Sulla famiglia tradizionale

Sulla famiglia tradizionale

I diritti, quando vengono estesi, non si usurano, né diminuiscono per chi già li deteneva 

Sulla famiglia tradizionale

Una delle motivazioni forti di chi si oppone a qualunque tipo di unione civile tra omosessuali, sta nella convinzione che il modello della famiglia tradizionale, quella per intenderci formata da un uomo, una donna e diversi figli, sia il modello corretto su cui basare tutta la società, o sia comunque il modello in qualche modo naturale, abituale, consueto. Quello su cui abbiamo basato la nostra storia.


Non vorrei qui entrare nel dibattito, tanto complesso, sulla legislazione riguardante la famiglia. Personalmente sostengo che i diritti, quando vengono estesi, non si usurano, né diminuiscono per chi già li deteneva. Sospetto fortemente che il matrimonio, come istituzione legale, sentimentale e religiosa, abbia bisogno di essere messo in crisi da un’analisi approfondita da parte di persone in qualche modo competenti, per arrivare a una profonda revisione del diritto di famiglia, per aggiornarlo a tempi più complicati di quando non fosse stato concepito.

Entro però nella questione per evidenziare e (mi piacerebbe tanto) contribuire al ragionamento su un argomento tanto delicato.

La definizione di “famiglia tradizionale” vuol dire ben poco. Mi spiego: l’esigenza di vincolare e pubblicare le relazioni famigliari, di renderle “tracciabili” mediante registri e scritture, è piuttosto moderna. Se non sbaglio il problema della discendenza era legato al feudo, alla terra. In un secondo tempo alla bottega. Fino alla controriforma c’erano dunque i nobili e i borghesi, che avevano necessità di designarsi, e di legare a un catasto e a dei confini una stirpe famigliare. La terra, la bottega, erano la vita. Dal Concilio di Trento nasce l’esigenza (e la prescrizione) di tener conto delle anime di una parrocchia. Si registrano con chiarezza nascite, morti, e relative famiglie. Il feudo lascia il posto a particelle di proprietà e una famiglia si lega ad un appezzamento di terra, non si saprà mai se fu la terra a dar nome alla famiglia o il contrario.


In ogni caso, prima del Concilio le famiglie non erano registrate. Partiamo quindi dicendo che la tradizione non è così antica e sempiterna come sembrerebbe. Balziamo brutalmente avanti, fino ad arrivare alla memoria personale. Io sono nato negli anni Sessanta. Ho vissuto sempre in piccoli paesi, la casa che abitavo era sempre vicina ad altre case. Le strade, le piazze e soprattutto i cortili sono sempre stati il terreno comune dove i bambini hanno giocato. Anche se la giurisdizione diretta e il potere di scopacciare era precipuamente materno, non era improbabile venire rimbrottati o redarguiti da una mamma quale che fosse. Ma anche disinfettati, in caso di caduta; rincuorati, in caso di piagnisteo; merendati, in caso di fame.

Le automobili erano rare. Tali da essere avvistate con anticipo e il solo enunciarne la presenza: “Macchina!”, valeva come fio pronunciato per la sospensione del gioco stesso.

A quei tempi c’era la borgata. Qui si potevano notare uomini, donne, giovani, vecchi, saggi, ladri, santi, effeminati, ubriaconi… E questo ancora negli anni Settanta. Chissà come si viveva nelle borgate a fine Ottocento, quando non c’erano auto, televisioni, telefoni, internet. Quando i padri si allontanavano abitualmente per lavoro (in inverno soprattutto, ci si spostava verso la Riviera, visto che qui la neve impediva i lavori agricoli). Una madre, sostenuta da nonni, suocere, cognate, vicine, badava ad un tempo ad animali e bambini, forse curando leggermente di più i primi, visto che era da loro che dipendeva il sostentamento di tutta la famiglia.

Tutto questo per dire che la definizione: “Famiglia tradizionale” non vuol dir nulla. In realtà stiamo parlando della famiglia come ci piace immaginare, e di cui è esistita solo una forma piuttosto diversa.

