SERVIZI SOCIALI E CRISI: LA CARITÀ UCCIDE?

SERVIZI SOCIALI E CRISI:
LA CARITÀ UCCIDE?

SERVIZI SOCIALI E CRISI: LA CARITÀ UCCIDE?

Sperando di non apparire presuntuosi vorremmo lodare l’iniziativa del Comune, promossa dall’Assessore competente ai Servizi Sociali, di predisporre per coloro che vengono “pescati” al volante con un tasso alcolemico non conforme alle regole vigenti dei percorsi riparativi, inserendoli nel progetto del Piedibus: le carovane ordinate di bambini che ogni mattina attraversano a piedi la città per andare a scuola. Avrete di certo notato disseminati per la città i punti di raccolta dove i bambini al mattino attendono il passaggio della carovana Piedibus, la quale si snoda per la città sotto la responsabilità di adulti volontari che aprono e chiudono le fila.

L’automobilista che verrà beccato alla guida dopo aver alzato il gomito avrà la possibilità di riparare al rischio a cui ha esposto la comunità, guidando non al pieno delle sue facoltà, prendendosi la responsabilità di una corsa del Piedibus

L’iniziativa ci piace in quanto a nostro avviso in antitesi con la logica puramente sanzionatoria del diritto, che si fonda sull’assunto che a una contravvenzione della norma debba seguire una punizione di intensità conforme al “reato” commesso e che stia in tale rapporto il valore educativo della pena stessa.

Piuttosto che punire coloro che alzano il gomito e si mettono al volante privandoli puramente del tempo libero, ad esempio impiegandoli per la pulizia dei parchi, il Comune offre loro la possibilità di dimostrarsi adulti responsabili, badando alla “cosa” più preziosa che ci sia: i nostri figli; compensando in questo modo la leggerezza compiuta nel essersi messi al volante dopo aver bevuto.

Ciò offre dei vantaggi anche al Comune, il quale assolve al suo obiettivo di promozione della coesione sociale e allo stesso tempo gestisce la carenza di volontari per i Piedibus; non è improbabile che una parte di coloro inseriti nel circuito Piedibus “forzatamente” decida poi di rimanervi come volontario (come dire, un giro di prova chiavi in mano).

Ieri (Venerdì 28\09) sulle pagine del Secolo il nostro Sindaco dichiarava, riferendosi alle residenze per anziani gestite dalle Opere Sociali, che l’aspetto fondamentale per tali strutture è rappresentato dall’offerta di servizi di qualità; credo che senza problemi il nostro Sindaco amplierebbe la considerazione ai servizi sociali in genere.


Quella sopra descritto per i guidatori “spiritosi” può essere un esempio di servizio di alta qualità che inoltre ci arricchisce come comunità, dato che offre un occasione riparativa di indubbio valore educativo all’autore del reato e al contempo permette al Comune di sopperire alle proprie necessità.

L’argomento su cui occorre insistere in questo momento di difficoltà è a nostro parere quello del come valutare la qualità dei servizi che un Comune elargisce, serve uno scarto rispetto al costrutto di qualità utilizzato per valutare i servizi sociali; in un ottica assistenzialistica, come quella che attualmente governa i servizi, la qualità è intesa come rispondere al maggior numero di esigenze dell’utente, ne deriva che in caso di contrazione dei fondi a disposizione irrimediabilmente la qualità del servizio erogato sia destinata a scemare.

Il costrutto di qualità deve essere ampliato, considerando in primis la misura in cui l’intervento di sostegno metta nella condizione l’utente di diminuire le sue esigenze, quindi le sue richieste, e inoltre che ritorno per la collettività tutta garantisca tale intervento.

Consideriamo le azioni che vengono messe in atto oggi per sopperire alle ristrettezze economiche delle famiglie savonesi più colpite dalla crisi; famiglie che hanno perso la fonte di reddito e che con l’ausilio dei soli loro risparmi non riescono a far fronte alle spese, anche le più essenziali, famiglie che senza un aiuto della comunità finirebbero “in mezzo a una strada”. Il Comune offre correttamente loro, facendo i salti mortali visto la situazione di ristrettezza, un aiuto economico nel pagamento dell’affitto e delle bollette, quando necessario anche buoni pasto, che hanno sostituito i vecchi pacchi viveri, nei casi in cui il reddito non permetta neanche l’acquisto dei beni di primissima necessità.

