Riflessioni sull’anno che si chiude e su quello che si apre

La sinistra perde i cervelli, e quali cervelli!

Marx,Ortega y Gasset, Katona, Marcuse, Sartre e Baumann

Da  Marx  a Ortega y Gasset, da Katona a Marcuse, da Sartre  a Baumann nuove categorie e nuove prospettive hanno contribuito con maggiore o minore efficacia  a illuminare aspetti del mondo contemporaneo  lasciati nell’ombra dai tradizionali schemi interpretativi. La lotta di classe, o, più correttamente, il conflitto nella dinamica sociale, la massificazione dell’individuo, la liquefazione delle strutture sociali,  l’alienazione condita in tutte le salse, l’assoggettamento alla tecnologia e ai consumi hanno fatto scorrere fiumi d’inchiostro, hanno influenzato il modo di pensare, sono stati insieme strumenti di rottura e di nuovo allineamento, provocazioni e  banalizzazioni, hanno aiutato a capire e  sono stati un ostacolo alla comprensione; ma non si può negare che l’introduzione di quei concetti fosse il frutto di una  reale e qualche volta sofferta volontà di Enthüllung, disvelamento, comprensione.  Oggi, con la filosofia ridotta a mestiere e patrimonio esclusivo dei professori (un vero ossimoro non ora ma in tutte le epoche: il sofista è concettualmente agli antipodi del filosofo), si cercano spasmodicamente chiavi di lettura di testi inesistenti e si fruga  in una “cassetta degli attrezzi” in cui rimangono solo limette per le unghie. Come accade con quei filosofastri appesi al pendolo di Foucault che sotto l’occhio compiaciuto della sinistra si sono annodati in intricate elucubrazioni sul controllo – biopolitico, non sfinterico, s’intende -,  sul potere, sulla fisicità,  saltabeccando dal pensiero debole a quello negativo, sempre alle prese coi fantasmi di Nietzsche e di Hegel con puntatine sull’ombra Heidegger ma spingendosi anche a scomodare quella di Paolo di Tarso senza riuscire ad accendere neanche un moccoletto per scovare qualche angolino rimasto al buio. Paccottiglia di cui il tempo farà giustizia: sono questi gli “intellettuali”.

Cacciari, Agamben, Vattimo

Detto questo tanto per chiarire quel che penso dei vari Agamben, Vattimo o Cacciari,  sconcerta la rapidità con la quale non appena si sono azzardati a uscire dal seminato del pensiero unico sulla pandemia e la dittatura sanitaria sono stati scaricati da quegli stessi compagni che li avevano coccolati, promossi, imposti (senza per altro impegnarsi più che tanto per capire quello che andavano elucubrando).  Ci ha pensato Galimberti a ricordarci che  l’intelletto non sta di casa fra gli intellettuali, che Cacciari è la parodia dell’intelligenza, che il broncio pensoso dei maîtres à penser  serve solo a coprirne banalità e presunzione. Peccato che lo scopra proprio quando hanno avuto un sussulto di dignità, che Galimberti scambia per narcisismo, di fronte allo spettacolo osceno delle nouvelles vagues e dei vecchi arnesi riciclati  reclutati dal regime finanziario-politico-sanitario incarnato da Mario Draghi.

Gronchi, Leone, Cossiga, Ciampi,

Ora i compagni si affidano a Pasquino, non la  romana statua parlante ma lo scienziato della politica (!), dove per politica si intende il sistema italiano dei partiti, forte di chissà quale statuto epistemico, e hanno consegnato a Labate il testimone del grande giornalismo politico italiano.  È vero che è tutto in proporzione e mentre va in scena la commedia del Quirinale  a fronte dei guitti che si agitano per arrampicarsi sul Colle  giganteggiano nella memoria collettiva personaggi come Gronchi, Leone, Cossiga, Ciampi, uomini tutti che, con i loro limiti e le loro umane debolezze, interpretarono il loro ruolo con grande dignità.

