Un modo diverso di governare il mondo

Tanto evocata, tanto esorcizzata e alla fine è arrivata la guerra, la solita sporca guerra, con il suo nefasto corredo di morte e distruzione.
L’evento interroga in profondità la coscienza di “donne e uomini in ricerca e confronto comunitario”, la frase presente in tutte le copertine di Tempi di fraternità, il giornale che raccoglie, per fortuna come tanti altri, esperienze, riflessioni e speranze in un mondo nuovo in cui abitino pace e concordia. Il rischio più importante della guerra è di perdere, insieme a migliaia di vite umane, anche la speranza in un futuro migliore. E poi ancora distruzione e devastazione… e odio, matrice e propagatore di ogni guerra.
Papa Francesco, a nostro parere unico leader internazionale, è stato chiaro e profetico a questo riguardo: «Le vere risposte non sono altre armi, altre sanzioni. Io mi sono vergognato quando ho letto che un gruppo di Stati si è impegnato a spendere il due per cento del Pil nell’acquisto di armi, come risposta a ciò che sta succedendo adesso. La pazzia! La vera risposta, come ho detto, non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari, ma un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo ormai globalizzato – non facendo vedere i denti, come adesso- un modo diverso di impostare le relazioni internazionali. La guerra in Ucraina è frutto della vecchia logica di potere che ancora domina la cosiddetta geopolitica, logica che va sostituita con il modello della cura. Questo modello è già in atto, grazie a Dio, ma purtroppo è ancora sottomesso a quello del potere economico-tecnocratico-militare» discorso al Centro italiano femminile, 24 marzo 2022).

