Si può fare: stop all’invasione

Si può fare: stop all’invasione

In attesa del controesodo

Si può fare: stop all’invasione

In attesa del controesodo

 Non insisto sul masochismo della sinistra, è come sparare sulla croce rossa. Il Pd è ormai percepito come il partito dei migranti, delle coppie gay, dei paladini dei rom; in realtà è il partito dei banchieri, delle lobby finanziarie, degli eurocrati. E sui migranti, dopo aver sostenuto che è un problema planetario, dopo aver proclamato la necessità di spalmarli e di integrarli, dopo aver giurato che l’Italia era solo terra di transito, dopo essere stati sbugiardati sui costi, sui numeri, sulla provenienza, ora hanno cambiato  tattica: non esiste il problema, è un errore percettivo indotto da una paura ingiustificata, non c’è nessun clandestino in giro per l’Italia, se c’è un problema quello è Salvini, che semina odio e raccoglie il consenso di persone meschine e malvage.

La nuova linea dei compagni: il problema non esiste ma se ci fosse sarebbe irresolubile


È istruttivo andare a vedere cosa pensano di noi i nostri vicini. Un lettore del Mundo, commentando qualche giorno fa un servizio del giornale sull’irrigidimento del nuovo governo italiano scriveva: “Lo de Italia es una invasion de dimensiones apocalipticas. Milàn literalmente està tomado por africanos y musulmanes, paseando ociosos por la ciudad a cualquier hora. El 98% no trabaja, viven de las ayudas statales, todos con sus iphones, su ropa de marca…Los relatos de la gente local son terrorifícos, la prensa lo tapa todo… es la nueva invasión bárbara. Impresionante”.  Ma, al di là dell’amarezza e, lo confesso, della vergogna per aver tollerato che tutto questo si compisse, impressionante è stato per me constatare che lo straniero si rende subito conto che la prensa lo tapa todo, la stampa italiana copre tutto. E forse il nostro viaggiatore non sa che non solo la stampa finge di non vedere e cerca di impedire che si sappia lo sconcio e il pericolo che rappresenta a qualunque ora la stazione centrale milanese (a Roma è anche peggio) ma si dà spazio nei media alle farneticazioni non solo dei politici, come il mezzo  leader del Pd, ma di quelli che direttamente e in prima persona lucrano sullo sporco affare della cosiddetta immigrazione che è in realtà un’invasione pilotata. Proprio mentre scrivo da un’emittente televisiva (sono tutte omologate, statali o private; le reti rai, mediaset e sky sono, per quel che riguarda l’informazione, intercambiabili) sento la voce di una che dovrebbe stare in galera ed è invece libera di dichiarare che gli interventi umanitari sono imprescindibili, che gli sbarchi si sono drasticamente ridotti (e con quelli i guadagni  suoi e dei suoi compari) ma inevitabilmente riprenderanno e, in buona sostanza, Salvini si dovrà arrendere perché è una cosa più grande di lui.


Ma intanto il traffico è stato bloccato, con i compagni in maglietta rossa (di rabbia)

Anche il prefetto Mori avrebbe dovuto arrendersi, perché la mafia era una potenza che nessuno aveva mai osato sfiorare, ma non lo fece. E solo grazie ai liberatori americani la mala pianta che era stata sradicata ha potuto di nuovo mettere radici.  Oggi il business dell’invasione ha dimensioni colossali, implicazioni politiche, criminali, affaristiche, nazionali e internazionali, coinvolge potentati finanziari, la Chiesa, le mafie africane, il califfato, l’Isis, i petrodollari, gode di protezioni a tutti i livelli degli organismi internazionali, Onu compresa.

Del reso pecunia non olet, soprattutto oggi che è diventata eterea, virtuale, impalpabile ma non per questo meno potente. Ed è proprio la potenza del denaro, la sua invasività, che spiega come mai lo strapotere degli Stati non riesce a debellare il traffico della droga o il terrorismo. E quando viene sferrato un colpo che fa più male salta fuori che ci sono milioni di contadini che se togli loro la coltivazione della coca rischiano di morire di fame. 

Ma il traffico di cocaina, come il contrabbando di sigarette, implica la partecipazione ad una perenne, costosa e rischiosa partita a guardie e ladri nella quale, anche se per loro il saldo è sempre attivo, le perdite per i trafficanti sono comunque molto alte. Col traffico di migranti no. Nessun rischio, al massimo il fantasma di un capro espiatorio  evocato  ma mai materializzato: lo scafista; per il resto, equipaggio, comandante, armatore, fiancheggiatori pubblici e privati e magari con le stellette, tutti eroi, campioni di umanità, meritevoli del nobel. Un’attività criminale non ha mai pagato tanto. Poi è saltato fuori Salvini e chi aveva investito sui nuovi arrivi ha perso tutto. Sembrava impossibile fermare le Ong e invece non se ne parla più. Ci ha provato la nostra marina poi, chissà come, si è fermata e non si muove più dalle nostre acque. Timidamente, con un piccolo carico, si è affacciata la marina militare irlandese, forte di trattati sciagurati siglati dai compagni. Si può scommettere che non lo faranno più.


