STRANO CASO ZANARDI-DIOCESI DI SAVONA

PROIEZIONI, RIMOZIONI E DEIEZIONI MEDIATICHE
 NELLO STRANO CASO ZANARDI-DIOCESI DI SAVONA

PROIEZIONI, RIMOZIONI E DEIEZIONI MEDIATICHE
 NELLO STRANO CASO ZANARDI-DIOCESI DI SAVONA
 
Francesco Zanardi
La scabrosa, intricatissima, aggrovigliata, sofferta e penosa vicenda (certo anzitutto per il protagonista, ma di riflesso per tutti, chi più chi meno, gli “attori” coinvolti in questa specie di dramma multimediale e diocesano tra debiti e crediti non saldati, atti di pedofilia veri o presunti, sospetti di reticenze e di ricatti e vera o presunta omertà di “gran parte” del clero savonese) ancora in svolgimento, dell’ormai famoso e – a causa dei suoi atteggiamenti e della sue clamorose iniziative ad uso e consumo della stampa locale cartacea e online – anche famigerato (con rispetto parlando, sia chiaro) Francesco Zanardi, può essere considerata sotto diversi profili: da quello banalmente mediatico-scandalistico, a quello pedagogico, a quello etico, a quello politico, a quello psicodinamico, a quello clinico, a quello giudiziario e persino a quello retorico, data la cospicua e indefessa produzione di lettere aperte, atti d’accusa, memorie, autodifese e carteggi in rete che Zanardi ha oggi al suo attivo.
Quindi tutto si può dire di lui meno che si sia arreso alla malasorte o alla congiura del silenzio (ecclesiastico); tanto che, nonostante i traumi, i disinganni e i colpi di ventura, non arretra di un passo da quella che egli considera, evidentemente, la sua buona battaglia contro l’untuosa ipocrisia vescovile savonese e degli alti prelati della Chiesa cattolica in generale (ha scritto anche al Papa), soprattutto riguardo alla piaga della pedofilia e dell’omosessualità, repressa o praticata che sia, all’ombra dei sacri palazzi. Solo degli alti prelati? Se così fosse, il “grande accusatore” della Diocesi di Savona, non mancherebbe di richiamarsi ai movimenti ereticali e pauperistici, e magari ai riformatori più radicali come Jan Hus o Thomas Muntzer, oppure, per non andare troppo lontano, a preti “di base” come Don Enzo Mazzi, Don Andrea Gallo o Don Giorgio De Capitani, ma non mi pare (posso sempre sbagliarmi) che siano questi i suoi modelli di riferimento. Aveva forse dei modelli più vicini e, per così dire, più domestici e familiari? Tra questi non troviamo certo il padre naturale, da lui stesse definito “un farabutto”. Dalle sue pubbliche testimonianze e dai suoi memoriali, sappiamo che ne ha incontrati almeno tre: Don Nello Giraudo, Don Carlo Rebagliati e, in ultimo ma non ultimo, Don Giampiero Bof; come si vede, tre preti che hanno agito, in circostanze e modi diversissimi, sulla sua formazione e nella sua vita, anche per l’aspetto economico, per l’impiego, l’abitazione, ecc. Un dato caratteristico di questa, comunque la si consideri, triste vicenda   privata divenuta ormai di pubblico dominio soprattutto per volontà dello stesso Zanardi, è l’ambivalenza, tra seduttività e strumentalizzazione, nei rapporti affettivi, economici e pratici tra un giovane omofilo a rischio di tossicomania, in un quadro di relazioni oggettuali intense ma instabili, e le figure, o immagini paterne, rappresentate dai tre sacerdoti. Il rapporto disastroso con don Nello (ora non più “don” perché sospeso in via definitiva dal sacerdozio), è percepito e vissuto da Zanardi come l’origine di tutte le sue successive disgrazie; si è trattato in effetti di una malsana relazione tra un “padre” abusante e un “figlio” abusato e ferito nell’immagine di sé, e che, in seguito a questa esperienza traumatica, probabilmente ha avvertito il bisogno   di altre figure paterne sostitutive e “riparative”, che in qualche modo lo risarcissero per il danno affettivo e morale subito dal primo “padre” mancato.

La seconda figura paterna incontrata da Zanardi è quella di Don Carlo Rebagliati, lo stimato amministratore ed economo della Curia savonese negli anni difficili dell’episcopato di mons. Lafranconi, e in quelli successivi (non meno difficili), e balzato anche lui alla ribalta dei media locali per le denunce di abusi, tutti da dimostrare, da parte di un suo assistito con problemi di tossicodipendenza. In questo caso si tratta di un incontro positivo, tanto sul piano dell’aiuto pratico quanto su quello umano, come risulta dalle loro stesse dichiarazioni, e dall’autorevole testimonianza della terza figura paterna incontrata da Zanardi nella persona di Don Giampiero Bof.

