Si continua a morire per la crisi…

 Si continua a morire per la crisi:

dal 2012 mille suicidi “economici”

L’Istat ha smesso di conteggiarli, ma per la Link Campus University oggi la categoria più colpita è quella dei disoccupati

 Si continua a morire per la crisi: 

dal 2012 mille suicidi “economici”

L’Istat ha smesso di conteggiarli, ma per la Link Campus University oggi la categoria più colpita è quella dei disoccupati

 

E’ un po’ che non si sente parlare dei “suicidi economici”. Cioè di quelle persone che decidono di togliersi la vita poiché sommersi dai debiti o ridotti in povertà dopo aver perso il lavoro. Questo fenomeno, però, non è calato. Anzi, dopo l’escalation registrata durante la crisi, il fenomeno è rimasto costante anche dopo l’inizio della lenta ripresa. E se inizialmente riguardava soprattutto gli imprenditori del Nord-Est, gli ultimi dati mostrano un maggiore coinvolgimento di disoccupati e lavoratori meridionali.

 

INSOMMA, ciò che è scomparso dalle statistiche purtroppo non è sparito dalla realtà e ha cambiato forma. L’Istat ha smesso di conteggiare questo tipo di suicidi per vari motivi. Innanzitutto c’è il timore di catalogare come “economico” un gesto che in realtà potrebbe avere anche altre ragioni; inoltre si vuole evitare un effetto emulazione. La Link Campus University di Roma anche per questo ha deciso di aprire un osservatorio sui suicidi per ragioni economiche. Ieri è stato presentato l’ultimo rapporto, che dal 2012 al 2018 segnala 988 casi di persone che si sono uccise e altre 717 che hanno provato a farlo senza riuscirci. 

“Abbiamo notato un aumento significativo dal 2012 al 2015, quando c’è stato il picco massimo – spiega Nicola Ferrigni, professore di Sociologia generale e politica –  Poi è diventato un fenomeno costante e si è mantenuto allarmante senza flessioni né impennate”.

 


 

NEL 2012, la popolazione dei suicidi era composta per il 55% da imprenditori e per il 31,5% da disoccupati. A compiere il gesto estremo, quindi, erano soprattutto quei datori di lavoro che non erano più in grado di pagare tasse, dipendenti e fornitori. “La maggior parte dei casi si concentrava infatti nelle zone con più imprese – aggiunge Ferrigni – quindi nel Nord-Est”. Con il passare del tempo le cose sono cambiate e tornando a rivolgere lo sguardo agli ultimi sette anni le percentuali si riallineano. Gli imprenditori sono diventati il 41,8%, mentre i disoccupati sono arrivati al 40,1%.

C’è anche una quota del12% formata da lavoratori. Oggi la Regione più interessata resta il Veneto con il 15,8% dei casi. Al secondo posto c’è la Campania con il 13,5%. A Napoli e dintorni si è passatidal12,4% del 2012 al 21,8% del 2018).

Ferrigni ha precisato il metodo di indagine: “Analizziamo le notizie di stampa e verifichiamo caso per caso con le autorità locali. Escludiamo dalle nostre tabelle tutti i casi dubbi o ibridi. Consideriamo soprattutto gli episodi che vedono la presenza di un biglietto lasciato dal suicida dal quale emerge la chiara volontà di farla finita per il disagio economico”.

 

ROBERTO ROTUNNIO   Il Fatto Quotidiano

 

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