Tanti buoni motivi contro il Crescent 2: trovatene uno a favore

Tanti buoni motivi contro il Crescent 2:
trovatene uno a favore

Tanti buoni motivi contro il Crescent 2:
trovatene uno a favore

L’amministrazione ha bisogno di soldi, fra mutui bloccati, debito, osservazioni della Corte dei Conti e guai dell’Ata. Si stenta sulla spesa corrente, sul sociale, sul rilancio della differenziata, improvvisa conversione sulla via di Damasco di un problema indifferibile. (Ancora qualche mese fa, il Sindaco si vantava delle partecipazioni comunali nella discarica di Bossarino, lamentando di non averne di più dati i buoni guadagni…).

Fino a ieri si è investito spensieratamente in mega impianti sportivi. Ora le “cicale” comunali sono di fronte alle difficoltà a far quadrare il bilancio. Si ricorre persino alla tassa sui contatori gas per finanziare il sociale. Tassa né progressiva né giusta che graverà maggiormente su chi è in difficoltà, chiudendo un circolo vizioso, (da una tasca prendo 100, all’altra restituisco 10), come tante altre scelte dell’amministrazione.

Ridotta la possibilità di vendita di immobili, rimane solo il buon vecchio cemento. I progetti, però, stentano: hai visto mai che la massa di invenduto e la crisi economica comincino ad intaccare anche l’edilizia speculativa di lusso?

E allora, si spinge per rendere appetibili a speculatori sempre affamati i “piatti” più prelibati: le zone a mare. Con l’imperioso intervento del vicesindaco Di Tullio.

Si parla tanto di urbanistica partecipata, ma per il Crescent 2, nessuno spiegone, tutto è deciso nel palazzo comunale.   Forse perché qui è veramente dura convincere i cittadini. E sarà dura anche per i partiti che, pur in maggioranza, hanno fatto del limite al cemento la propria bandiera. Non c’è uno, un solo argomento a favore. In  compenso, ce ne sono una marea contro. Provo a riassumerne una parte. Con piccola proposta finale.

* L’origine speculativa Alla base di tutto c’è il famigerato “fallimento perfetto” dell’Omsav, oggetto di un libro-resoconto del giornalista Lugaro, che non mi pare abbia ricevuto furibonde querele, e che parla di responsabilità precise di sindacati e politica. L’inchiesta a suo tempo fu lasciata cadere, ma mai smentita. Si è  “suicidata” una realtà industriale, non facendo nulla per salvaguardare le peculiarità produttive a filo di banchina. Sono rimasti dubbi pesantissimi, poi, sulle aree in questione. Quanto ci hanno rimesso i cittadini? Fu un primo e clamoroso esempio di  una triste tendenza corrente: si spaccia per rilancio industriale, usando i lavoratori come scudo umano, tanto per cambiare, il trasferimento produttivo, per liberare aree appetibili per speculazioni immobiliari  e consumare altro suolo altrove, senza alcuna vera garanzia di rilancio (Gavarry, Piaggio…)  Oppure si accelera la fine di piccole fabbriche per liberarne le aree. Qui si fecero le cose in grande. La conseguenza è sempre di mettere una pietra tombale di cemento su ogni risorsa economica e produttiva che possa rilanciare l’economia.

* I diritti non sono eterni. Premesso che non esiste, anche se molti fanno finta di sì, un qualcosa come un generico “diritto a costruire”, per cui ci presenta progetti su aree in suo possesso deve prima o poi ottenere il massimo, premesso che l’edilizia dovrebbe basarsi su esigenze della comunità, sui bisogni, sulla vivibilità della città, sulle infrastrutture, i servizi, la pianificazione territoriale  e abitativa (che non è un PUC che ammassa roba a casaccio elencando i progetti presentati in modo acritico e disponibile), occorre ricordare una cosa: questo progetto è già vecchio, i tempi sono grandemente cambiati, le prospettive occupazionali, economiche, filosofiche persino, sono nettamente diverse, quasi antitetiche. (Per la verità le tendenze lo erano già allora, ma non sottilizziamo, pretendere lungimiranza sarebbe troppo). Sarebbe più che doveroso e giustificato  un ripensamento.

 

* L’insuccesso è concreto Allora, quando nacque il progetto, qualcuno poteva ancora sostenere che avrebbe comportato grandi prospettive per la città, che ne avrebbe cambiato il volto in positivo, che ci sarebbero state ricadute. Concetti discutibili, ma concetti astratti. Ora abbiamo sotto gli occhi, reale e pesante come un macigno, l’imbarazzante visione di questi colossi di cemento semivuoti, freddi e asettici,  sostanzialmente inutili, di questi lastricati alienanti, di questo porto che stava rinascendo,  snaturato nella sua essenza migliore. Non c’è una sola voce disinteressata che abbia potuto dire: avevano ragione Bofill & C. Da allora tutto il quadro economico è cambiato ulteriormente in peggio. Perseverare sarebbe diabolico e privo di alcun senso.

