SULLA PITTURA REALISTICA E FANTASTICA DI MARIO GAMBETTA

SULLA PITTURA REALISTICA E FANTASTICA
DI MARIO GAMBETTA

SULLA PITTURA REALISTICA E FANTASTICA
DI MARIO GAMBETTA
Una mostra da non perdere è senza dubbio la retrospettiva savonese allestita al Priamar a cura di Carla Bracco, Maria Pia Torcello e Lorenzo Zunino, con la collaborazione della Pinacoteca Civica, visitabile fino al 3 febbraio 2013, dedicata ai sessant’anni di attività artistica di un maestro  come Mario Gambetta (1886 – 1968), il cui valore, la cui qualità e originalità di visione e di interpretazioine delle poetiche e delle principali scuole o correnti otto-novecentesche si delineano con sempre maggiore chiarezza con il passare del tempo e con il  conseguente ampliarsi e approfondirsi delle prospettive della critica e della storia dell’arte.
Significativo è il sottotitolo, quasi una didascalia, scelto dai curatori: “Del Reale e Del Fantastico”, che opportunamente allude così alla componente naturalistica e (post)impressionistica che caratterizza i suoi primi e ultimi ritratti (notevole, anche per la perizia tecnica e la precoce maturità espressiva, un giovanile Autoritratto a pastello datato 1905) e i suoi paesaggi, come all’altra  componente, invece, fantastica, surreale, grottesca, espressionistica, simbolistica e fiabesca (si pensi ai Manichini o al Volo di streghe o a Pegaso scende in un campo di cavalli…). In certi casi realismo e deformazione espressionistica  si fondono come nei Nudi tatuati e nelle chine raffiguranti cortigiane senza veli in varie pose o sorprese a curiosare chissà cosa (un discorso a parte meriterebbero i disegni di nudi a sanguigna su carta, come un sorprendente Ermafrodito che si guarda in uno specchietto e uno splendido Nudo rosso femminile, datato 1925). A questi due elementi stilistici fondamentali e caratterizzanti l’opera complessiva del maestro albisolese, che comprende le opere grafiche, i disegni, le ceramiche e le grandi opere destinate a edifici pubblici, se ne aggiungono altri due, se vogliamo minori e marginali rispetto alla sua  prevalente ispirazione lirica e contemplativa, ma rivelativi del suo temperamento estroso, aperto  e insofferente a schemi scolastici troppo rigidi e condizionanti: l’epica civile e l’arte sacra. All’epica civile appartengono, per esempio, gli altorilievi allegorici del Salone delle Poste (che richiamano lo stile dell’ammiratissimo amico Arturo Martini) e i cartoni preparatori per i progettati affreschi della grande Sala consiliare del Palazzo Comunale di Savona; all’arte sacra la Pala d’altare nella cappella Barile nel Camposanto di Albisola Marina, i cartoni preparatori e le Vetrate della Cattedrale Basilica di Savona raffiguranti Le virtù del Vescovo Beato Ottaviano e la Madonna della Misericordia di Savona, il Cristo Risorto del piatto in terracotta maiolicata, il Cristo tra gli operai, e una Via Crucis in ceramica modellata per la chiesa del collegio ENAOLI di Montecatini (riproduzione fotografica visibile  nel catalogo); una convulsa, cupa,  tragica Salita al Calvario e varie Deposizioni.
  

Tutte opere degne e originali che dimostrano anche la vastità degli interessi culturali del loro autore; e tuttavia, se proprio dovessi scegliere mi soffermerei, oltre che sui ritratti, tutti splendidi (La madre, La modella, Mia figlia legge, l’Avv. Auxilia, l’Avv. Tissoni, Il porta Camillo Sbarbaro, Girl…) su quelle mirabili, nitide e vivissime nature morte, tra cezanniane e depisisiane, e forse persino con qualche eco caravaggesca, ma recanti comunque l’impronta stilistica unica e inconfondibile del  pittore, con la sua attenzione estrema e la sua acuta sensibilità per le variazioni tonali degli oggetti colpiti dalla luce esterna (ma  soprattutto interna); siano Pesci deposti su un foglio di carta bianca e spiegazzata a far risaltare le loro sfumature di grigio, di azzurro e di rosso, o l’Angurio con coltello e bicchiere vuoto e vassoio di frutta colorata, e fiasco e brocca di vetro colma d’acqua su una tovaglia chiara, o Uva e fichi su canestri e vassoi su sfondo giallo, o Fiori bianchi , fiori viola ma con qualche rosellina rossa, in un vaso di vetro opalescente davanti a una specchiera, tra una tazzina e una saliera anch’esse opalescenti, o Iris prorompenti da un vaso giallo su sfondo turchese su un tavolo chiaro dove è posato un libro rilegato in pelle scura su cui è posato un bicchierino da rosolio e un ventaglio chiuso, oltre a un bel vaso in terracotta con i gerani, o pallidi Crisantemi che riflettono i bagliori ranciati di tre lampade giapponesi, o un povero Fagiano morto appeso a testa in giù sopra un tavolo su cui è posato un bicchiere di vino rosso, alcune carte da gioco sparse e un fiasco che si riflette, come il bicchiere, sulla superficie lucida, colore anch’essa del vino (o del sangue), del tavolo. Ma se dovessi dire dove l’arte del maestro Mario Gambetta esprime tutta la sua capacità evocativa e contemplativa, che è come dire tutta la sua poesia, direi che è nei suoi ariosi e luminosi paesaggi, in quelle Nevicate e in quelle vedute di Albisola e, in particolare, in quelle sue Marine, con quelle desolate spiagge, e acque e cieli autunnali o invernali; con le tristi barche in secca, come nella  metafisica, incantata, crepuscolare Marina con barche e cabina del 1942.

 

FULVIO SGUERSO

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