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Prima di papa Francesco, l’enciclica Pacem in terris (11 aprile 1963), rivolta a tutti, credenti o no, conteneva un forte richiamo alla ragione, alla necessità di cambiare paradigma, soprattutto nell’era atomica. “La guerra è fuori dalla ragione”.
Opinione diversa esprime il metropolita di Mosca Kirill (le Chiese ortodosse sono autocefale):
“Questa primavera è stata offuscata da gravi eventi legati al deterioramento della situazione politica nel Donbass, praticamente lo scoppio delle ostilità”. (…) “Da quale parte di Dio intenda stare l’umanità”, ed in particolare quale atteggiamento prendere nei confronti dell’“Impero della Menzogna” che sono le potenze occidentali, impegnate ad assecondare le indicazioni del mondo gay? Secondo Kirill, “ciò che sta accadendo oggi nell’ambito delle relazioni internazionali, quindi, non ha solo un significato politico”: “Si tratta della salvezza umana, di dove andrà a finire l’umanità”. “Tutto ciò che dico non ha solo un significato teorico ma un significato spirituale.
Intorno a questo argomento oggi c’è una vera guerra”, ha precisato. “Siamo entrati in una lotta che non ha un significato fisico, ma metafisico” – ha detto a proposito della necessità di combattere.
Onestamente, sembra di tornare al tempo delle Crociate.
È bene sottolineare però che le posizioni dei due, in diversi altri interventi, per quanto antitetiche,hanno un punto in comune: la critica della globalizzazione, che è anche una critica al capitalismo fondato sulla teologia della prosperità.
Esiste una parte della dottrina protestante – soprattutto calvinista – che vede nella ricchezza una benedizione di Dio e, di converso, nella povertà una colpa. Questo tentativo di  schematizzazione ci permette di vedere la guerra nel suo giusto significato: la lotta tra l’impero russo (nazionalista e tradizionalista) e l’impero americano, di cui la Nato è appendice (globalista).
Entrambi gli imperi non vogliono, per ora, farsi guerra direttamente e scatenano la guerra in Ucraina, approfittando del nazionalismo del popolo che entrambi hanno cooperato a far crescere a dismisura.
In termini religiosi potremmo dire che entrambe le potenze sono in grave stato di peccato (almeno in quest’occasione possiamo usare questa parola). Perché la guerra è intrinsecamente un atto contro l’umanità creata da Dio. Padre Turoldo, in una sua poesia, ripeteva: “O l’uomo è un uomo di pace o non è neppure un uomo”! E gli faceva eco Einstein: “Uomini ricordatevi di essere membri della specie umana e dimenticate tutto il resto”. Di più: “O l’umanità cambia modo di pensare o va verso la catastrofe”. È la cultura, ancor prima dell’etica, che non riesce a fare passi avanti.
Tutto questo non significa equidistanza, perché assistiamo ad una brutale invasione da parte della Russia, che non può certo essere sminuita. Purtroppo il popolo ucraino è doppiamente vittima e noi, come italiani, continuando ad armarlo, ci assumiamo una pesante responsabilità.
Aiutiamo il popolo ucraino, non le industrie che producono armi! È davvero importante operare la più ampia mobilitazione per soccorrere il popolo ucraino, garantendo l’accoglienza a quanti fuggono dalla guerra e facendo pervenire in loco aiuti umanitari e sanitari. È importantissimo, giusto e doveroso manifestare la più ampia solidarietà e predisporre aiuti umanitari, ma è un grave errore prevedere sostegni di tipo militare. Le armi, la storia degli ultimi decenni lo dimostra ampiamente, non fermano, ma alimentano le guerre. Dopo il secondo conflitto mondiale l’opzione militare si è ripetutamente dimostrata non solo disastrosa, ma anche inconcludente.
Quasi tutti i conflitti, che si sono registrati da allora, hanno provocato lutti e dolori, ma quasi mai hanno raggiunto gli obiettivi per i quali sono stati posti in essere.
L’opzione di fornire aiuti militari di qualsiasi natura, a prima vista, può sembrare una scelta realistica, che punta a fornire al debole aggredito i mezzi necessari per difendersi. Se tuttavia approfondiamo anche solo un poco la riflessione, non è difficile rendersi conto che una tale scelta non fa altro che fornire argomenti all’aggressore e distrae dalla ricerca più ampia possibile.
Il riconoscimento del carattere di aggressione dato dal pronunciamento dell’Assemblea dell’ONU all’invasione russa dell’Ucraina (col voto favorevole di gran parte dei Paesi aderenti) è un elemento politico di grande rilevanza, che meriterebbe un sostegno fortissimo da parte dell’opinione pubblica mondiale e dell’iniziativa politica internazionale. Di questo, però, nessuno parla. Ci si avvita in una spirale pericolosissima quanto inefficace di ritorsioni e controritorsioni, dislocazioni di truppe Nato nei paesi limitrofi con connesso svolgimento di esercitazioni che hanno il solo risultato di fornire argomento alla propaganda russa.
La Nato dovrebbe invece dare credibili e chiari segnali di non avere obiettivi di espansione e di assunzione di iniziative di natura militare miranti a danneggiare la Russia. Ogni giorno di guerra da parte russa e ogni rigonfiamento occidentale di muscoli non fanno altro che allontanare le prospettive di pace. Si rivelerebbe urgente pertanto porre subito sul piatto una credibile manifestazione politica che le forze Nato non nutrono alcuna ulteriore mira espansiva. Questo potrebbe essere lo scenario per rendere possibile l’apertura di negoziati veri tra Russia e Ucraina.
Anziché dare la parola alle armi, si faccia parlare la ragione! Oggi possono gioire solo i fabbricanti e i mercanti d’armi! Il quotidiano proseguire dell’orrore in terra ucraina pone in chiarissima evidenza come in queste settimane si sia dischiusa una rosea prospettiva di buoni affari per l’industria degli armamenti. Quasi tutti i governi stanno decidendo un ampliamento degli investimenti e delle spese militari. È abbastanza verosimile che quanti lucrano sull’industria degli armamenti in questi giorni si stiano sfregando le mani per le opportunità che si stanno schiudendo dinanzi a loro. La cosa ricorda l’episodio della gioia manifestata da alcuni imprenditori nostrani all’indomani del terremoto in Abruzzo.

