Se la nebbia della propaganda comincia a diradarsi

Passano i giorni e le settimane dall’inizio delle operazioni militari russe contro l’Ucraina, sulla quale si combatte anche una battaglia semantica, con gli americani e i loro lacchè che insistono nel parlare di invasione, per di più immotivata, e i russi pudicamente di “operazione militare speciale”. E per superare l’obiezione che se intenzione della Russia fosse stata davvero quella di invadere l’Ucraina l’avrebbe già fatto, stante la circostanza che la sua macchina da guerra ne avrebbe tranquillamente stritolato le difese in un paio di settimane in barba a tutti i rifornimenti militari che ne avessero rafforzato “l’eroica resistenza”, gli americani e i loro lacchè finiscono per chiudersi in una gabbia di elucubrazioni contraddittorie.

E a parte la fugace controllata e filtrata voce di qualche militare che se ne intende, come l’ex comandante della brigata Folgore, i nostri esperti di geopolitica e di strategia formati, si fa per dire, sulle rovine post-sessantottine della nostra accademia, pontificano che l’esercito russo si è impantanato, che non ha sfondato, che la sua catena di comando si è spezzata, che è sull’orlo della rivolta, che è in rotta, che Putin è costretto a rivedere i suoi piani e altre amenità. In realtà la Russia non aveva e non ha alcun interesse a invadere l’Ucraina ma mirava e mira ad esercitare una pressione sul suo governo per raggiungere obbiettivi esplicitamente e reiteratamente dichiarati: impedire l’ingresso della Nato a due passi dalla sua capitale e liberare le repubbliche autonome russofone del Donbass dagli attacchi dell’esercito e dei miliziani ucraini. È fuor di dubbio che questa pressione è stata progettata e attuata in una forma estremamente brutale ed è stata ed è pagata a caro prezzo  da migliaia di incolpevoli cittadini che hanno perso i beni e in molti casi la vita (la stampa occidentale gioca oscenamente sui numeri ma anche una sola vittima civile sarebbe stata inaccettabile) ma è altresì indubbio che il fantoccio manovrato dagli americani e la banda di neonazisti che lo sostiene hanno fatto di tutto per trasformare una pressione dimostrativa in un attacco distruttivo.

Il resto l’ha fatto l’Ue timorosa degli Usa e spinta dalla russofobia delle repubbliche baltiche e della Polonia, col “nostro” Draghi, l’impiegato modello della finanza globale, in prima linea nel gettare benzina sul fuoco al fianco del più sprovveduto ministro degli esteri che il pianeta abbia mai conosciuto, uno che aveva già mostrato di non conoscere la geografia, figuriamoci la geopolitica, uno che aveva candidamente dichiarato : “l’Ucraina è uno Stato sovrano e può mettere i missili americani dove vuole, i russi se ne facciano una ragione”.    Passano i giorni e le settimane e diventa sempre più chiaro che alla guerra sul campo si è sovrapposta una guerra mediatica politica e diplomatica nella quale l’Occidente può vantare una schiacciante superiorità, capace di sostituire ai fatti una realtà di comodo. Ma nel momento stesso in cui se ne riconosce l’esistenza questa guerra parallela comincia a perdere forza ed efficacia: la personalizzazione del conflitto  cede il posto all’evidenza di un parlamento, la Duma, che  non solo sostiene Putin ma lo sprona; il presunto capriccio di un despota si scopre essere l’interesse e la sicurezza di una grande potenza; l’agguerrita e coraggiosa opposizione interna si riduce  ai quattro gatti, seppur miliardari, con casa e portafogli all’estero e si è costretti a riconoscere a Putin un convinto e plebiscitario consenso popolare quale i leader europei, d’oltre Manica e d’oltre atlantico neppure si sognano.