L’epidemia dilaga e il re è nudo

E mentre scienziati e politici marciano allegramente verso il baratro del ridicolo accusando i non vaccinati di essere responsabili dell’aumento esponenziale degli infettati quando questo va di pari passo con l’aumento esponenziale dei vaccinati e persistono nel condurre una crociata  ideologica per coprire la loro arrogante inadeguatezza invece di ammettere onestamente che contro la pandemia abbiamo solo armi spuntate, diktat contraddittori e inapplicabili hanno sortito il solo effetto di disorientare l’opinione pubblica e di screditare le istituzioni.  Il re è nudo  e se c’è un’evidenza in  tutto il polverone che è stato alzato è la drammatica inefficienza della pubblica amministrazione, la distanza abissale fra le vanterie e la realtà (la nostra sanità è la migliore del mondo, siamo un modello per l’Europa,  abbiamo sgominato il virus, il nostro tasso di crescita è il più alto della galassia, ecc.), il marasma organizzativo, l’incapacità di prevedere gli effetti dei provvedimenti che vengono presi, la pochezza degli apparati ministeriali e con tutti i cortigiani sdraiati davanti al Mario Sotèr  la  totale assenza di una vera leadership. Basterebbe per dimostrarlo la ripresa frenetica degli sbarchi senza che si levi una voce da palazzo Chigi o dal Viminale, come se la cosa riguardasse l’isola di Pasqua. Non c’è Stato, non c’è governo, non c’è un capo del governo: questa è la sconsolante conclusione.

Una banda di incapaci affogati nei tamponi, governanti che a fronte di migliaia di euro di maggiori spese per le famiglie sbandierano una pseudo riforma dell’Irpef che ai più fortunati porterà un paio di decine di euro (lorde) al mese, indifferenti di fronte alle aggressioni sui treni, pronti ad affamare gli italiani pur di accogliere i clandestini. L’uomo dell’Europa pensa di assolvere meglio la sua missione dal Quirinale  e nel frattempo ha lasciato andare il timone, Speranza, l’inamovibile Speranza sostenuto da non si sa chi, di certo non dagli elettori, tira dritto con una protervia inalterata di fronte agli errori più clamorosi, la Lamorgese che non risponde del suo operato  anche perché è difficile stabilire quale sia e che idea si sia fatta del suo ruolo,  Letta che ha teorizzato il diritto-dovere della sinistra a governare a prescindere dai risultati elettorali e si offre come scalino per il Colle per garantirsi  l’accesso a Palazzo Chigi e Conte, il capo del partito di maggioranza relativa, che aspetta fuori del Parlamento qualcuno disposto a scambiare due parole con lui.

Dalla farsa del Paese legale alle tragedie del Paese reale

Intanto il Paese è scosso dalla tragedia che si è consumata a distanza di poche ore con i due  vecchi abbandonati dalle istituzioni nell’inferno della demenza che hanno allungato la triste lista degli uxoricidi per disperazione.  Le stesse istituzioni che consentono a un individuo reo confesso di tentato omicidio e inutilmente denunciato per violenze domestiche di intrattenersi col figlio, povera inerme vittima predestinata, le stesse istituzioni che si adoperano per curare le presunte ferite inferte dai carnefici libici ai migranti sfuggiti alle loro grinfie per riparare in un porto sicuro ma cieche e sorde davanti al dramma dell’Alzheimer, che miete molte più vittime del Covid e rovina la vita di chi ne è colpito e dei suoi familiari. Ma questo è il nostro “Stato Sociale”: diritti per tutti, cittadinanza planetaria, inclusione, lessico depurato, amore universale e che i genitori  del “diverso” finita la scuola si arrangino e per chi ha sulle spalle un anziano malato e non ce la fa  il fetore pagato a caro prezzo delle case di riposo. L’alternativa, quella di Casalbordino, di Amelia, di Sesto San Giovanni – è di questi giorni la condanna a 19 anni che difficilmente il povero novantenne riuscirà a scontare -, di Cadoneghe, della romana via della Giustiniana con quel terribile  “non ce la faccio più” in fondo non dispiace ai compagni: può essere un ponte per la realizzazione del loro cavallo di battaglia: l’eutanasia, o se volete, il suicidio assistito, l’omicidio di Stato, l’eliminazione degli imperfetti.

Pierfranco Lisorini

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One thought on “Riflessioni sull’anno che si chiude e su quello che si apre”

  1. Ottimo articolo sulla situazione tragica del nostro paese e sull’incapacità dei nostri politici, con i giornalisti tappetini di Draghi. Dopo la vergognosa conferenza stampa in cui il premier ordina ai giornalisti di non fare certe domande il nostro paese sta andando verso una dittatura

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