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E fa un certo effetto dover rilevare, almeno nel nostro paese, l’insorgere di un militarismo di sinistra. Siamo infatti sorpresi nel rilevare che autorevoli figure della sinistra oggi svolgano funzioni dirigenziali nell’ambito dell’industria delle armi, quasi a dar l’apparenza di una vera e propria lobby. Addolora dover constatare che nella sinistra stia diventando di moda sventolare con una mano la bandiera multicolore della pace, mentre con l’altra si agisce per un aumento delle spese militari e si spinge per rifornire d’armi l’Ucraina.
La vicinanza della guerra in Ucraina ha avuto anche l’effetto di distrarre dalle numerose altre guerre drammaticamente in svolgimento altrove.
La cosa più importante oggi è, allora, far tacere subito le armi e operare affinché si dispieghi pienamente la capacità negoziale della politica di grande respiro.
Fermare le armi non è vigliaccheria, ma è la scelta della consapevolezza indicata alcuni anni fa da Hans Küng, «sulla via non siamo da soli, ma con milioni e milioni di altri uomini (…), con i quali siamo sempre dovrebbe combattere per il mio e il tuo, per la mia verità – per la tua verità, ma si dovrebbe piuttosto essere infinitamente disponibili ad imparare dalla verità degli altri e a comunicare senza gelosie la propria verità» (Hans Küng, Progetto per un’etica mondiale).
La tragedia in corso chiama noi credenti europei, probabilmente in una forma sinora mai sperimentata in epoca post-conciliare, a una testimonianza della pace incarnata di fronte a manifestazioni di violenza, di dolore e di lutti a portata di mano, vissute e percepite a noi vicine e che, lo vogliamo o no, ci coinvolgono direttamente.
È una percezione della guerra a cui non eravamo più abituati dalla fine del secondo conflitto mondiale. La gravità assoluta della vicenda ci chiede invece di far ricorso, probabilmente in una forma che le nostre generazioni non hanno avuto sinora l’opportunità di sentire, in pienezza al tesoro di fede, speranza e amore che ci deriva dal nostro essere al sèguito di Gesù, sui sentieri della nostra terra, in questo drammatico secondo decennio del XXI secolo. La sfida a cui siamo chiamati è quella di saper riconoscere, in quest’ora dura che stiamo vivendo, il segno autentico del tempo attuale, e l’impegno al servizio della pace a cui il Signore ci chiama.
Trasformeranno le loro spade in aratri e le lance in falci. Le nazioni non saranno più in lotta tra loro e cesseranno di prepararsi alla guerra. (Is, 2,4) 2800 anni fa le parole profetiche di Isaia. Le armi lasceranno il posto agli strumenti che consentiranno di dare pane a tutte e a tutti. Ma, si sa, i profeti quando sono in vita non sono amati nei palazzi che contano.
Sono derisi, ritenuti sognatori velleitari che non sanno fare i conti con la dura realtà della vita.
E oggi si scopre che le armi che saranno prodotte in Italia, trasferite ed esportate in uno Stato membro dell’Unione europea, saranno esenti da Iva e da accise. Il pane, invece, è soggetto all’Iva al 4 %, e nessuno si sogna di detassarlo. Insomma, un brutto segno dei tempi, uno dei tanti.
Non c’è altra via possibile se non armarsi fino ai denti, ci dicono. È sempre stato così, dal tempo delle caverne a oggi. Bisogna arrendersi ed è inutile illudersi.
Noi, voce piccola e testarda, non ci arrendiamo.

(da Tempi di Fraternità)

Donne e uomini in ricerca e confronto comunitario

Autorizzazione del Tribunale di Torino n. 2448 dell’11/11/1974

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