Ma già, forse è proprio la vita stessa ad essere cambiata, soprattutto con l’avvento dell’era industriale, con le sue invenzioni tecnologiche, con il profitto e la razionalità innalzati a bene assoluto, con i suoi palazzi, le città a misura d’auto e di fabbrica, ma non d’uomo.

Una famiglia tradizionale, che abita uno di quei mostri di cemento in una grande città, assediata da media sempre più spettacolari e invadenti, riduce di molto la speranza di dare un ambiente corretto, affettuoso, assiduo e presente ai suoi figli.

 

Il fatto, dunque, che i genitori siano o meno omosessuali, poco importa. Volendo salvare la famiglia (senza attributi di tradizionalità o meno) bisogna ripartire dalla vita comune, dalla vita di tutti, dal quotidiano. Città a misura d’uomo, case a misura d’uomo (belle, e che favoriscano la condivisione, il gioco in comune), media meno invadenti, cibi meno sofisticati.

Non si può salvaguardare la famiglia se non si costruiscono le condizioni minime dignitose per vivere: UNO stipendio deve bastare per tutto il nucleo. Se lavorano entrambi i genitori (maschi o femmine che siano) nessuno potrà occuparsi dei figli, dei vecchi, nessuno può badare alla casa e lavorare per la buona alimentazione (che richiede fatica e lavoro).

Riporto ancora tre questioni che secondo me mettono a repentaglio la famiglia, la società, la qualità della vita, più dell’unione di persone dello stesso sesso, e di cui secondo me non si parla mai abbastanza: la prima è il gioco d’azzardo, sotto forma di macchinette, di app per smartphone e computer, di sale da gioco disseminate per ogni dove. Il gioco d’azzardo è sempre stato ritenuto una delle cause della degenerazione dei costumi: il giocatore finisce per impegnarsi oltre le proprie capacità, finisce per indebitarsi e perdere i beni che gli servono per vivere, e questo a scapito anche del resto della famiglia, che scopre d’essere derelitta solo quando è troppo tardi. Come può uno stato degno di questo nome consentire un tale abominio? E per l’interesse privato, poi!

 La seconda è forse più marginale, ma per questo ancora più insidiosa: sono diffusi nei supermercati e nei bar, delle bevande alla frutta, a bassa gradazione alcolica. Sono molto gradevoli, e può berle anche un astemio. Anzi: scopre quanto piacevoli siano questi beveraggi. Scopre quanto si diventi più sciolti, più simpatici, più coraggiosi. E tutto questo, in specie fra gli adolescenti, è un pericolo molto grave, visto che l’alcool non fa mai bene, e ancor meno imparare a bere in questo modo e in giovane età. Meglio un buon vino, meglio l’amara birra, meglio addirittura un superalcolico, che contengono da loro stessi, una certa difficoltà nella prima degustazione, richiedono uno sforzo, un’applicazione a cui alcuni possono pure sfuggire.

 

La terza è la diffusione della pornografia. Per mezzo dei computer e dei telefonini chiunque può accedere a migliaia di ore di filmati pornografici. Nulla di male, se si tratta di adulti senzienti. Ma che tipo di immagine, di informazione, di formazione diamo ai ragazzi? I quali, tra l’altro, posseggono una confidenza con la tecnologia tale da sfuggire con grande facilità ai controlli dei genitori (genitori che, come detto, sono assorbiti in gran parte dal loro lavoro).

Così il sesso, da atto riproduttivo, sia pure fonte di piacere, ma anche e soprattutto condivisione consapevole di un aspetto profondamente intimo tra due persone, diventa atto spettacolare, prestazione, esibizione, numero da circo (Barnum).

In mezzo a questa jungla, la qualità, il numero e l’orientamento sessuale dei genitori, secondo me, diventa solamente marginale: una bagatella. Oltre tutto nessuno mai ha pensato (fortunatamente) a impedire agli imbecilli di occuparsi dell’educazione dei bambini, i quali sono cresciuti bene o male in tutte le epoche: in famiglia, con un solo genitore, addirittura in un lager, in un orfanotrofio o in un seminario.

Alessandro Marenco

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