ai tuoi scrupoli che io bado ai miei”!
“Calma signori” intervenne Verner, stiamo amabilmente discutendo su un argomento che ci accomuna, noi tutti siamo, diciamo così, grandi cacciatori, abbiamo cacciato in ogni dove e in qualsiasi situazione, ma …
Il silenzio si impadronì per un attimo di quel luogo così carico di storia rendendo la sospensione del discorso che Verner stava facendo ancora più carica di significati, dopo quell’attimo che era sembrato a tutti eterno, Verner continuò dicendo:
“Pensateci, cosa ci manca a noi tutti, quale è la preda per eccellenza, quale l’animale più intelligente, quello più furbo, il più capace a nascondersi, ad organizzarsi e resistere”?

“Voi tutti sapete, ed è questa la preda che ci manca, noi abbiamo i mezzi e le opportunità per realizzare la più grande battuta di caccia della nostra vita”!
Jonathan era rimasto in silenzio, aveva ascoltato quella che sembrava all’inizio una proposta folle, ed aveva visto come pian piano, lo stupore e lo sdegno di alcuni dei presenti aveva lasciato il posto all’interesse ed all’istinto da predatore così sviluppato in ognuno di loro, si, pensò, perché no.
Il bosco era fitto e tra i rami s’intravedeva il sole che stava tramontando, faceva freddo ma Mark non lo sentiva, era solo una lontana percezione, come una figura ai bordi degli occhi che vedi, ma non compiutamente; aveva altro per la testa Mark!
Certo che alla fine sarebbero stati un bel mucchietto di soldi, e se qualcuno di loro, erano in tre, fosse riuscito a non farsi beccare arrivando dall’altra parte del bosco, il premio sarebbe stato ben più alto.
Verner aveva tutta la sua attrezzatura, era tanto che non girava lui stesso, ed adesso stava spiegando ai “concorrenti” cosa dovevano fare e come.
“Signori, vi abbiamo già spiegato al momento dell’ingaggio in cosa consiste questo nostro reality, non dovrete mai togliervi le microcamere che avete addosso, partirete in direzione del bosco per attraversalo, uno ogni cinque minuti, tenterete di raggiungere l’altro lato del bosco separatamente e potrete adottare qualsiasi mezzo, dopo di voi, quando saranno passati dieci minuti dall’ultimo, faremo partire il gruppo dei cacciatori, anche loro muniti di microcamere, e di fucili che sparano proiettili di vernice, mi raccomando appena colpiti fermatevi ed aspettate il cacciatore che vi ha centrato, tutto chiaro”?
“Bene” disse il regista dopo aver incassato il cenno di assenso del gruppetto che gli stava davanti, “il primo può partire”.
Jonathan, stava correndo, ansimava ma correva, sentiva nell’aria l’odore della sua preda; Jonathan si sentiva un lupo, capiva cosa provava un lupo quando correva dietro alla sua preda. Si fermò di scatto e nel visore notturno percepì un leggero movimento, l’azione fu più rapida del pensiero, imbracciò il fucile e fece fuoco.
L’urlo lacerante, da animale ferito tagliò l’aria, Jonathan corse in quella direzione e vide la sua preda, era ancora vivo, gli si avvicinò, si tolse il visore ad infrarossi e lo guardo diritto negli occhi, poi alzo il fucile e fece nuovamente fuoco!
Mark aveva capito dopo poche centinaia di metri che era stato intrappolato, l’aveva capito quando la prima pallottola con un schiocco sordo si era conficcata nel tronco di un grosso albero, si Mark aveva capito che si stava giocando la vita.
Correva Mark, come non aveva corso mai in vita sua, non sentiva la fatica ne il dolore che i rovi o i rami che attraversava in quella folle corsa, gli procuravano, correva alla ricerca di qualcosa che potesse proteggerlo da chi lo inseguiva, aveva paura Mark, aveva la gola secca ed era terrorizzato, aveva addosso la disperazione della preda che sa di essere inseguita da chi spietatamente non vuole altro che la sua morte, Mark era “la preda”!
Senti del rumore dietro di lui e cercò di accelerare l’andatura, vide il grosso tronco sul sentiero e si preparò a superarlo, fu in quell’istante che sentì il colpo al fianco, l’impatto lo sollevò quasi da terra come un inutile fantoccio di pezza, Mark stramazzò con un urlo lacerante, vide il sangue, il suo sangue colare nel terreno, cercò di muoversi ma senza riuscirci, poi vide il cacciatore, gli si era parato davanti, e lo guardava fisso, Mark alzò una mano come per proteggersi o per fermare quella belva, poi tutto finì!
Jonathan, tirò fuori il suo grosso coltello da caccia ed incise partendo dalla fronte la cute della preda, tracciò un cerchio e strappo forte, adesso aveva il suo trofeo, la prova che lui una preda l’aveva conquistata, a “ripulire” ci avrebbero pensato gli uomini di Malcovich, l’avvocato, loro sapevano come fare era il loro lavoro, ricaricò il fucile e ricominciò la caccia, ne restavano ancora due, con un po’ di fortuna forse …!

La sala era gremita di giornalisti, la conferenza stampa era stata programmata dopo la proiezione, ed i venti minuti di applausi certo avevano ben disposto il regista Olaf Verner, che sedeva con il migliore dei suoi sorrisi tra il produttore ed suoi alcuni attori,
“Mister Olaf”, disse un giornalista alzandosi e iniziando così la conferenza stampa, “il soggetto del suo film è direi abbastanza originale ma quello che più ci ha convinto è la crudezza delle immagini e il tratto realistico quasi documentaristico che lei ha dato al suo film, dei protagonisti sappiamo quasi tutto, ma ci può dire qualcosa di più sulle comparse che ha utilizzato come preda e che nel film non vengono mai visti bene in volto, dove è riuscito a scovare dei figuranti così bravi da far sembrare così reale tutta l’azione che si sviluppa nel suo film”?
Olaf Verner, si avvicinò il microfono poggiato sul tavolo davanti a lui e con il migliore dei suoi sorrisi, disse “ragazzi non vorrete che sveli tutti i miei segreti, e poi a farlo rischierei di finire in galera”!
Risero tutti divertiti alla battuta del “maestro” che probabilmente avrebbe avuto ancora un’altra candidatura agli “Oscar”, per questo suo ultimo lavoro, e magari l’avrebbe pure vinto!
Jonathan, in fondo alla sala, ascoltava calmo, aveva visto il film ed era stato piacevole rivivere quelle sensazioni, aveva risentito nelle narici l’odore del sangue e l’adrenalina della “caccia”, avrebbe parlato dopo con calma con Olaf, lui era un tipo sveglio, avrebbe trovato il sistema per organizzare un’altra battuta.

ORLANDO DEFRANCISCI

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