Sballo

Sballo

L’accesso all’alcool o alla droga, un tempo, era difficile, complicato.
Ora no: ci hanno insegnato con la pubblicità che le pastiglie fanno bene

SBALLO

Il nonno di Stefano, un caro amico, aveva quasi cent’anni quando raccontava di essersi ancora inchinato di fronte a un marchese. La sua famiglia era a mezzadria in una tenuta (Musso-Piantelli? Marini-Raggi? De Mari?) delle poche che s’erano salvate in Val Bormida, e che stavano per essere inglobate nelle grandi fabbriche.

I ricordi del nonno risalivano addirittura alla fine del XIX secolo. Alcuni, più nitidi, ai primi anni del XX. Il lavoro era duro, e la settimana era di sei giorni lavorativi. Il cibo poco, le prospettive di divertimento scarsissime, perché non c’erano occasioni e anche se ci fossero state non c’erano denari da spendere. L’ultimo giorno di lavoro, il sabato, il nonno ed un suo amico si procuravano una piccola damigiana di vinetta (si badi: non di vino, ma di vinetta, quel liquido acidulo ottenuto rifermentando le vinacce, pochissimo alcoolico, da consumare in poco tempo dopo la produzione) e una cartina di acciughe salate. Alla domenica, dopo la messa, dopo il sobrio pranzo domenicale, i due si ritiravano in una casupola per gli attrezzi (in dialetto “ciabotto”) e qui restavano, chiacchierando, sognando, dormicchiando, soprattutto bevendo tutta, dico tutta  di vinetta. Le acciughe avevano il solo scopo di richiamare la sete in modo d’esser sicuri di finire la bevanda.


Alla domenica sera erano ubriachi in modo soddisfacente. Non proprio come avrebbero voluto, ma in relazione alla spesa, si poteva star contenti. Domani ricominciava una settimana di lavoro, fatica, polenta, sogni e vita grama.

Io credo che se queste due persone avessero avuto a disposizione una pastiglia di extasy per un prezzo inferiore e con un effetto e durata equivalenti ne avrebbero approfittato.

Voglio dire che l’attitudine allo sballo, all’estraniazione, alla fuga (quantomeno della propria mente) c’è sempre stata nell’uomo (e non solo nell’uomo).

Sostanze, azioni o pensieri che portano a una sorta di incantamento, ce ne sono tantissime, e sono conosciute da moltissimo tempo. Ricordo, così a caso, che i lotofagi incontrati da Ulisse sulle coste africane, si “sballavano” con il vino di loto. Ma lo stesso Ulisse, forse senza sostanze, sapeva di certo estraniarsi e viaggiare dentro di sé, in perenne fuga. Certi santoni orientali sono diventati leggendari, proprio perché grazie alla loro capacità di distaccarsi dal corpo, sopporterebbero dolori, privazioni e fatiche. La stessa preghiera (sia essa pronunciata da cattolici, musulmani o altri fervidi credenti) contribuisce a distrarre, allontanare dalla realtà.

Si badi bene: in questa banalissima e sommaria disamina non ho fatto alcuna questione morale; non dico cioè che tutti gli sballi siano la stessa cosa, o che un ragazzino che prende una pasticca è uguale ad un asceta che prega. Dico solo che l’uomo ha un’attrazione particolare e antica, verso tutte le pratiche che lo allontanano dalla realtà.

E forse questa attrazione è ancora più forte quando ci si trova nel guado dell’adolescenza e della prima maturità, in un mondo estremamente complesso, furibondo, spesso ricco di solitudine mascherata da comunità virtuale.

In questa ultima estate ci sono stati casi e polemiche a riguardo di casi (presunti o veri) di danni causati dall’uso di pasticche in alcune discoteche. Che già la discoteca con le sue luci, il frastuono a tutto volume, il ballo da tarantolati, di per sé è un luogo di estraniazione. In genere si somministra alcool, spesso ci si arriva dopo giornate passate al mare, a giocare, a correre e nuotare. Disidratazione, ebbrezza, stordimento ambientale: su questa base mettiamo ancora qualche milligrammo di feniletilamina e qualche centinaio di milligrammi di sostanze misteriose, ed il cocktail è servito.


Certo, le cose sono cambiate nel giro di cent’anni. Siamo passati da una damigianetta di vino annacquato a una pastiglia. Ma il meccanismo, grossomodo, è lo stesso.

I ragazzi non mi pare abbiano grandi prospettive. Studiano perché non hanno di meglio da fare, ma coltivare i loro sogni è quasi difficile come ai tempi del marchese. Le nostre città sono sempre più fatte per le automobili, e le nostre campagne sono sempre più abbandonate. Sono (siamo) bombardati da consigli superflui e dannosi su come dobbiamo comportarci per essere “di successo”, in sintesi, dovremmo spendere un sacco di soldi. Per cui dovremmo lavorare moltissimo. In questo senso è una società giunta al cortocircuito.

