Savona amarcord

Savona amarcord
Lo so, a inizio anno occorrerebbe essere speranzosi, ottimisti e pieni di buoni propositi. Ma l’età avanzata e acida, le sensazioni, le notizie e l’ambiente intorno non incoraggiano.

Savona amarcord

 Lo so, a inizio anno occorrerebbe essere speranzosi, ottimisti e pieni di buoni propositi. Ma l’età avanzata e acida, le sensazioni, le notizie e l’ambiente intorno non incoraggiano.

Ho un umore allegro e tollerante che in confronto a me Leopardi sembra Heidi, Savonarola pare vispo e godereccio come Hugh Hefner.

Dunque eccomi in questa benevola disposizione di spirito a guardare la mia città, in cui vivo dalla nascita. Mai così spenta e trascurata, mai così umiliata. Quasi neppure dai genovesi distruttori. Quod non fecerunt genuenses, fecerunt ponentines. 

Il centro destra che partito dal ponente, grazie anche all’immensa arguzia del PD in generale, di quello renziano in particolare, si è riguadagnato tutta la regione, mostra il meglio di sé.

Intendiamoci, e lo potrei ripetere per ore, non è che ciò che sta avvenendo a Savona attualmente sia molto diverso dai programmi già in atto con la precedente maggioranza, o peggiore: solo, ha subito una accelerata sul tema spoglio del sociale e privatizzazioni. Ma per il cemento, l’uso sbagliato dei fondi e quant’altro, siamo sempre lì. Anche perché tutti i dirigenti chiave sono rimasti negli stessi posti.


Nuova e vecchia Giunta

Per non ripercorrere la litania delle lamentazioni, sempre le stesse, per non prendermela con i miei concittadini, i cui commenti sui social mi fanno spesso supporre un virus della cieca ottusità che abbia causato un’epidemia, farò un breve excursus sulla mia città e i ricordi, diretti e indiretti. Da savonese doc che ha passato i sessanta, me lo concederete.

Non partirò dalle comunità preistoriche, siatene sollevati.  Mi limiterò a dire che, a ripensarci, a rivalutare in pieno ciò che doveva essere la cittadella medievale sul Priamar, con le viuzze e le botteghe e lo spettacolo della cattedrale sul mare, il rimpianto che sia andato tutto distrutto è desolante.  Nonostante i due papi, e che papi, siamo riusciti a fare in modo che il Rinascimento ci sfiorasse appena. Peraltro, saremmo riusciti a valorizzare un patrimonio così peculiare?  Dubito. Abbiamo ancora un palazzo con facciata del Sangallo umiliato da asfalto, blocchi di cemento, doppio filare di palme a ricoprirlo come si ricoprono le brutture, oggetto di tante ipotesi e poca sostanza, in primis della nostra arcigna matrigna, l’Autorità Portuale, oggi di Sistema, ossia che ci sistema per le feste.

Non siamo riusciti a difenderci in alcun modo, neanche con diplomazia e furbizia, a suo tempo, dal vicino prepotente genovese, gli abbiamo permesso di raderci al suolo e fare strame della nostra storia.


La fortezza

 Il che continua tuttora. Sospetto che il virus dell’ottusità, forse nelle sorgenti del Letimbro, ci fosse già da quei tempi. Che noi savonesi siamo sempre stati, come dire, un po’ tardi, con guizzi improvvisi e inaspettati a risollevarci di tanto in tanto. In fondo questo ha anche aspetti positivi: non siamo isterici sui bus o ai semafori, non abbiamo l’ansia meneghina da performance. Siam provinciali tranquilli.

Un piccolo dolce moto di malinconia sono le foto e cartoline sbiadite di fine ‘800 e inizio ‘900, con le loro figurine gentili, uomini con paglietta e donne dalle gonne ampie. Si vedono ancora il verde e gli orti, quelli definiti “modesti”, da cronisti dell’epoca, tutti fieri di vederli sostituire da palazzoni simbolo di progresso. Tutto relativo. Pensate, guardando i minuscoli orti e giardini superstiti, quanto sarebbe stata bella una città che mantenesse spazi coltivati e ortaggi autoprodotti in un clima invidiabile.

