Riforma del Lavoro – ultima parte

 Riforma del Lavoro,
corsi e ricorsi storici
Terza ed ultima parte

Riforma del Lavoro, corsi e ricorsi storici
Terza ed ultima parte

 Il mercato del lavoro con il passare degli anni è diventato sempre più critico, in termini di tassi di occupazione e “entrata-uscita” dallo stesso mercato. 

Arriviamo quindi ai giorni nostri, alla crisi del debito sovrano, allo spread che decolla, ai festini di Berlusconi e in Italia si insedia il governo tecnico di Mario Monti.

 Partono a “spron battuto“ con le pensioni per mandarci a casa non prima dei 66 anni, poi non poteva mancare una riforma del lavoro.

Lo chiede l’Europa, almeno così dicono.

 

L’idea di fondo della riforma Fornero è assolutamente condivisibile, sostanzialmente si pone come scopo quella di ridurre la flessibilità “malata”, cioè gli abusi e le storpiature dei contratti atipici, per prediligere i contratti di lavoro più sani: indeterminato / determinato e apprendistato.

Coerente se si vuole dare prospettive e “progetti di vita” a chi deve entrare o rientrare nel mondo del lavoro, altresì intelligente se si pensa che chi può contare su maggiori certezze nel posto di lavoro è più propenso a fare consumi, acquisti, mutui, debiti che sono gli ingredienti della nostra economia. Non staremo qui a dissertare se questo è giusto o no, è comunque il sistema attuale.

 

I principali interventi in questo senso si colgono nei seguenti ambiti:

–   Incentivazione al contratto subordinato canonico a tempo indeterminato;

–   canale di ingresso privilegiato l’apprendistato;

–   contratto a tempo determinato con incentivi al passaggio a indeterminato e maggiori tempi di stand by tra un rinnovo e l’altro per spingere al passaggio definitivo;

–  contributi e aliquote per i contratti atipici più gravosi per le aziende

 

La riforma si è poi focalizzata nell’area degli ammortizzatori sociali, CIGO, CIGS, Mobilità e sussidio di disoccupazione.

Gli interventi sono stati:

–  l’ASPI, una sorta di indennità di disoccupazione che andrà progressivamente a sostituire sia l’indennità come ora prevista che la mobilità, con gradualità progressiva;

–  il mantenimento della Cassa Integrazione Ordinaria e della Straordinaria tranne i casi di procedure concorsuali senza alcuna possibilità di ripresa dell’attività lavorativa;

–  la progressiva abolizione della Cassa Integrazione in Deroga che verrà sostituita da Fondi bilaterali creati ad hoc;

–  viene mantenuta l’indennità una tantum per i co.co.pro, comunque categoria lavorativa ampiamente diffusa;

Il Ministro del Lavoro Fornero

 Sui licenziamenti collettivi non vi sono stati interventi di sorta, per la precisione si ricorda che secondo la legge già citata legge 223 del 1991 si definiscono collettivi quando:

–   nell’arco di un periodo di almeno 120 giorni ad almeno 5 dipendenti a tempo indeterminato nella stessa provincia, anche se in più unità produttive;

–   per riduzione, trasformazione o cessazione di attività o di lavoro.

 Vengono poi regolamentati temi quali incentivi alle assunzioni per determinate categorie di lavoratori, visto che viene abrogato il contratto di inserimento, fondi di solidarietà per i lavoratori anziani quale supporto in caso di esodi anticipati, sostegno alla genitorialità, strumenti per combattere il fenomeno ampiamente diffuso delle dimissioni in bianco ed altri interventi relativi al supporto fornito dai centri dell’impiego e la formazione permanente.

 

Ma quando la riforma Fornero parla di flessibilità, si riferisce anche a quella in uscita, quindi immancabilmente si parla e questa volta si modifica l’articolo 18, come originariamente pensato.

In realtà l’esordio del governo è stato piuttosto deciso, la volontà era quella di abolire quel passaggio perché ritenuto per le grandi aziende e per gli investitori stranieri un ostacolo alla nostra competitività. Deve essere riconosciuto in questo caso il ruolo giocato dai sindacati che hanno permesso di ottenere un intervento decisamente meno invasivo, al contrario di Confindustria che era già prossima ai festeggiamenti in grande stile.

Cosa cambia nell’articolo 18?