* L’esempio di Salerno Lo stesso  progetto Crescent  di Bofill è stato esportato a Salerno. Non è che sia stato accolto da folle plaudenti. Lì una cittadinanza ben più dignitosa e agguerrita di noi savonesi  ha reso le cose difficili al Sindaco De Luca. Guardatevi un po’ cosa scrive al Procuratore il comitato No Crescent…LEGGI

Anche se purtroppo dalle ultime notizie sembra che lo scempio vada avanti, con opere sempre più faraoniche, e coinvolgimento, ovvio, dell’Autorità Portuale che impiega soldi pubblici per progettare sedi megagalattiche  (a cosa ci fa pensare?) perlomeno ci sono stati rallentamenti, accuse, indagini, e forse non è ancora detta l’ultima parola. Comunque è un esempio parallelo e significativo di quanto siano “utili” e “popolari” certi insediamenti.

* Gli equilibri Immagino che, quando si è messo mano a un progetto così impattante e con un tale profluvio di volumi, il fatto che una parte fosse stata destinata a residenza turistico alberghiera sia stato visto come un compenso per la città, una minima ricaduta occupazionale e turistica in una zona così pregiata da potersi valutare oro. L’implicito ammettere che, pur essendoci ancora spazio, di residenziale se ne era fatto davvero abbastanza, e occorreva un bilanciamento, una compensazione strategica. Ovviamente, con calma, in un secondo lotto, come sempre accade in questi casi, dove si privilegiano gli aspetti a massima redditività. O era attesa di tempi più benevoli per ammorbidire il discorso? Ora, proprio ora che semmai tutti, e dico tutti i segnali, economici, ambientali, urbanistici, andrebbero verso un ulteriore ripensamento e ridimensionamento di ciò che si costruisce, noi  assecondiamo invece una bulimia senza alcun freno, di chi ha già ottenuto di tutto e di più? Sembra la versione edilizia di quei programmi sui ciccioni, imbottiti di merendine e che rosicchiano disperati, con la salute ormai compromessa. E’ questa la fine che vogliamo far fare alla nostra terra?

* Oneri e compensi passati Altra testimonianza concreta: cosa ne abbiamo ricavato? Quanta parte del denaro sborsato dai costruttori è finito nelle casse del Comune, per servizi ai cittadini, e quando per lavori al servizio dell’opera stessa, come fognature e simili? Qual è il rapporto fra i guadagni dei costruttori, i danni ai cittadini e gli oneri sborsati?

 Scommetto, sbilanciatissimo sui primi. Se calcolassimo i costi indiretti –traffico, servizi, consumo di suolo, incremento auto, inquinamento – potremmo mai essere in positivo nel bilancio? Direi di no. Basti pensare ai recenti articoli di giornale, che parlano della nuova tassa sui rifiuti, l’onerosissima Tares, quasi una IMU-2, che sostituirà la Tarsu. Ebbene, si dice chiaramente che sarà elevata, perché dovrà necessariamente aumentare il contratto di servizio con Ata, a causa dei nuovi insediamenti.

Cioè, in soldoni, per queste case speculative per ricchi paghiamo noi. Sappiamo che l’invenduto ha tantissime agevolazioni, non paga l’IMU per tre anni ad esempio. Mentre per un senso di giustizia dovrebbe essere penalizzato al massimo in modo da scoraggiare speculazioni alla leggera. Parliamo poi delle opere a compenso. Tacendo sul tunnel artificiale della viabilità portuale, voluto più che altro per non disturbare gli illustri abitanti col traffico dei camion, e del quale NOI paghiamo come cittadini i costi di illuminazione, tacendo sul costoso parking sotterraneo di cui in pratica, per accordi capestro, qualcuno si prende i guadagni e noi, cittadini, gli oneri e le eventuali penali, cosa resta? Lastricati e ancora lastricati, una piazza pomposamente inaugurata come fosse un’opera pubblica dedicandola a un incolpevole De Andrè, i soliti due centimetri di terra con l’erbetta, uno striminzito giardinetto.

NOTA. Riguardo a questo giardinetto. In origine era previsto negli oneri un secondo cubo di vetro, opposto al primo, ai margini della terrazza, come compenso al Comune. Siccome non si sapeva che farsene di una tale inutile bruttura, spazi per uffici che non servivano, si è optato per la variante giardino. Era più che evidente come questo accordo per chiudere il primo lotto fosse propedeutico all’apertura del secondo cantiere, e che la fretta non preludesse ad altro che a nuova speculazione residenziale. Quando votai contro in Commissione, ricevetti l’anatema da diversi esponenti di maggioranza, indignati perché “i grillini votavano per il cubo e contro il giardino”. In Consiglio mi astenni, per evitare strumentalizzazioni,  ma ribadii il mio punto. E guarda un po’ se avevo torto. Non sono passati che pochi mesi.