Pensate a quanto dovevano essere spettacolari i parchi urbani, pubblici e privati, come il parco De Mari, all’altezza di quella che è oggi piazza Marconi. (A proposito, e la fontana quando la riparano?)

Questo è comunque un classico esempio di senno del poi.  Allora sembrava giusto così, e forse lo era.


Il parco De Mari

Consoliamoci con quello che è uno dei momenti “guizzanti”, della città, la nascita di via Paleocapa coi suoi bellissimi portici e palazzi, la razionalizzazione del centro ottocentesco, l’esplosione del liberty, con i suoi mille decori e particolari che puoi ammirare solo alzando un po’ il naso all’insu.

Molti hanno la sensazione, e non è solo una sensazione, che il momento irripetibile della Bella Epoque, se non fosse culminato nella Prima Guerra mondiale, avrebbe potuto produrre un balzo in avanti del bello, dell’arte e del progresso, e della civiltà in genere.

Invece abbiamo avuto due conflitti spaventosi, il secondo figlio diretto del primo, e la nascita dei totalitarismi, e poi del consumismo e del liberismo distruttivo e sfrenato.

Eccoci alle foto di Savona fumosa e fumante: officine e opifici laboriosi, un porto vivace, il carbone.


Tanto lavoro, ma anche tanto inquinamento e stravolgimento urbano. Lo so, anche questo è senno del poi.

Quando nacqui io, quando ero piccola, ricordo che, pur negli anni del boom economico, si iniziavano a vedere segnali di crisi, fabbriche che si trasferivano o chiudevano. Ricordo le vicende bisbigliate con tristezza, di mie compagne di scuola i cui padri avevano perso il lavoro.

Giardini pubblici sorsero al posto di aree produttive. Come qualche anno più tardi, in un momento pure di “guizzo”, i giardini delle Trincee al posto della vecchia ferrovia.

Ora non sarebbe più possibile. Ora i privati si impadronirebbero di tutte le aree a prezzo risibile, e al pubblico non resterebbe che mendicare misere compensazioni e qualche stentato arbusto sopra i box, in cambio di arroganti palazzoni e nuovi inutili anzi dannosi centri commerciali. Il bello e il verde e gli spazi a uso pubblico sono “passati in cavalleria” da tempo, a vantaggio del massimo profitto, del volgare consumismo di bassa lega, e basta.

Eccoci a uno dei tanti spunti tristi. Ma torniamo all’excursus.

Posso ricordare i negozietti coi banconi in legno e i piani in marmo e i barattoli di vetro. Le strade non ancora invase dalle auto con i bambini che giocavano, e sentivi i loro strilli fino al tramonto. Le barche da pesca, con le reti trainate a riva. Lo scaletto. La pescheria con la mitica Milia e i gatti fuori in attesa.


Poveri gatti. Allora li sentivi miagolare di notte, vivevano liberamente. Ora hanno i ghetti delle colonie feline, difesi da pochi volontari e osteggiati dai troppi antianimalisti e antinatura che infestano le città, esseri insensibili vecchi e aridi dentro, ormai sterili al senso del bello e dell’armonia a favore di un decoro di nome, che di fatto è quello lucido dell’obitorio.

Mica tutto positivo, eh… non voglio fare quella nostalgica dei bei tempi andati. Per esempio si fumava dappertutto, nei bar, nei cinema, per strada, nelle case. Il mare d’estate era più inquinato da materie fognarie. 

La “rumenta” allora la gettavi dentro delle canalette verticali con sportellini, nei condomini. Si raccoglieva a pianterreno.  L’odore di fondi di caffè e frutta marcia era un po’ una caratteristica, via. Igiene poca, anche qualche scarafaggio compiaciuto e felice nel condotto…

In compenso, niente bidoni per le strade, e una roba quasi del tutto compostabile. Per gli incarti si usava quella carta marroncina, il “papeè fattu”, in fogli o sacchetti, utile anche da riciclare per raccogliere l’unto dei fritti.  Altro che scottex.

