Savona: una città senz’anima culturale

 Savona,
una città senz’anima culturale.

Savona,
una città senz’anima culturale.

 Per i savonesi questo problema inizia il 30 ottobre del 2019.

La professoressa Paola Dubini dell’Università Bocconi di Milano viene ospitata nella Sala Rossa del palazzo comunale per presentare il suo libro “Con la cultura non si mangia” (Falso!), invitata dall’associazione “Amici del San Giacomo” ODV. Nel saggio – edito nel 2018 da Laterza per la collana Idòla – la docente di Management si pone l’obiettivo di smontare alcuni luoghi comuni sulla cultura con cifre, argomenti e fatti alla mano. Una volta conclusa la presentazione, molti miei concittadini hanno avuto modo di esporre le loro perplessità riguardanti le iniziative culturali sul territorio alla professoressa milanese. L’incontro prese un ritmo incalzante e sfociò – inavvertitamente – in un dibattito pubblico. Per la prima volta, a mia memoria, si era instaurato a Savona un dialogo tra i cittadini, l’amministrazione e un esperto. Vennero firmate le copie e una volta scattate le foto di rito la sala conferenze si svuotò e la discussione si concluse lì. Vi ho reso partecipi di questo ricordo perché in quell’occasione uno degli argomenti che emerse con vivacità fu quello dell’assenza di un’anima culturale, un denominatore comune che abbia come obiettivo quello di rendere l’arte più vicina alla vita quotidiana dei savonesi.

 

Perché è importante che Savona abbia un’anima culturale? Unire tutti i savonesi sotto un’unica egida incentiverebbe l’organizzazione di eventi culturali, ma soprattutto stimolerebbe i giovani ad avvicinarsi alla conoscenza delle belle arti. Parlare d’arte non deve essere solo una vocazione di pochi, ma un dovere civico e morale di ogni cittadino: per far sì che la bellezza venga apprezzata da tutti bisogna colmare il divario tra classi sociali, svecchiando il linguaggio comunicativo della divulgazione storico-artistica e rendendo partecipi gli abitanti senza incorrere nel rischio di spettacolarizzare l’arte, diffondendo aneddoti romanzati o poco veritieri, come se le opere d’arte non ci dicessero più nulla se non vengono forzate nel loro significato. Per ravvivare l’anima culturale bisognerebbe innanzitutto parlare meno di gestione dei beni culturali e più di opere d’arte: trattare la cultura come un prodotto sul mercato è assai nocivo poiché si rischia di svilire il suo valore intellettuale. Inoltre, bisognerebbe tener conto delle minoranze etniche presenti in città per costruire un’anima interculturale aperta ai nuovi savonesi: un loro contributo sarebbe essenziale per sviluppare delle tematiche comuni che ci permetterebbero di conoscere dei concetti diversi di cultura.

D’altro canto, l’afasia culturale delle forze politiche e gli individualismi hanno portato alla rinuncia delle battaglie e questa è una grave sconfitta per tutti. Noi savonesi sentiamo l’esigenza di conoscere – attraverso un linguaggio leggero e popolare – la nostra città, bella e dannata, così com’è, senza forzature turistiche e city-branding d’effetto. A cosa serve usare degli slogan d’impatto, appetibili al turismo di massa, quando la maggior parte degli abitanti non conosce le principali opere d’arte conservate in città? Se non vogliamo che Savona muoia e che la cultura si diffonda solamente all’interno di una ristretta cerchia di persone bisogna educare il popolo al bello, stimolandone il pensiero critico, costruendo idealmente un’anima culturale condivisa per far sì che il malessere umano venga allievato dalla bellezza.

 Gabriele Cordì. Foto di Ezio Filippi


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