SENSO E NON SENSO

Prof. Lisorini, lei da tempo ha deciso che non val la pena di rispondere a quelle che, suppongo, considera mie provocazioni nei suoi confronti per motivi idiosincratici miei personali e che, in quanto tali, sono problemi miei che non la toccano in nessun modo e che quindi vanno ignorati. Ora però lei evita di rispondere alle mie precise e argomentate domande in merito al suo articolo in memoria di Remo Bodei – tra l’altro senza nemmeno nominarmi: “Sono stato sollecitato a ribattere alle ‘puntualizzazioni’ riguardo a quello che avevo scritto…”, sollecitato da chi? Non si sa – perché, a suo giudizio, sarebbero destituite di senso, cioè insensate. E qui, a parte il fatto che il suo giudizio così severo non denota un gran rispetto per l’interlocutore, si apre un bel problema di filosofia del discorso, o, più semplicemente, di efficacia comunicativa: se lei nega che le mie domande abbiano un senso, è chiaro che sarebbero insensate anche le sue risposte; ma chi decide del senso o del non senso di un discorso? Se io, per esempio, definissi insensata la motivazione da lei addotta per non rispondere alle questioni che ho posto alla sua cortese attenzione, i casi sarebbero due: o si tratta di una definizione arbitraria priva di fondamento, oppure si tratta di una definizione fondata; nel primo caso il discorso sarebbe già finito prima di cominciare, nel secondo sarei obbligato a rendere conto (secondo il socratico “lògon didònai”) della mia definizione. Bene, dal momento che giudico insensata la sua motivazione sono tenuto a dirle anche perché. Intanto prendo atto della sua precisazione riguardo al fatto che Remo Bodei è stato suo compagno di Università e non di Scuola Normale Superiore, ma non è tanto su queste bazzecole che mi aspettavo risposte e nemmeno sul perché lei ha bellamente ignorato il mio articolo di domenica 17 novembre in memoria di Remo Bodei, uscito giusto una settimana prima del suo sulla stessa rivista online (ognuno è libero di leggere quello che vuole); no, mi aspettavo risposte sul perché si è “guardato bene dal leggere le opere” e nemmeno un libro del suo vecchio amico e compagno d’Università Remo Bodei. A me non sembra una domanda priva di senso, come non mi sembra una domanda priva di senso chiedere con quale titolo lei declassa maestri come Cesare Luporini e Francesco Barone a “periti settori intenti a esaminare cadaveri”. Non le sembra di giudicare con severità eccessiva docenti dall’indiscussa autorità nel loro specifico campo di studi? E poi come fa a intonare il De profundis sulla filosofia italiana se non conosce nemmeno il pensiero del suo vecchio amico e compagno di studi Remo Bodei, unanimemente considerato uno dei maggiori filosofi italiani contemporanei? Anche questa è una domanda insensata? Non so se questa volta mi sono spiegato meglio. In attesa, come si dice, di un suo cortese riscontro, un saluto da Fulvio Sguerso
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