Studio di Mantero sulle mani nel cenacolo

NOTE SULLO STUDIO DI RENZO MANTERO SULLE MANI NEL CENACOLO DI LEONARDO

NOTE SULLO STUDIO DI RENZO MANTERO
SULLE MANI NEL CENACOLO DI LEONARDO

La lettura della conversazione tenuta dal Prof. Renzo Mantero  il 27 marzo del 1998, presso la scuola Rudolf Steiner, a Milano, sul tema del linguaggio muto delle mani dipinte da Leonardo in quello che è unanimemente considerato il suo capolavoro, ovvero  l’Ultima Cena  nel refettorio del convento domenicano di Santa Maria delle Grazie,  ci illumina su molti aspetti inediti dell’ opera e della personalità davvero insondabili di quel  genio universale che ha affascinato nei secoli non solo i più grandi pittori ma anche poeti come Goethe, D’Annunzio, Campana, Valéry , scrittori come Papini e Prezzolini, fondatori della rivista “ Leonardo” (la cui copertina era impreziosita da una misteriosofica incisione in stile floreale di Adolfo De Carolis, contornata da una cornice di fronde recante  il motto leonardesco “Non si volge chi a stella è fisso”), autori di fortunatissime fiction esoteriche come Dan Brown,  medici come Sigmund Freud, filosofi, pedagogisti e architetti come il poliedrico autore  della monumentale Storia dell’arte, specchio di impulsi spirituali, Rudolf  Steiner (1861-1925)…


Ed è proprio a quest’ultimo, più che ad altri autori (salvo i testi di Leonardo in persona, come dichiara il professor Mantero), studiosi e storici dell’arte,  che il grande chirurgo  fa riferimento nel suo studio sulle mani nel Cenacolo; non per caso, a me pare, aveva fatto pubblicare  su “Manovre” (Anno XVII/N. 1), tra gli altri importanti contributi specialistici, il saggio “Incontro con il Cenacolo di Leonardo” del farmacologo, medico e antroposofo Wilehlm Pelikan, seguace e divulgatore delle idee di Steiner, nel quale possiamo leggere: “Con Rudolf Steiner la nostra epoca ha avuto in dono uno spirito universale quale forse nessun altro dall’epoca del Rinascimento, cui era stato donato Leonardo. E con l’arte dell’euritmia, creata da Rudolf Steiner, il nostro tempo si è finalmente riallacciato  all’universalità di tempi lontani. Mediante l’interazione armoniosa tra parola e suono da un lato e movimento dall’altro, e mediante i colori apportati dai veli, dalle vesti e dalle luci, si è nuovamente realizzata un’opera d’arte totale, quale è il dipinto che stiamo osservando…”.

Di questo dipinto, al professor Mantero interessano ovviamente le mani, cioè il loro linguaggio, e nel Cenacolo la gestualità, la postura e si direbbe quasi la loro metrica – oltre a quella studiatissima dei corpi degli Apostoli e di Cristo – appaiono invero dominanti (tanto che si è potuto tradurle in note musicali disposte su un invisibile pentagramma in chiave di do). “Leonardo è un grande osservatore ed è uno scenografo. E’ uno che è abituato a guardare, a far posare i modelli, ad ambientare e dirigere le rappresentazioni teatrali”. Leonardo, quindi, oltre che grande pittore, scultore, architetto e scienziato è stato anche un grande regista teatrale (e chissà, se fosse vissuto ai giorni nostri,  quanti e quali capolavori cinematografici avrebbe firmato!). Leonardo, continua il professor Mantero “ha studiato la mimica, la fisiognomica, e soprattutto ha studiato in un modo che ci sorprende la gestualità normale, quella di tutti noi, individuando dei codici che poi hanno dovuto aspettare  Freud per essere esposti in modo scientifico e razionale”. E non solo Freud, potremmo aggiungere, ma anche i corsi universitari di linguistica generale e di semiotica, da Ferdinand De Saussure a Umberto Eco, con i loro studi sul linguaggio verbale e non verbale, con relativa distinzione tra messaggi volontari e involontari, tra sintomi, indizi e segni, tra pragmatica e sintassi della comunicazione umana e animale (o non umana o disumana o post-umana).