E tuttavia non mancano neanche qui zone d’ombra e complicazioni, come racconta Don Bof nella sua autodifesa scritta in seguito all’accusa di omertà mossagli inopinatamente da Zanardi (http://www.confronti 2010.webs.com/), dopo essere stato aiutato e confortato, anche in modo fattivo ma, a quanto pare, non nel modo preteso da chi ha ancora qualche difficoltà nell’identificazione del Nome del Padre e della sua legge: “In questo rapporto però ho incontrato alcune notevoli complicazioni: sono stato sorpreso da quello che Zanardi mi ha detto di Don Carlo: mille dichiarazioni di stima, di riconoscenza e di affetto. Carlo era il suo ‘popi’. Poi ho ascoltato da lui, proprio nei confronti di Don Carlo, dichiarazioni che, a mio giudizio, si presentavano, almeno moralmente, molto gravi. Ne sono rimasto scosso, ed ho stentato a riprendermi. Mi sono reso conto che non potevo – come altre volte ho fatto – avvertire l’amico di quello che poteva pericolosamente aleggiare sulla sua testa, non perché dovesse chiarire con me eventuali suoi problemi, ma affinché potesse correttamente affrontarli: temevo, per quanto delicata fosse stata la forma della mia comunicazione, di ferirlo in maniera troppo grave, personalmente, e persino nell’amicizia con Zanardi – nella quale non mi riconoscevo alcun diritto di intromettermi – e che mai avevo avuto intenzione di guastare, né avevo fatto qualcosa a quello scopo. “ Qui, a me pare che se qualcuno ha avuto l’intenzione di guastare un consolidato rapporto di stima e di amicizia, non poteva certo essere chi prestava ascolto alle gravi dichiarazioni fatte in camera caritatis (non, sia, chiaro, in confessione) a un Don Bof “scosso” e turbato dalle cose che Zanardi gli andava confidando su Don Carlo. Ma perché confessare, pardon, riferire su Don Carlo cose tali che l’ascoltante avrebbe preferito non ascoltare o dimenticare subito dopo averle ascoltate? A che scopo? E’ quello che si chiede Don Bof stesso: “Mi balenò infatti un pensiero, che ritenni di non poter controllare immediatamente. Era ed è una angosciante domanda: non potrebbe trattarsi di una qualche forma di ricatto di Zanardi su Carlo?”. Immagino che Zanardi consideri infondata questa ipotesi, dal momento che è lui a considerarsi ricattato da chi gli offre l’aiuto di cui ha comunque bisogno (non solo lui del resto), aiuto che giudica peloso e ricattatorio, a meno che non si traduca in precisi e circostanziati atti di accusa nei confronti dei tanti abusi subiti da tanti giovani a rischio e bisognosi d’aiuto da parte di sacerdoti operanti nella Diocesi, come può testimoniare lui stesso, anche con l’ausilio di registrazioni di colloqui compromettenti effettuate di nascosto; sulla base delle quali la sua terza figura paterna mancata avrebbe dovuto procedere a denunciare altri preti pedofili all’autorità giudiziaria, o, almeno, “obbligare” il vescovo a farlo, magari pubblicamente. Il comprensibile e motivato rifiuto del canonico del Duomo a compiere un passo tanto grave solo fidandosi della parola e delle registrazioni carpite dal “grande accusatore” ha trasformato ai suoi occhi Don Bof, da una   “buona e cara immagine paterna” quale si era dimostrato per lui in uno dei momenti di più acuto bisogno, morale e materiale, in un complice omertoso di fatti delittuosi, tanto da arrivare al punto di scrivergli: “rimango veramente molto deluso da lei Bof, proprio lei che chiacchiera bene ma razzola male adesso attribuisce a quel farabutto di mio padre la mia rovina . Al posto suo proverei vergogna ma evidentemente lei non ne prova, Credo che tutto ciò sia frutto di una miseria interiore veramente squallida appresa dai suoi compari. Non ho parole don, ma provo molta pene per lei e quelli come lei, le auguro di dormire tranquillo la notte anche se non nego io al vostro posto non riuscirei. “ Ora io conosco Don Giampiero Bof da quando ero liceale, e se voglio pensare a una persona di una ricchezza interiore, di una cultura e di una spiritualità incommensurabili, penso a lui.

Può certo farmi velo l’affetto e l’amicizia che ho sempre provato per lui, ma basterebbe scorrere la sua bibliografia per rendersi conto della ricchezza e della vastità del suo magistero, della luce intellettuale che in lui non si disgiunge mai dalla carità, e anche dell’umiltà che lo obbliga a non stancarsi mai di agire e di pregare perché la sua speranza, di uomo e di cristiano, non sia una vana parola. Questo per dire che non occorre essere esperti analisti per vedere come Zanardi attribuiesca e proietti su Don Bof i sentimenti, i giudizi e la “pena” che prova per se stesso, e da cui tenta di liberarsi proiettandoli, appunto, in un Don Bof immaginario, che assolve alla funzione di contenitore simbolico delle sue deiezioni verbali e fantasmatiche.

Ma, purtroppo per Zanardi, sono deiezioni che ricadono tutte su di lui. E per questo dubito che possa dormire tranquillo la notte.

 

Fulvio Sguerso

 

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