E a mano a mano che il coro dei ciarlatani di regime si affievolisce diventano più distinte le voci critiche che si levano dalla società civile.  Intanto diventa chiaro che il disegno russo non è quello di conquistare l’Europa o di attentare alla democrazia e alla nostra libertà (!) come senza arrossire ha sentenziato il capo del nostro sgangherato governo ma di rompere la morsa dell’imperialismo yankee:  non a caso con l’operazione Ucraina ancora in corso dai russi già viene sollevato il caso Afghanistan. Gli americani non si sono limitati a dare una mazzata all’economia e alla società afgane ma hanno politicamente distrutto i Paese per utilizzarne le macerie contro il colosso russo, che ora è intenzionato a presentare il conto. E ancora una volta la miopia strategica dell’impero finanziario e militare americano   ha spostato Mosca verso l’Asia e la Cina, operando col fattivo contributo del nostro governo e dei nostri  politici una forzatura culturale prima che politica dalle conseguenze catastrofiche: la Russia viene sradicata dall’Europa, della cui storia  è parte essenziale, erede com’è attraverso Bisanzio della nostra storia comune. Lascia esterrefatti, a questo proposito, sentire parlare di scontro di civiltà, come se la santa Russia fosse alternativa all’Europa. Perfino l’Urss, piaccia o no e a me non piace per nulla, era cosa nostra, impiantata nella nostra comune cultura e  legata a filo doppio con le nostre realtà politiche; e non si dirà che l’aver abbattuto il comunismo  per riannodare i fili col passato abbia allontanato la Russia da noi! Se poi guardiamo al senso della crociata a favore del governo ucraino dalla quale segue   quella paradossale alternativa culturale non si sa se ridere o piangere.

L’Ucraina, creatura artificiale disegnata da Lenin, non è solo il Paese in cui da decenni scorrazzano liberamente milizie armate che si dichiarano apertamente naziste, è anche la terra in cui gli eserciti dell’Asse trovarono i loro migliori alleati nonché quella da cui provenivano i cosacchi  che insanguinarono e stuprarono Berlino occupata dall’armata rossa. Ed è lo Stato nel quale si sono susseguiti golpe, assassinii politici, riscritture arbitrarie della costituzione, elezioni truccate, arresti, deportazioni, violazione dei più elementari diritti civili ed è anche il Paese europeo che detiene il record delle disuguaglianze sociali e della corruzione, quello in cui un modesto pensionato italiano può vivere da benestante e quello che più alimenta, chissà perché, l’emigrazione verso l’Italia e l’Europa occidentale.

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Con ciò non intendo minimizzare l’orrore della guerra né sminuire l’anomia e le distruzioni che ne seguono ma semmai  imputarle a quelli che, come i Draghi o i Di Maio, invece di farsi carico delle preoccupazioni e delle legittime rimostranze dei russi e di spingere per una mediazione internazionale hanno sposato a occhi chiusi la causa della sacralità dei confini ucraini e degli interessi economici politici e militari americani seguendo il delirio di un presidente fuori di testa che minaccia, lui sì e l’abbiamo sentito tutti, una guerra nucleare, dà del macellaio a un capo di Stato e progetta di rovesciarlo come i suoi predecessori fecero con Gheddafi o con Saddam Hussein.  Ma passano i giorni e le settimane e la nebbia della propaganda occidentale – vale a dire americana – comincia a diradarsi. E quando l’aria si farà più pulita prenderà corpo il fantasma di un’altra guerra, la guerra del gas condotta dagli americani che ostacola e impedisce qualunque negoziato di pace;  e quando l’aria si farà più pulita si rivelerà la nudità imbarazzante del nostro governo, della maggioranza che lo sostiene e dell’opposizione che lo puntella. E, a cascata, dalla sciagurata gestione della pandemia, all’affossamento  dell’economia, all’abbandono della scuola, alla beffa della riforma dell’Irpef, si paleseranno con impietoso nitore tutti i fallimenti  del governo di salute pubblica che si è dimostrato di pubblica rovina e l’inconsistenza di tutta la nostra “classe politica”.  Qualcuno mi dirà: qual è l’alternativa? Per quel che mi riguarda non lo so e non la vedo.

Pierfranco Lisorini

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