Tutte queste discipline erano dunque già presenti in nuce nell’arte e negli studi  e nei disegni scientifici leonardeschi. Secondo il professor Mantero “Leonardo ha intuito che nell’uomo il modo di muovere le mani si può riassumere in tre categorie: il movimento volontario, quello involontario e quello – usando un termine più tecnico – limbico”. Di questi tre tipi di movimento il più importante- spiega il professor Mantero – è quello limbico: “limbus è lo spazio cerebrale che regola il sogno e il sonno, dove tutto è a riposo. Non vuol dire che dobbiamo dormire. Anche da svegli noi abbiamo spesso le mani in posizione di riposo….Molti di voi hanno in questo momento le mani in posizione limbica, ma questo non vuol dire che le vostre mani siano ferme; la mano a riposo non sta assolutamente mai ferma, c’è solo un momento nel quale la mano sta ferma, ed è quando siamo morti…”. Dopo questa digressione sulla tipologia dei movimenti delle mani, il professor Mantero analizza le mani del Cenacolo, cominciando giustamente da quelle di Cristo. Come si sa Leonardo rappresenta il momento della Cena in cui Cristo, il Logos, ha appena pronunciato le parole “Uno di voi mi tradirà” (Gv 13, 21), e le conseguenti reazioni dei dodici Apostoli. “Vediamo la figura centrale del Cristo e vediamo che gli apostoli sono disposti in gruppi di tre e si sa che questo ha una ragione numerologica precisa, scientifica, e in tutte le prime  coppie delle triadi, cioè nei primi due personaggi di ogni gruppo di tre, si incontrano tre mani, e quindi il criterio numerologico è costante, perché il numero tre è il numero della perfezione, il numero della creazione”.

Ora, siccome ci troviamo di fronte a  quattro gruppi di triadi con relative mani più quelle della figura isolata di Cristo, le mani presenti nel cenacolo sono in tutto ventisei. Il professor Mantero le analizza tutte, una per una, perché ognuna ha effettivamente qualcosa da comunicarci; ma qui ci limiteremo a riportare l’analisi delle mani di Cristo e di quelle di Giuda Iscariota, rinviando il paziente e studioso lettore al testo completo del saggio del professor Mantero pubblicato sullo stesso numero di “Manovre” prima citato. “Ora osserviamo la mano di Cristo che dà il pane intinto a Giuda, e vediamo la scelta di Leonardo da grande regista. Egli rappresenta questo evento centrale nel momento in cui è appena avvenuto. Cristo non è lì con il pane nel piatto, o appena preso; no, lo sta passando a Giuda, il quale lo sta per ricevere e sembra quasi che si muova. Vedete però che mentre una mano del Cristo è abbandonata, l’altra è contratta, ed è uno di quei gesti che vi ho definito involontari, un gesto di disappunto del Cristo uomo che, mentre con una mano dà il pane non può trattenersi dal reagire al pensiero che quello che riceverà il pane intinto nel suo piatto, quello lo tradirà; per questo quella mano non è abbandonata come l’altra. E infatti si legge nel Vangelo di Giovanni: ’Gesù rivolto a Giuda gli disse: Quello che devi fare, fallo subito’.


Un’espressione di impazienza che corrisponde al gesto involontario della mano”. E veniamo alle mani di Giuda: “Guardate un particolare: Leonardo, che in quest’opera ha messo tanta attenzione scientifica, non ha voluto nemmeno trascurare il dato della superstizione popolare e ha fatto rovesciare sul tavolo la saliera dalla mano destra di Giuda (quella che stringe la borsa con i trenta denari), e se pensate che erano tredici a tavola, che era il giovedì tredici di Nissan e che cosa è successo poi il venerdì, vi rendete conto che un buon milanese che guardasse l’opera non poteva non pensare che quello fosse un momento magico.

Ora vediamo l’altra mano di Giuda. La luce  che arriva dalla finestra dietro le spalle di Cristo viene a investire soltanto la mano sinistra di Giuda, la mano del tradimento (che stranamente assomiglia molto a quella contratta del Cristo)”.  Sulle mani di giuda si sofferma anche Wilhelm Pelikan: “Quale contrasto tra la luce irradiata dal Redentore e l’oscurità che Giuda raccoglie intorno a sé, tra la mano aperta di Cristo, che dona puro amore, e quella di Giuda, serrata a stringere la borsa! Coperto dal mantello blu scuro, il braccio sinistro del traditore si protende in avanti, con la mano che vuole solo prendere, solo possedere. Eppure, questa mano è terribilmente simile a quella del Redentore, che dà senza limiti. Le due mani posano quasi vicine, separate solo da quelle di Giovanni, devotamente giunte”. Come si vede in quest’opera niente avviene per caso, ma che cosa avvenga veramente rimane pur sempre un mistero.

Fulvio Sguerso

 

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