* oneri di urbanizzazione futuri Si parla di alcuni lavori all’ostello, di un contributo per ristrutturare le case Arte che, se suddiviso per tutti gli alloggi, è poco più di una imbiancatura. Ancora una volta, possono essere ritenute ricadute positive sulla città? Come quantità e qualità? O non piuttosto le solite contrattazioni, appigli strumentali, puntare su argomenti che abbiano “appeal” (il sociale, l’ostello, il pubblico), da usare in maggioranza e rinfacciare alla minoranza? Si trascina ormai da troppo tempo la politica di sopravvivenza monetizzando oneri di urbanizzazione. E’ economicamente, strategicamente, ambientalmente suicida. Ci si accontenta degli spiccioli che servono subito, poco importa cosa si deve cedere in cambio. Poco importano il depauperamento del tessuto cittadino, i costi e le ricadute, le aree improduttive, lo scempio, i danni futuri.

Ribadiamolo una volta per tutte, ripetiamolo fino a stancarci: gli oneri di urbanizzazione si chiamano così perché sono un minimo compenso, una monetizzazione del necessario all’edificabile, non un regalo benevolo ai cittadini. Sono in tutto e per tutto una forma di risarcimento (minimo indispensabile) per un danno che viene prodotto nel costruire.

Allora, sorge spontanea la considerazione: non  potete sbandierarci gli oneri come fossero un beneficio indispensabile per i cittadini in un momento di crisi. E’ innanzitutto un approccio profondamente scorretto.  Non sarebbe meglio  e più semplice e più proficuo cercare direttamente quei soldi che servono evitando di procurare il danno? Non sarebbe meglio puntare al più presto su ciò che alla lunga dà ricadute positive, invece che su dubbie beneficenze presenti?

Non si fa neppure un tentativo serio di monetizzare con maggior equità  l’enorme regalo ai costruttori. Basta col pensare che abbiano sempre e comunque il coltello dalla parte del manico. Ce l’hanno, perché noi lo permettiamo. Perché sanno che basta avere pazienza, non avere fretta, sfruttare il “degrado”, e prima o poi ottengono tutto quello che vogliono. Basterebbe interrompere il meccanismo con nuove regole più severe, fermare i PUC compiacenti, tassare l’invenduto, costringere i grossi proprietari alla manutenzione di immobili e aree in degrado, aumentare le agevolazioni per chi ristruttura e/o ricostruisce, penalizzare chi sfrutta nuove aree, proibire senza deroghe la trasformazione di aree produttive o agricole in residenziale, e cambierebbe la musica. Sarebbe il minimo che si dovrebbe a questa città.

* ricadute e pianificazione Apprendiamo che il “turistico residenziale” non sarebbe appetibile per il costruttore, perché non sarebbe fatto di alloggi vendibili singolarmente. Ma altro residenziale speculativo è il peggio che possa capitare alla città, zeppa di invenduto, di sfitto, e di poverini che non trovano alloggio o faticano a permetterselo. Che i pochi posti di lavoro della struttura ricettiva sarebbero ricuperati nell’ostello. Ebbene, perché non proporre una soluzione intermedia? Perché  non proporre al privato di costruire una struttura tipo aparthotel, come quelli che sempre propone, inascoltato, anche su queste pagine, il geom. Luccini, molto popolari e proficui all’estero?

Pensare a dei mini alloggi, per esempio per anziani che decidano di venire a vivere in riviera, forniti di servizi centrali? Inquadrare il tutto in un’area con altri servizi, strutture riabilitative sanitarie, creare una sinergia con l’ostello, col Priamar stesso?

Potrebbe essere il germe di un nucleo non totalmente improduttivo, legato ai business del futuro.

Insomma, per un privato che volesse investire senza arraffare il massimo e basta, una visione più lungimirante dovrebbe e potrebbe essere proposta dal Comune, per un’area strategica e preziosa per la città.

Gli appartamenti vuoti e speculativi sono la morte certa di qualsiasi rilancio. La pietra tombale del futuro.  E’ assodato. Se albergo e turismo sono in crisi e non sufficientemente remunerativi, le formule semiresidenziali, pensate per particolari categorie di cittadini ad esempio (anziani, benestanti, ancora autosufficienti ma con bisogno di assistenza e servizi) possono essere vincenti alla lunga. Un investimento a lungo termine.

Dunque, perché non ripensare la pianificazione originaria per migliorarla, invece di approvare subito la massima speculazione e il massimo danno pubblico?

Giusto per dire che non esistono “quelli del no”. Ma solo il buon senso.

Milena Debenedetti  consigliera Movimento 5 stelle

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