TikTok. Chi bUSsA? Trump e la democrazia

Il successo della democrazia statunitense è da sempre legato all’idea di multiculturalismo a cui si unisce la capacità di creare una società omogenea in cui i diversi componenti tendono ad armonizzarsi all’interno di un’unica cultura.

A partire dall’internazionalismo liberale di Thomas Woodrow Wilson, passando attraverso la Guerra fredda così come concepita da Ronald Reagan, l’interventismo liberale di Bill Clinton e i pilastri della ‘Dottrina Bush’ (unilateralismo, azione militare preventiva), fino ad approdare alla promozione multilaterale dei valori americani con Barack Obama la diffusione della democrazia, con un’attenzione agli interessi nazionali, è sempre stata una componente essenziale della tradizione statunitense. 

L’idea si basa sulle teorie kantiane secondo cui un mondo democratico è un mondo pacifico: le democrazie tenderebbero a incrementare la loro prosperità sviluppando relazioni commerciali all’interno di un sistema di regole riconosciute a livello internazionale.

Tale pensiero, radicatosi e maturato unitamente agli stessi ideali fondanti della nazione americana, auspica il diffondersi della democrazia oltreconfine affinché sia gli Stati Uniti, sia il mondo nel suo complesso, ne possano guadagnare in sicurezza.

Il presidente Trump sembra discostarsi da questi principi tendendo a rendere gli Stati Uniti sempre più isolati. Una visione limitatissima, il cui obiettivo non va oltre “domani” ed incapace di vedere ad “un anno di distanza”.

Ritengo che l’unica possibilità per la crescita armonica di una nazione sia di avere alla guida del governo uno “statista”, ossia una persona capace di darsi un obiettivo a lunga distanza e perseguirlo. Attualmente le nazioni sono guidate da “politici” ossia, secondo il mio personale punto di vista, di persone che sembrano prive di una visione complessiva e il cui unico obiettivo è la ricerca del consenso elettorale. Persone che prendono decisioni e  agiscono  cavalcando  stati “emotivi”, essenzialmente rabbia e paura, piuttosto che ragionamenti coerenti e razionali, suffragati da fatti. 

Trump appartiene alla seconda categoria e mi stupiscono, non poco, le sue affermazioni che mettono in dubbio lo svolgimento delle elezioni postali. Diffondere l’idea che queste possano essere fonte di brogli equivale a sostenere la propria incapacità nel tutelare l’espressione di voto dei suoi cittadini, ma sembra che questo assioma non gli sia chiaro.

Il 30 luglio, giornata in cui i dati sul Pil americano segnarono un tracollo record, Donald Tramp palesò l’intenzione di chiedere il rinvio delle elezioni con un tweet in cui ribadiva la sua assoluta contrarietà all’idea del voto per posta affermando che le elezioni  del 2020 sarebbero state  le elezione più inaccurate e fraudolente della storia. 

La sua preoccupazione, già espressa a giugno, è quella che un paese straniero possa stampare decine di migliaia di schede contraffatte”. In quest’ultimo caso, spiegava “sarebbe molto difficile per noi individuare qual è la scheda giusta e quella sbagliata”.

Il paese che per definizione “è un esempio di democrazia” può davvero scivolare tanto in basso?

E che dire della questione TikTok? Quale sarà la prossima app messa sotto censura? Ma, soprattutto la parola censura è compatibile con l’idea di democrazia?

TikTok è un social network nato da un’idea dell’imprenditore (e informatico) Zhang Yiming che permette di realizzare video divertenti e creativi di breve durata che spaziano da un tema all’altro. E’ di proprietà di Bytedance, una multinazionale cinese che, secondo Reuters, è stata valutata 50 miliardi di dollari.

Dopo la sua esplosione nel 2019, TikTok è stata messa sotto la lente di ingrandimento in molte parti del mondo. L’Unione Europea, ad esempio, si sta interrogando se l’applicazione violi o meno, il regolamento per la gestione della privacy, e come siano utilizzati i dei dati personali degli utenti, in gran parte minorenni.

Dati che riguardano i gusti musicali, gli attori preferiti, i brand più amati e altre simili amenità.

Dati che, se diffusi, possono davvero mettere in forse la sicurezza di una nazione?

Quel che preoccupa non è la raccolta, e la conseguente analisi, di questi dati ma le modalità con cui questi dati vengono analizzati.

Avete mai notato che se esprimete preferenze (i famigerati like), o se cercate qualche prodotto con il motore di ricerca più famoso,  il vostro pc vi propone pubblicità che vi riportano a quel prodotto o a suoi succedanei?

Questo accade grazie ad algoritmi. 

Chiedere a Bytedance di vendere a società americane l’applicazione TikTok significa far acquisire agli Stati Uniti d’America una tecnologia che molti informatici definiscono all’avanguardia rispetto a quelle utilizzate da applicazioni simili. 

L’algoritmo di Tik Tok è infatti uno dei più evoluti nell’utilizzo dell’intelligenza artificiale.

Questo è il vero nocciolo della questione. 

Non è l’applicazione in sè a mettere a rischio la sicurezza, piuttosto la perdita del “predominio” tecnologico che gli Stati Uniti non possono permettersi.

 CRISTINA RICCI

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