Sostanzialmente meno di quanto si possa pensare anche se al giudice viene ora affidato un compito ancor più ampio e i tempi della giustizia italiana, come noto, non sono dei più celeri anche se nella riforma sono fissati precise date limite per le controversie di lavoro.

Mentre da un lato permangono il reintegro e l’indennizzo a prescindere nei casi di evidente licenziamento discriminatorio e/o comunque in casi dove i CCNL di riferimento prevedono sanzioni ridotte, dall’altro è possibile avere solo un indennizzo qualora il giudice ne ravveda i presupposti, senza quindi reintegro. Quindi siamo nell’ambito della tutela in caso di licenziamenti intimati per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, ritenuti ovviamente non validi, con cui ora il legislatore ha voluto dare maggior rilievo al ruolo del giudice dando un colpo al cerchio ed uno alla botte, come si dice in gergo.

L’altro grande filone è quello dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, in particolar modo per ragioni economiche.

Anche in questo caso il giudice può, a seconda del contesto, optare per reintegro e indennizzo o solo indennizzo. E’ però introdotta una interessante procedura obbligatoria di conciliazione preventiva antecedente al primo grado di giudizio che in Germania pare funzioni bene.

Considerate le premesse, preso atto che il Governo in teoria poteva cancellare l’articolo 18 “tout court”, il risultato finale è meno peggio delle più fosche previsioni iniziali.

 

Ma perché questo ha capitalizzato l’attenzione di tutti? Perché era evidente che da un lato il mondo delle imprese voleva avere mano libera sui licenziamenti per cause economiche, visto il momento congiunturale negativo, senza rischiare di subire cause su cause con la possibilità di essere costretti a riassumere.

 

Non vi sono dubbi, e la tendenza in Europa sembra essere questa.

Dall’altro lato non si spiega quale ragione di macro economia vi sia in un intervento di questo genere. Veramente l’Europa chiedeva questo? E’ realmente questa la motivazione per cui gli investitori non scommettono sull’Italia? Ovviamente no.

 

Per concludere questa lunga seppur non esaustiva cronistoria di alcuni recenti interventi in materia di mercato del lavoro, relativamente agli ultimi decenni, si dovrebbero formulare dei giudizi sui vari interventi legislativi nel mercato del lavoro, dove la merce siamo noi lavoratori.

 

Sullo Statuto dei Lavoratori non vi sono dubbi che sia stato un passaggio pienamente positivo, anzi, se un difetto si deve evidenziare è proprio che non tutti ne beneficiano.

A seguire gli altri interventi con cui si è cercato di individuare le forme più efficenti per regolamentare e dare slancio al mercato del lavoro.

Infine arriva la riforma Fornero cui recentemente anche in un articolo del Corriere si facevano le prime considerazioni.

Combattere la flessibilità in entrata è stata una buona idea in linea di principio, ma di fatto si traduce in un disincentivo all’uso dei contratti atipici e quindi, in alcune realtà, un reale rischio di riduzione di organico, preferita all’esposizione ad un contratto di apprendistato o a tempo indeterminato. Inoltre i lunghi periodo di “stand by” tra un rinnovo e l’altro nel contratto a tempo determinato, possono provocare l’effetto contrario desiderato: piuttosto si cerca un altro lavoratore. Altro elemento da considerare è la riforma delle pensioni.

Proprio l’allungamento considerevole dell’età lavorativa di fatto preclude l’ingresso nel mondo del lavoro dei giovani, soprattutto se il canale di ingresso è un contratto di lavoro piuttosto rigido per le aziende.

 

I contratti atipici, se regolamentati meglio e dotati di alcuni strumenti di “welfare” più assimilabili ai contratti canonici, potevano essere studiati e riproposti in nuove vesti ma funzionali al contesto attuale, ora non ci resta che vedere se vi saranno reali benefici con questa riforma.

 

L’articolo 18 invece poteva tranquillamente vivere sonni tranquilli e rimanere intonso, anche se in Europa ormai è diffuso un sistema tendenzialmente misto dove vi sono casi di reintegro e casi di solo indennizzo, con alcune eccezioni in ambedue i sensi.

 

Possiamo comunque concludere e sperare soprattutto che vi siano maggiori capacità di investimento  per creare opportunità di lavoro concrete, in una economia reale, perché se c’è lavoro c’è un mercato da regolamentare, ma se non c’è lavoro purtroppo abbiamo ben poco da regolamentare.

 

Andrea Melis

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