Tempo libero

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Insigni storici e sociologi che non ricordo e che non citerò, per agilità di lettura, e perché se vi interessa ve li andate a cercare, hanno disaminato la storia dell’uomo dalle più insignificanti usanze, fino ai rituali più complessi.

Tempo libero 

 Insigni storici e sociologi che non ricordo e che non citerò, per agilità di lettura, e perché se vi interessa ve li andate a cercare, hanno disaminato la storia dell’uomo dalle più insignificanti usanze, fino ai rituali più complessi. Alcuni si sono concentrati sul lavoro, sul valore che ha avuto ed ha, sulle relazioni sociali legate a questo mondo, sulle scale gerarchiche, sul linguaggio (secondo alcuni anche il linguaggio sarebbe uno strumento di lavoro), sul conseguente mercato, su quel che si mangia sul lavoro, su quel che si fa dopo il lavoro.

È in effetti un tema centrale per l’umanità tutta. Solo gli aristocratici non lavorano, solo alcuni borghesi. Fino ad un certo punto della Storia sono invisibili, o quasi. Da dopo che i francesi hanno demolito quella famosa fortezza e tagliato N teste, si diffonde sempre più l’idea che si possa discutere del diritto acquisito del non far niente, per arrivare al Gran Tedesco Barbuto, che dalla metà del XIX apre gli occhi a molti, e si diffonde l’idea che i parassiti siano proprio coloro i quali non lavorano in virtù del lavoro che altri fanno per loro, come fosse un diritto divino.


Oggi lavorano tutti. Cioè, vorrebbero lavorare tutti. Nei bassi strati della società (anche non troppo bassi, a dire il vero) il lavoro, inteso come dignitosa mediazione con la materia, retribuita, duratura e non troppo pericolosa, è raro, incerto, spesso indegno.

Negli alti strati della società (quel che conosciamo da questi ci viene elargito dal tubo catodico, o dalla patinata mensile in sala d’aspetto) i ricchi lavorano. Tutti. Moltissimo. Un manager (ricco di suo, prima ancora che essere manager) confidava candidamente di lavorare normalmente 15 ore al giorno, nei momenti più tesi anche 20. Alcuni politici, peraltro noti perché sempre in televisione, dicono di essere grandi imprenditori, di essersi fatti da sé, di pagare le tasse (strano, io non vado in giro a dire che stamattina mi son lavato la faccia, mi pare una cosa normale…). Contestualmente si leggono (suppongo) tutti i documenti che il Palazzone produce, indagano, studiano, fanno riunioni, poi passano in ditta, dove presenzieranno a riunioni, risponderanno a mail e chiamate, disporranno, formuleranno e così via. Il tempo di cambiarsi la faccia e via, in studio, a rispondere alle incalzanti domande, a litigare con un tizio o l’altro. E magari trovano pure il tempo di farsi un lifting, di twittare, di farsi un selfie.

Preferivo il diritto divino. Sarebbe meglio dire: questa classe di persone, identificata, che ne so, con un cappello a punta, ha diritto di vivere alle vostre spalle. Principalmente amministratori e politici. Così la smettono di raccontarci che lavorano 20 ore al giorno. Ci sono diversi ordini di motivi per cui questa affermazione è imbarazzante: perché non è necessario, oggi, lavorare così tanto, visto che ci sono collaboratori, macchine, telefoni e sistemi fatti apposta per organizzare il lavoro; perché come manager dovresti dimostrare ai tuoi dipendenti che si può lavorare di meno, che l’azienda può risparmiare tempo di persone davvero preziose, che sanno fare il proprio lavoro; perché in verità, le tue venti ore in ufficio, o in sala riunioni, o in aereo, o in auto, non sono mai, MAI paragonabili a chi fa otto ore in vetreria, o all’altoforno, o nei pressi di un paziente disorientato appena operato (e magari anche più di uno), o anche solo allo sportello di un ufficio pubblico.

Ci sono persone che lavorano venti ore al giorno, e sono alcuni artigiani. E non durano poi molto a far quella vita. Ce ne sono altre che lavorando anche solo otto, hanno a malapena la forza di guardar la televisione, ce ne sono altre ancora, che oltre alle otto solite, lavano, stirano, cucinano eccetera. In fondo la morale è sempre la stessa: non abbiamo bisogno di eroi.

L’idea di fondo che si vorrebbe far passare è che questi epigoni di Stakanov (da notare che la retorica del lavoro sovrumano è buona per tutti i regimi…) sono dei modelli: tanto lavoro, tanta importanza sociale, tanti soldi. Si, è vero, sembrano dire: sono ricco da fare schifo. Però lavoro! E allora giù, dagli, secondo possibilità, a lavorare da matti, prendendo, oltre al proprio, alcuni piccoli lavoretti per raggranellare qualcosa in più. Fino agli anni Sessanta bastava uno stipendio per una famiglia di 3 o 4 persone. Oggi due stipendi pieni non bastano più per una famiglia di tre. Mi pare evidente che lavorare di più serve solo a far girare meglio l’economia. Ma non la nostra economia, ma quella delle banche.


Dovremmo lavorare per soddisfare i bisogni primari, e spendere il nostro preziosissimo tempo per migliorarci e migliorare le relazioni umane. Invece lavoriamo per comprare cose che ci fanno risparmiare tempo per poter guardare la televisione che ci invita a comprare cose che ci fanno risparmiare tempo. Ma perché risparmiamo il tempo, se poi non sappiamo che farcene?

Ripenso spesso alla vita durissima dei miei nonni (come dei nonni di chiunque), che era, fuori di ogni retorica, fatta di fame, di lavoro, di fatica, di poche soddisfazioni.

Eppure si lavorava con altro metodo. Era una società che contemplava pacificamente i pigri e gli svogliati o gli accattoni. Era una società in cui si lavorava duramente, ma senza orologio, e, almeno fino all’avvento dell’etica industriale, senza concetto di produttività o rendita. Il lavoro era identificato con la vita stessa (in dialetto fatica si dice vitta ) e i giorni di festa erano frequenti, dai santi del luogo, alle feste dei vicini, alle sospensioni rituali di un certo lavoro. Ancora più lontano nel tempo, qualcuno aveva pensato di suddividere il periodo di lavoro in sette giornate: una di riposo, le altre sei di lavoro. Sei è divisibile per due e per tre, il doppio, dodici, divisibile anche per quattro e per sei. Comodo per distribuire il lavoro. E la domenica è stata resa sacra, inviolabile. Vorrà pur dire qualcosa tutto questo.

Razionalmente abbiamo dissacrato il lavoro e ancor più il riposo. E invece il riposo è sacro, il sonno, l’ozio, il tempo passato in famiglia, o tra le persone care, il tempo passato con noi stessi.

Insomma, per guadagnare di più, non possiamo che lavorare di meno.

 

ALESSANDRO MARENCO

 

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