Sulla libertà economica

Sulla libertà economica

Sulla libertà economica

La libertà economica è uno dei diritti fondamentali, nato intorno al’600 in Inghilterra e considerato per più di 200 anni il diritto fondamentale della libertà personale. Questo diritto oggi trova i suoi limiti nel diritto d’uguaglianza, nel diritto alla salute, nel garantire la pace sociale, nel rispetto delle norme vigenti.

Negli anni la corrente neo-liberista ha portato la libertà economica ad essere intesa come libertà ad arricchirsi indebitamente, a speculare, permettendo il dirompente ingresso della finanza e il conseguente collegamento organico con l’economia locale, nazionale, globale. Con danni enormi.

Questa libertà si esercita con uno strumento fondamentale, i contanti, una condizione basilare, la concorrenza, e una precisa pianificazione e regolamentazione dei settori.

Il contante
Il denaro contante è il mezzo con cui scambiamo i beni ed i servizi. O meglio il tramite. Non potendo barattare direttamente il bene o il servizio con altri di pari valore, utilizziamo il denaro. Anche il lavoro “vale” denaro, poiché offriamo un servizio personale al nostro datore di lavoro (o all’azienda di proprietà o al proprio cliente) e pertanto viene retribuito. Questo strumento ci permette di spendere al meglio, come riteniamo opportuno, il nostro “giusto guadagno”. Gli odierni deliri dei governanti chiedono che ci sia sempre meno contante in giro. Verrà sostituito, forse, con carte, carte, carte. Sarebbe dunque libertà economica avere lo Stato, le banche e qualsiasi altro intermediario finanziario che controllano ogni tuo singolo euro? La scusa dell’evasione non sussiste, visto che gli evasori (quelli che se ne stanno alle Cayman) usano artifizi finanziari per portare fuori i soldi. Qual è il vero motivo? Che gli intermediari guadagnino da ogni transazione.
E (esempio banale) se la nonna vuole dare 20€ al nipote, cosa gli deve fare un bonifico? Vediamo dunque come il contante sia uno strumento base per garantire un minimo di libertà economica.

Regole, pianificazione, concorrenza
Una cosa importantissima sono le regole, a cui tutti devono sottostare. Queste devono essere snelle, ma garantire tutele ai consumatori e agli imprenditori stessi. Allo stesso tempo la politica deve pianificare il tipo di attività economiche da ritenere virtuose e quelle da bocciare ed evitare.

Come ad esempio tasse carissime sulla produzione di CO2, ridurre le pressioni fiscali alle PMI, favorire le attività pulite. Perché non può permettere che ognuno faccia gli affari suoi, altrimenti la libertà diventa sopruso. Allo stesso tempo non può permettere che alcuni beni e servizi primari vengano forniti dal privato, il cui unico scopo è il lucro (acqua, trasporti pubblici, energia). Al contrario, se intende privarsi di questi “asset” deve farlo garantendo la concorrenza. La concorrenza è un’altra base per garantire la libertà economica. Si può pianificare quanti tipi della stessa attività possono esserci in una zona, ma non permettere che l’offerta di un qualsiasi bene/servizio venga effettuata in regime di monopolio od oligopolio. L’unico monopolio deve essere lo Stato, nei limiti citati prima, ossia per servizi essenziali. Altra cosa importante sono i prezzi. Lo Stato deve fare in modo che i soliti servizi essenziali siano alla portata di tutti (sia in monopolio che in concorrenza), ma nel frattempo deve anche permettere la determinazione dei prezzi da parte dei negozianti. Non sembra giusto, soprattutto in periodo di crisi, con necessità di vendere, che i commercianti non possano abbassare i prezzi (quindi andando quasi a rimetterci) per attirare più clientela in questo frangente pre-natalizio molto proficuo, perlomeno sulla carta.

Direttiva Bolkestein e i balneari
E adesso tocchiamo il tasto dolente. La direttiva Bolkestein (2006/123/CE), recepita in Italia con d. lgs. 59/2010, permette la libera circolazione dei servizi all’interno dell’UE, portando così a gare di rilievo europeo le aste per i servizi (in maniera molto semplificata).

In Italia è sentitissimo il problema dei balneari, che con tale normativa dovranno incorrere in una gara d’appalto per la gestione dei bagni marini, con società anche straniere. Loro che per anni hanno posseduto quello stabilimento, su quel tratto di spiaggia. Ma è giusto o no? Sembra di sì. Perché la spiaggia è un bene demaniale, di tutti. E non può esistere concorrenza se uno non ha le parità d’accesso ad offrire il servizio. Quindi pare corretto che ogni tre anni si proceda ad una gara per la gestione dell’impianto, proprio perché si tratta di servizi offerti su suolo pubblico, su un bene pubblico, utilizzando le caratteristiche di tale bene. La politica monta la protesta (fantastico il centro-destra, prima recepisce la direttiva, poi la contesta). Invece dovrebbe farsi un esame di coscienza. Chi è che ha permesso per secoli le cementificazioni sul mare? Chi ha dato fior di concessioni? Loro. E tra il 2006, anno della pubblicazione, e il 2010, anno del recepimento, hanno tentato di programmare l’arrivo di questa nuova situazione? Pare di no. E non esiste nessuna proroga. Perché per lasciare per 5 anni le cose così come oggi (si parlava di 30) o si ottiene una deroga dall’UE, oppure si paga l’ennesima sanzione, per un’altra procedura d’infrazione. I cittadini pagano, i balneari ottengono garanzie per un quinquennio. Anche questa è libertà economica: se volete guadagnare, sottostate alle regole più banali di concorrenza, senza danneggiare i cittadini. Quali altri settori possono garantire di questi privilegi? Ben pochi. Forse non portano nulla nelle tasche di partiti e poltronissimi.

Manuel Meles da Il cittadino frustrato

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