Ma il vino annacquato di cent’anni fa, o addirittura la canna di qualche decennio fa, non sono nulla in confronto. C’è tutto un mercato dello sballo che è diventato semplice, accessibile, senza contenuti di nessun tipo, senza fatica.
Ripeto: non ne sto facendo un discorso morale o giuridico. Di questi aspetti credo se ne debba occupare qualcuno di più raffinato di chi scrive queste piccole note. Dico che l’accesso all’alcool o alla droga, un tempo, era difficile, complicato: sia produrla che consumarla, aveva bisogno di certe conoscenze, uno spazio ed un tempo adatto. Rollarsi una canna non è mai stato “per tutti”, ci voleva abilità e tecnica. Bere vino (per ubriacarsi, non per gusto) era comunque dispendioso, il vino stesso, ad un primo assaggio, non è facile da trangugiare. Bisogna avere qualcosa da mangiare, bisogna conoscerlo, anche apprezzarlo. Pure bere grappa o superalcoolici, non è semplice. Aggiungo una nota importante: l’alcool non fa bene. Il mito del buon bicchiere di vino a pasto è solo un mito. Il vino (gli alcoolici) si bevono perché ci piacciono, perché ci danno gioia, perché un bicchiere di vino ci rende un pochino più sciolti e tranquilli. Ma l’alcool, sia detto chiaro, è alieno al corpo umano.

Persino l’eroina era più difficile da usare: siringhe, cucchiaini, lacci… C’era qualcosa di terribile e spaventoso che ha contribuito a salvare qualcuno (sicuramente pochi) dalla tossicodipendenza.


 

Ora no: una pasticca, colorata, simpatica. Ci hanno insegnato con la pubblicità che le pastiglie fanno bene, per anni ci hanno detto: Hai male? Prendi questo! Ti passa!. Il messaggio ha funzionato: sei triste? Oppure non sei abbastanza in forma? Oppure non sei abbastanza disinibito? Ti fai dei problemi? (certo che te li fai… A quell’età chi non s’è fatto dei problemi?), prendi una pastiglia! Costa poco, non serve ricetta, nessuno lo saprà mai, è colorata e divertente, è smart, la prendono tutti!

E non è il peggior nemico dei ragazzi. Perché di peggio rispetto ad una pastiglia illegale velenosa, c’è il cospicuo mercato dei liquori amichevoli: bevande dolci, fruttate, leggermente alcooliche, colorate. Perfino chi è astemio può berlo. E dopo che l’ha bevuto si sente subito più sveglio, più bravo, più bello. E se ne beve due sta ancora meglio. Non ne parliamo se ne beve tre. E poi si passa ai liquorini, sempre di frutta, sempre gelati, in modo che caldo e fatica ne reclamino come fosse acqua fresca.

E di queste zozzerie legalizzate, che si trovano nei supermercati, nei bar, nei locali da ballo, non si può far nulla. Ed è perfettamente inutile, ridicolo, dire: “Bevi responsabilmente”. Anzi: è odioso. Tutto sommato è come dire: se poi ti ubriachi la responsabilità è solo tua e dei tuoi genitori che non ti hanno saputo crescere (genitori che erano entrambi impegnati al lavoro, per comprare tutto quel che era consigliato dalla tivvù).


Vale poco anche il divieto di vendita ai minorenni, se poi al banco ci va un maggiorenne e ne compra per tutti. Se poi preleva la bottiglietta di alcoolico al distributore automatico un minorenne dotato di tesserino prestato da compagno maggiorenne.

Eppure questi sono problemi gravi, di cui si parla troppo poco, oppure se ne parla con il falso moralismo dei politici abituati ad una perenne campagna elettorale.

Non ci sono soluzioni facili. Ma ammettiamo prima di tutto che lo sballo, l’estraniazione, sono affini all’uomo, all’adolescente soprattutto. Quindi cominciamo a spiegare cosa sono le droghe, in teoria e in pratica. Nelle pastiglie che ti prendi in discoteca c’è tanta merda, e qualche milligrammo di droga venuta male. E non sappiamo se fa più male la merda o la droga.

Poi spieghiamo anche perché una bevanda alcoolica fruttata e leggera, fresca e colorata, è pericolosa più della grappa. I superalcoolici si difendono da soli, bruciano la bocca dell’astemio. Il vino stesso non è di facile bevuta. Bisogna avvicinarsi con rispetto, con fatica. Anche con un certo esborso economico, perché è giusto che grappa, liquori e vino, abbiano un prezzo congruo al lavoro, alla storia, alla qualità, e soprattutto al fatto che non se ne deve e non si possa consumare quantità smodate. 

Alessando Marenco

 

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