Ti conosco mascherina

Note a fondo pagina
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Velature. Matite di Stefano Stacchini

Ed eccolo il nuovo dispositivo, accessorio, complemento d’arredo che è giunto a condizionare la nostra immagine, con risultanti psicologiche, sociali, culturali, antropologiche, etiche, ecologiche e chi più ne ha più ne metta. Nel primo momento, all’alba della fase 1, ci era stato detto dagli esperti che a noi non serviva, e sulla scorta di questo abbiamo guardato con un po’ di sarcasmo i pochi bietoloni che, chissà perché, si ostinavano a portarla; nella fase 2 sappiamo che è invece fondamentale, e guardiamo con indignazione i pochi che, chissà perché, si ostinano a non portarla. Nel frattempo, si è infatti chiarito che la mascherina, almeno quella più diffusa, distribuita dalla protezione civile e caldeggiata dagli esperti, serve per proteggere gli altri da noi e questo ha spostato notevolmente il significato civico e addirittura etico dell’indossarla: chi la porta pensa al prossimo, è altruista e chi la sdegna non è uno che ama il rischio ma uno che mette a rischio gli altri, disfattista e menefreghista. Il fatto che tutti la indossino, modifica in senso salutistico il contesto, indossarla acquista senso ecologico, dà una certa euforia solidaristica. In tal senso, è commovente il concorrere di tutti alla creazione di un buon contesto comune e chi non lo fa, oltre al resto, non sa cosa si perde e quale convergenza sciupa.


Il Presidente della regione Lombardia, Fontana

Lo si guarda male, sperando che se ne accorga.  Certo, qualcosa in questa corresponsabilità ecologica deve essersi inquinato, se poi ci tocca vedere i cadaveri dei fatidici dispositivi di protezione Individuale  disseminati in giro, ma siamo pronti a scommettere che i colpevoli siano quelli che hanno le mascherine ma non le calzano, lasciandole penzolare da un orecchio o usandole come scaldagola o regginaso.  E anche quelli li guardiamo, se non male, maluccio, sfidandoli mentalmente: ‘voglio un po’ vedere se quando ti avvicini a meno di due metri, te la tiri su. Voglio proprio vedere…’. Ovviamente, anche questa sfida l’affidiamo agli occhi, come pure la nostra complice solidarietà e approvazione con chi si comporta come ci stiamo comportando noi. In questo frangente abbiamo imparato a sorridere con gli occhi e questa è di sicuro una bella cosa. Anzi, noi donne abbiamo cambiato i criteri del maquillage, lavorando di ombretto e mascara ed evitando come la peste rossetto e fard, che insozzano. Se poi c’è stato un investimento chirurgico, la blefaroplastica vince a man bassa su labbra e contorno viso. Lo sguardo di colei che l’ha azzeccata, in quel caso, ė tagliente. Ogni tanto ci immedesimiamo nelle nostre congeneri velate per motivi culturali, e ci sentiamo altrettanto misteriose. Ci stupiamo, donne e uomini, di come ad alcuni basti l’esclusione di naso e bocca per non riconoscerci  dal momento che a noi sembra di riconoscere tutti o quasi. Ci sembra di avere delle risorse che non sapevamo di avere. Noi sì che siamo attenti verso chi ci circonda! E costruiamo su due piedi un’altra più modesta trincea, che ci separa dagli irriconoscenti. Ma ci sono anche altre cose, più bruttarelle, che le mascherine ci hanno insegnato, come il fatto che a volte uno spazio tra due lettere, C ed E, non ė solo un distanziatore grafico ma un distanziatore morale, tra chi ci garantisce e chi ci truffa. E abbiamo finalmente appreso la terza vita della signora Irene Pivetti,  leghista della prima ora, leghista quando l’uomo dell’eterno riposo era ancora alla farina lattea, che dopo essere stata Presidente della Camera con foulard d’Hermes e croce vandeana, poi conduttrice tv con tacchi a spillo e capello alla tu mi turbi, ora si nasconde dietro non una ma centinaia di migliaia di ‘dispositivi di protezione Individuale’ provenienti dalla Cina con furore. Che dire? Ti conosco, mascherina!

 GLORIA BARDI

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