Scuola

Cinque motivi per non fare studiare
il proprio figlio in Italia?

Cinque motivi per non fare studiare il proprio figlio in Italia?

Ricollegandomi all’articolo che esce in parallelo a questo, mi chiedo: cinque motivi o un solo motivo che si esplica in tante forme? Prescindendo dalle sorti e dai possibili effetti della cosiddetta “Riforma Gelmini”, indipendentemente dalle sacrosante aspettative degli studenti, a mio avviso da sempre deluse, ignorando volutamente la “prova del nove” di ignoranza schietta del “a me non mi sta bene che …” di una ricercatrice palermitana intervistata, prendo un momento di pausa per riflettere su qualcosa che mi sta seriamente a cuore.

Faccio il punto (locale e particolare) su quanto ho conosciuto, sperimentato, misurato e stimato di persona e i dubbi prendono forma. Conosco l’ambiente universitario genovese, posso dire da quarant’anni. Ho studiato Fisica conoscendo in prima persona la Storia del ’68, la strumentalizzazione di alcuni docenti “rampanti” contro i “Baroni” di allora, ho preso atto della “fortuna” di chi puntò sui cavalli giusti e, tutto sommato senza troppi dispiaceri, ho iniziato ad insegnare nella Scuola. Prima la “gavetta” fuori regione, poi la vincita di due concorsi a cattedre. Concorsi osteggiati e contestati dai “rossi” sessantottini miei compagni per qualche motivo non rientrati tra i fortunati “contrattisti” o “assegnisti” e quindi capitati nella Scuola senza muoversi dalla Liguria (i fortunati). Con due concorsi vinti mi rimaneva l’imbarazzo della scelta e, omettendo le innumerevoli pressioni e porcherie messe in atto, presi possesso della cattedra di Matematica e Fisica vinta presso il Liceo Scientifico di Chiavari. Insomma per un Docente proveniente dal corso di Laurea in Fisica, in un certo senso, una buona sorte. E poi, un laboratorio didattico così d’avanguardia per un Liceo, la collaborazione preziosa di un Tecnico di altissimo valore, mi invogliò a rivolgermi ad un paio di settori di ricerca, iniziando a piazzare su dignitose Riviste internazionali dignitosi lavori. Ovviamente gli aggettivi usati non sono autoreferenziali ma indotti dal numero di citazioni successive di altri Autori. Il contatto costante con il Dipartimento di Fisica di Genova, qualche limitatissimo aiuto di qualche “amico-nemico” e la mia “figura anomala” simile a quella di un Docente italiano nel periodo tra la fine ottocento fino all’avvento del Fascismo resta attiva a tutt’oggi. Risulto, nel 2001, nella rosa dei tre Idonei in un concorso a Professore universitario, Fascia degli Associati, concorso sostenuto a Milano senza neppure informare i miei “amici-nemici” di Genova. Ebbene, rimango l’unico che non riceve alcuna “chiamata”, anzi, ironia della sorte, un non idoneo al mio concorso vede istituire dalla sua università e su sua misura, un nuovo concorso “in casa” che, ovviamente, vince.

Mi sono chiesto più volte, credendo nel detto “il lavoro premia sempre”, se i 60 lavori dell’epoca (oggi sono più di 80) quasi tutti a firma singola, non fossero di sufficiente spessore o se, per caso, non avesse ragione una “commissaria napoletana” a scrivere nella sua relazione che “i lavori a firma singola denotavano però scarsa capacità di lavorare in team”. Strano, perché i lavori in collaborazione spesso servono a “condividere” la stessa pretesa di operosità, sfruttando spesso, il lavoro di qualche eccellente laureando che poi magari rimane con un pugno di mosche in mano.

Il caso personale spero non abbia annoiato troppo il Lettore. E’ un caso di italica normalità. D’altra parte il fatto che lo Scrivente abbia vinto un concorso, nel suo caso, non pilotato da nessuno, è, tutto sommato, un caso che non fa generalizzare lo stereotipo del “In Italia i concorsi sono tutti truccati”. Qualche volta no, ma non serve lo stesso a nulla. Sfigato o non sufficientemente meritevole? Non sta a me la conclusione.

Oggi ho però un figlio che promette benino. Pur non essendo un “secchione” ha un profitto di eccellenza nell’ottimo Liceo che frequenta, risponde con competenza su una Rivista di Informatica a larghissima diffusione, a dispetto dell’età ha la saggezza di sapere moderare un “forum” connesso con la Rivista stessa. Promette bene e ha le idee chiare sul suo futuro e sul corso di Laurea. Mi sorge un dubbio. Il corso di Laurea a cui aspirerebbe ha il “numero chiuso”, due docenti di cui uno “genovese”, ebbero l’onore di finire sul “Guardian” per aver preso soldi al fine di far “entrare” un candidato al concorso a numero chiuso. Una mia ex studentessa (100/100) all’esame di stato ed una intelligenza indiscutibile, tenta tre volte l’esame di ammissione prima d’essere ammessa, mentre un suo compagno di deludenti “conoscenze, competenze e capacità”, passa alla prima … Cosa cambierebbe in questo scenario la “riforma” di Mariastella Gelmini? Perché qualcuno chiosa sul fatto che gli studenti in rivolta in realtà fanno il gioco dei Baroni? I veri Baroni sono ormai sotto terra e i neo Baroni del ’68 stanno uscendo di scena andando in pensione (basta guardare l’organico M.I.U.R.) e nessuno se ne accorge, e nessuno ne sente la mancanza. E questa è l’Italia dove dovremmo fare studiare i nostri figli? L’Italia dove si è solo pensato ad istituire corsi di laurea “futili” come cinque corsi differenziati nell’ambito della facoltà di Agraria a Padova o le “Scienze Equine” di Parma? Si è pensato all’interesse dei giovani di valore o a sistemare amici ed amichette di qualche neo-Barone nato con i moti del ’68? L’Italia ha pensato ad istituire le Caste, a distruggere il merito e di ciò tutti possiamo in particolare ringraziare l’ex Partito Comunista che, proprio a Genova, riuscì a “creare”, quasi in senso biblico, una cattedra per un suo adepto. No, se vostro figlio “vale” dissanguatevi vendendo pure qualche bene immobile, ma mandatelo in Francia o in Inghilterra. Lì si è ammessi o rifiutati dopo una valutazione dei titoli ed un colloquio, non perché un politico effettua la magica telefonata.

  10 dicembre 2010

SALVATORE GANCI

http://www.salvatoreganci.it

museodellascienza.s.ganci@gmail.com 

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