Tale forma di intervento rappresenta niente più che una voce di spesa, un esercito di questuanti a cui elargire qualcosa per fare in modo la loro vita non vada “a rotoli fino in fondo”; l’assistenzialismo, per quanto animato da ottimi sentimenti, non lascia appigli alla dignità, colloca l’utente nella categoria di assistito senza offrirgli gli strumenti per uscirne. Divide il tessuto sociale in due porzioni, gli assistiti e coloro che assistono; i cittadini che ce la fanno da soli e quelli che invece non riescono a sbarcare il lunario, senza però curarsi di creare ponti per far si che chi si trova da una parte possa passare dall’altra (possibilmente con un unico senso di marcia).

Non si sta dicendo che questo accada per tutti coloro che nella loro vita hanno avuto necessità di ricorrere ai Servizi per un aiuto di carattere economico, ma che i servizi offerti non curano a dovere il processo di “rilancio” individuale dell’assistito, lasciando la cosa alle energie del singolo.

L’essere collocati entro il blocco degli assistiti comporta delle ricadute sul piano biografico, una lenta perdita di slancio verso l’autosufficienza, quindi una graduale diminuzione di fiducia nella possibilità di imprimere personalmente una piega diversa al futuro; ci si adagia scoraggiati nel ruolo dell’assistito, un pozzo dalle pareti lisce in cui aspettare che qualcuno si occupi di noi.

L’assistenzialismo grava poi in modo forte sulle casse del Comune, il quale deve spesso rivedere le spese, quindi i servizi erogati, per cercare di far quadrare i bilanci e al contempo accontentare tutti con quei pochi soldi di cui dispone.


Un modo per rispondere alla condizione di crisi dei cittadini indigenti e delle loro famiglie che sia in linea con la definizione di qualità sopra proposta, dovrebbe partire dal considerare in modo differente il blocco degli utenti, non come un gruppo di persone sfortunate da assistere, ma come una squadra di individui, con le loro conoscenze e competenze, che versano in una condizione svantaggiata ma che ciò nonostante possono rappresentare una grande risorsa per la comunità. Lasciando invariati gli aiuti a loro dedicati, si potrebbe chiedere un certo numero di ore di disponibilità volontaria, che essendo disoccupati certamente non avranno problemi a conceder, per contribuire a migliorare la qualità di alcuni servizi che già il comune offre (ad esempio, la pulizia dei parchi, la cura delle aiuole, il rapporto tra il comune e il pubblico etc), oppure per collaborare a quei progetti innovativi che il momento di crisi economica non permette di intraprendere per mancanza di fondi (il rilancio di una zona abbandonata, la sperimentazione per l’uso differente delle risorse del nostro territorio etc).

Non per coprire quindi il lavoro che già altri addetti stipendiati  compiono, ma per offrire un servizio migliore o per sostenere quei percorsi\servizi innovativi che diversamente non potrebbero partire per mancanza di risorse.

Le ricadute per l’utenza e la collettività sarebbero molteplici, da una parte l’utente dei servizi avrebbe la possibilità di “guadagnare” quanto al momento riceve in dono, mantenendo quindi il suo status di cittadino produttivo (per quanto in difficoltà), inoltre queste ore di servizio sociale volontario sarebbero per lui occasione di formazione professionale, attraverso cui apprendere un nuovo mestiere o consolidare le competenze già possedute; per la collettività si realizzerebbe un miglioramento dei servizi senza alcun costo aggiuntivo e una spinta per la crescita e l’innovazione del territorio.

Altra ricaduta sarebbe senza dubbio rappresentato dall’impulso al rilancio personale dell’individuo assistito, che avrebbe maggiori probabilità di rimettere in sesto la propria vita e di divincolarsi dalla rete dei servizi, sopperendo in modo autonomo alle proprie esigenze.

Se poi pensiamo a quelle persone che non hanno alcuna intenzione di emanciparsi dagli aiuti dei servizi, dato che grazie a essi vivono una vita a loro parere dignitosa senza dover per questo lavorare, quindi faticare, tali percorsi volontari potrebbero divenire, se accuratamente costruiti e realizzati, occasioni per smuoverli dal ruolo dei cittadini passivi e opportunisti.

Siamo consapevoli che al momento attuale una prospettiva del genere non sia contemplata dai regolamenti comunali, quasi certamente sarebbe necessario studiare come normare e rendere realizzabile quanto sommariamente proposto; non vedo però motivi per non procedere con una riforma di questa portata, realizzabile senza aggravi di costi, anzi migliorando la resa per il cittadino di ogni singolo euro investito nei servizi rivolti ai cittadini svantaggiati.

 ANDREA GUIDO  28 settembre 2013

 

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