Savona, le molte facce del degrado

Savona, le molte facce del degrado
C’è una qualche corrente negativa, molto negativa, che pervade questa città.

Savona, le molte facce del degrado
C’è una qualche corrente negativa, molto negativa, che pervade questa città.
 

“Savona è impazzita?” si è chiesta sbigottita mia figlia su Facebook, alla seconda notizia di cronaca non proprio edificante che porta sotto i riflettori la nostra città nei giro di pochi giorni.

 Non so, non saprei risponderle. Ho il terrore di iniziare quei discorsi che sanno tanto di scaricabarile o di filosofie campate per aria.

Quelli che fanno tanto sbuffare i duri di destra, che subito parlano di “buonismi” e invocano pene esemplari.

 

A proposito… la canea che si sta montando intorno ai fatti di questi giorni, anche dello sciagurato zio omicida e stupratore, con i commenti sui siti e sui social network, gli striscioni, le invettive, ci restituisce l’immagine di un Paese rabbioso, infuriato, incattivito e vendicativo, da linciatori di professione.

Niente di nuovo sotto il sole. Le frustrazioni personali e collettive di un periodo non certo facile, economicamente e non solo, trovano capri espiatori nella cronaca nera o nel razzismo.

Per fortuna che tutto questo si sfoga virtualmente, almeno per ora. Ma certo non è immagine di civiltà, questo spirito non ci rende molto migliori di coloro che condanniamo.

 

Tornando a Savona. Appaiono demagogici e strumentali i collegamenti diretti fra i fatti e la nostra situazione. La diatriba fra chi vorrebbe addossare tutta la colpa ai singoli e chi alla società la trovo eccessivamente semplificatrice.

Per una volta, bisognerebbe lasciar fare il loro lavoro ai competenti, inquirenti, psicologi e forze di polizia, invece di improvvisarsi tutti giudici e giurati. E boia, se occorre.

La legge, i tribunali, le pene, esistono già. La vendetta popolare non vi è più compresa. Per fortuna.

 

Però non posso fare a meno di rincorrere dubbi. Saranno casi isolati, saranno coincidenze (tra l’altro, due drammi molto diversi fra loro, è arbitrario anche solo accostarli).

 

Eppure. Eppure ho nella mente l’immagine di una città sempre più spenta, sempre più amorfa, fatta di molti piccoli dolori, di solitudini, di difficoltà economiche vissute come vergogne, di lavori precari e senza prospettive.

Di noia e grigiore nel senso più vasto e avvolgente del termine. Di poche persone e famiglie, spesso anziani, possessori di piccole fortune che investono prevalentemente in speculazioni improduttive.

Di molti altri anziani che si trascinano alla meno peggio, in dignitosa umiltà.

Di giovani senza grosse ambizioni, con un benessere relativo e quotidiano indotto dalle famiglie, (famiglie che non sono più quelle numerose e solide di un tempo), coi soldi per i vestiti e le uscite con gli amici, ma che non si fanno troppe illusioni, non si concedono neppure il lusso della speranza.

Una città che sopravvive consumando piano piano i suoi risparmi, e quando saranno finiti, chissà.

Di persone che non sanno neppure bene cosa chiedere, e se chiedere qualcosa.

Dove sono smarriti i riferimenti collettivi di un tempo, la parrocchia, il partito, l’associazione, tranne poche e benemerite e coraggiose sacche di volontariato. Dove imperversa l’odierno individualismo, nel bene, per pochi, e nel male, per molti.

Di certo, le risposte che vengono date, alle domande mai espresse, sono quasi tutte declinate nel segno del cemento. Tante grigie pietre tombali posate pesantemente a coprire i colori, a scacciare le idee, la fantasia, le prospettive, i percorsi originali.

Dalla politica, dall’economia locale, dalla stessa Curia. In chi credere, a chi affidarsi per sperare un miglioramento? 

C’è qualcosa di osceno in quell’incubo appena inaugurato sfacciatamente in porto, quasi un suggello della nostra impotenza di cittadini.

Sembra un tempio di una oscura, astratta religione kafkiana che richieda sacrifici umani, che faccia impazzire gli adepti.

 

Non una pazzia scomposta, no, piuttosto quell’aria da matti tranquilli, quelli che stanno tutto il giorno a fissare un muro. Finché un giorno, quasi per caso, senza alcun motivo apparente, esplodono.

 

A volte, quando accadono fatti, si dà la colpa al “degrado”.

Degrado familiare, sociale, economico… di solito indica chi vive in estrema povertà e ignoranza, i quartieri dove scorrazzano gang di teppisti, le periferie urbane, e simili.

Quasi che questo di per sé giustificasse, rendesse inevitabile il crimine e la devianza, senza bisogno di troppi approfondimenti.

 

Se non è così, se gli episodi avvengono al di fuori di questi ambiti, tutti a meravigliarsi, le interviste a sottolineare quanto l’autore del gesto fosse “brava persona” , “persona gentile e tranquilla”, “che mai avesse dato segno che…” eccetera eccetera.

 

Be’, esistono molte forme di degrado. Quello che viviamo qui da noi, nella nostra città, si potrebbe definire degrado familiare, sociale, morale, economico tranquillo. Impercettibile.

 

Privo di veri conflitti razziali e sociali. (Se non si continua irresponsabilmente a premere l’acceleratore su un problema sicurezza che al momento non c’è e non andrebbe creato.)

 

Quasi rassegnato e amorfo. Non ci si aspetta niente, e questa passività inganna, fa dire assurdità soddisfatte tipo che nella nostra città “fortunatamente i conflitti di qualche tempo fa sono pacificati, ora c’è armonia…”

 

Invece, come quei matti fissi e inebetiti, sembriamo tranquilli, ma non lo siamo, il dramma vive dentro di noi, quotidianamente, soffocato da quella buona educazione che ci hanno insegnato, dal decoro, dall’abitudine.

 

Ma c’è. E più è soffocato più è pericoloso. Per quanto siamo isolati, per quanto non possiamo o non sappiamo a chi chiedere aiuto. Per quanto sia sempre più debole la rete sociale che ci dovrebbe proteggere e assistere, anche da noi stessi.

 

Ecco. Forse non c’è alcuna relazione, forse sto inseguendo idee peregrine.

 

Forse, sono solo accaduti due singoli drammi umani ben distinti, con il loro carico di dolori e colpe.

Una sfortunata coincidenza, nessuna valenza statistica.

Forse sto drammatizzando.

Eppure, c’è una qualche corrente negativa, molto negativa, che pervade questa città.

 

Milena Debenedetti   10/10/2010

Il mio ultimo romanzo  I Maghi degli Elementi 

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