Ecco, bisognerebbe riprendere il buono dal passato, tenere il buono del presente e lasciar perdere il negativo di allora e di adesso. Non tutto da rimpiangere ma non tutto da buttare, ecco la chiave di lettura. Convincersi che non tutto sia inevitabile e irreversibile, ma nostra scelta.

Per strada c’erano sempre omini con carretto e ramazza, a spazzare brontolando i coni di carta delle cerbottane. 

Dei sessanta, di me bambina, ricordo un senso di speranza, di allegria, di aspettativa, di festa e di novità, un po’ dappertutto. Mode ancora attuali e musica rivoluzionaria. Un tempo “fantascientifico”, culminato con lo sbarco sulla Luna, la più grande emozione nella vita di una dodicenne sognatrice.

Allora sembrava che ci fosse spalancata la porta sulle stelle.

Allora faceva piacere veder sorgere nuovi palazzi. Allora, nelle manifestazioni di orgoglio antifascista, ci si credeva davvero, e si pensava ancora che i politici locali ne fossero i rappresentanti. Forse allora lo erano. Forse non poi tanto. Chi può dirlo? Ero bambina.

Molti denigrano gli anni ’70. Io li ho amati in tutto e per tutto.  Videro nascere iniziative e nuove idee, come il Filmstudio.  O il recupero del Priamar.  Ecco un altro guizzo. I miei coetanei ricordano l’emozione e la bellezza di quelle mostre di artigianato, artigianato vero, degli spettacoli di cinema.  Che piacere ritrovare le uscite serali, le uscite estive, famiglie intere in cerca di un po’ di allegria a buon mercato, musica dagli stabilimenti balneari, palpiti di adolescenti vestiti a festa e bambini felici. Non si vedeva l’ora, di un pretesto semplice per affollare le strade.

Ricordo momenti semplici, ma intensi.


 Persino il tragico episodio delle bombe savonesi fu trasformato dalla città in un momento di grande coesione e orgoglio, con le ronde notturne dei padri di famiglia a proteggere i quartieri, con i ragazzi, noi ragazzi, a presidiare le scuole. Sembravano esserci idee, passione, impegno.

Dove è finito tutto quanto?

Poi ho odiato gli ’80. Ho odiato il riflusso, il reaganismo, il tatcherismo, e più tardi, e ferocemente, il berlusconismo. Le mode stupide, le persone che anche se spiantate dovevano atteggiarsi comunque da falsi ricchi, vuote dentro e ostentate fuori. Cosa che continua tuttora: molti si comportano come fossero perennemente inquadrati da un reality.

Non ho mai più trovato un tempo che sentissi mio, da allora.

Ho odiato quel bar per paninari con una gioventù ottusa avvolta nei piumini rigonfi. Per fortuna è durato poco. Allora c’erano ancora più anticorpi, in città, e certe mode non attecchivano. Ora siamo rassegnati a fast food e cineserie con merci tossiche di qualità pessima. Più si indebolisce lo spirito di una popolazione, più la colonizzazione becera e senz’anima la travolge.


 Ciò che partiva dal caso Teardo era in auge allora, e non è mai morto del tutto, fa sentire i suoi tentacoli ben ramificati ancora adesso, dopo essere rimasto, per un breve periodo, sotto coperta, per superare la bufera Tangentopoli, e dopo essersi unito con altri temibili tentacoli. Lo sappiamo, lo vediamo, lo percepiamo.

Lo so, sono appena agli ’80, e ci sarebbero altri quasi tre decenni di cui parlare.  Tre grigi decenni sempre più deprimenti. In fondo parlare di Savona è parlare dell’Italia, del mondo, dei mutamenti sociali ed economici in assoluto, dei giovani che se ne vanno da una città e da un Paese sempre più spenti. Ma mi sono dilungata anche troppo, e per ora mi fermo qui.

Buon anno a tutti, e che porti prima di tutto orgoglio, voglia di cambiamento, resipiscenza, impegno. Poi, rimboccandosi le maniche, tutto si può fare. 

 Milena Debenedetti  Consigliera del Movimento 5 stelle

 

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