I prevedibili colpi di coda dei necrofori

Al punto in cui siamo non credo più che ci sia qualcuno in buona fede e disinteressato fra quelli che parlano di tragedia umanitaria. E un po’ mi stupisce, un po’ mi indigna ma un po’ anche mi insospettisce che Toti indugi in graziose schermaglie con la Bonino o che Rampelli tiri in ballo le malefatte dei colonizzatori che hanno depredato l’Africa e che nessuno dica chiaro e tondo: non c’è alcuna tragedia umanitaria, la tragedia epocale è un’invenzione dei media, tutta l’operazione migranti è solo uno sporco affare. Per la verità di tanto in tanto qualcuno lo dice ma viene subito zittito, ridicolizzato o criminalizzato, come è accaduto a un Feltri assonnato o non proprio sobrio, esposto ai sorrisini del vicedirettore del Corriere e della Gardini.

Che ci sarebbe stato qualche bambino annegato era prevedibile e quando, puntualmente, si è verificato ci si è immediatamente affidati alla forza dell’immagine per  tentare di ripetere il successo ottenuto con l’uso mediatico del piccolo spiaggiato sulle coste turche. Hanno ragione i paladini dell’accoglienza a dire che “pietà l’è morta”, che si è fatto strame di ogni sentimento di umanità; hanno ragione ma è a se stessi che dovrebbero rivolgersi. È una vergogna e un’infamia che si usino espedienti da campagna pubblicitaria per tragedie vere di cui sono loro stessi i primi responsabili. Perché se non avessero la mente ottenebrata dall’interesse personale, dalla partigianeria o dal servilismo si dovrebbero chiedere chi è il mascalzone che ha messo a repentaglio la vita del proprio figlio o, peggio ancora, lo ha comprato dai genitori per servirsene come merce, mettendo in conto che la merce venga perduta. E invece, col compiacimento e la complicità dei media di regime, eccoli tutti con le magliette rosse che per l’occasione hanno acquistato un duplice significato, fintamente commossi e autenticamente soddisfatti per il colpo mediatico, scatenati contro il ministro che ha detto basta all’invasione fino al punto di augurargli che i suoi figli facciano la stessa fine dei bambini raccolti nel mare della Libia.

Chi parte sa a cosa va incontro? Da chi e come viene informato?

Da noi i media martellano sul numero dei morti in mare, sottintendendo che se chi parte sa di correre un rischio così elevato si può concludere che la sua condizione deve essere veramente disperata. Personalmente sono convinto che quei numeri vengano gonfiati e alle fotonotizie preferisco resoconti ben documentati; ma anche ammesso che le cifre siano quelle, che il rischio per quelli che tentano l’avventura sia elevato, anzi elevatissimo, siamo sicuri che chi decide di partire – perché ingaggiato o di sua spontanea volontà – sia al corrente di ciò a cui va incontro? Siamo sicuri che in Africa, nelle coste del mar Rosso o nell’Africa sub sahariana francofona, in Senegal o in Nigeria, stampa e televisione martellino sui morti in mare come succede da noi? Siamo sicuri che quelli che incoraggiano i giovani africani a raggiungere l’Italia, dove si vive bene senza lavorare, si fa una fortuna giocando a pallone e le donne bianche sono mezzo nude e disponibili, li informano che, se la traversata è un rischio, degrado, accattonaggio, emarginazione sono una certezza una volta usciti dal circuito e dall’affare dell’accoglienza? Io sono sicuro di no…GUARDA


I nostri paladini dell’accoglienza fanno il gioco delle tre carte. Mostrano le immagini  di disperati veri in Africa – quelli che dall’Africa non si muovono – e li fanno passare per quelli che sbarcano dai barconi, sforzandosi di nasconderne sesso, età, forma fisica.  Come Boeri, confondono gli stranieri che lavorano in Italia, camionisti moldavi, badanti ucraine, domestici filippini, muratori albanesi, commercianti, artigiani e imprenditori cinesi, con la massa degli invasori che non lavora e non lavorerà mai, che sono solo un peso destinato a gravare sempre di più sul bilancio dello Stato. E non parlo solo della sicurezza o delle paure degli italiani: più la sicurezza funziona, meglio fanno il loro lavoro forze dell’ordine e giudici, più si riempiono le carceri e si svuota il bilancio (per la cronaca: i detenuti stranieri attualmente in carcere costano allo Stato un miliardo e duecentocinquanta milioni l’anno). Devo anche aggiungere che, a parte il giochetto linguistico e col solo riferimento agli stranieri legittimamente in Italia, che lavorano, pagano tasse e contributi ecc., sul fatto che siano una risorsa ci andrei piano: lo saranno, tecnicamente, forse, per i conti dell’Inps ma se si mettono in conto i costi sociali, dalla sanità alle case popolari, all’istruzione, ai ricongiungimenti, senza contare le rimesse, che il saldo sia attivo per noi ho qualche dubbio. Ma anche questo rientra nella disinformazione, la дезынформа́ция della quale il KGB ha passato il testimone alla sinistra e che ha fatto scuola in Occidente. 

 Pier Franco Lisorini

   Pier Franco Lisorini è un docente di filosofia in pensione

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