Ricostruire il tessuto sociale

Ricostruire il tessuto sociale
Dobbiamo trovare un modo. E il modo, secondo me, è ripartire da quanto di buono esisteva in passato, ricostruirlo, integrarlo con i mezzi e le possibilità del presente.

Ricostruire il tessuto sociale
Dobbiamo trovare un modo. E il modo, secondo me, è ripartire da quanto di buono esisteva in passato, ricostruirlo, integrarlo con i mezzi e le possibilità del presente.
 

Il problema, del brutto periodo che stiamo attraversando, non sono solo i danni visibili, immediati, in molti campi, dai servizi, all’ambiente, al lavoro, alla legalità. Né gli strascichi negativi anche per il futuro, pur si realizzasse la beneaugurata ipotesi (diciamo pure il miracolo, va’!) di un cambiamento politico, con governanti, destra sinistra centro alto o basso che fossero, più giovani, più puliti, con idee moderne e adeguate ai tempi e ai paesi civili, che si ritroverebbero, loro sì, una pesantissima “eredità” con cui fare i conti. 

No: il vero e peggiore problema è ciò che non si vede, la lenta corrosione che ha minato le fondamenta stesse del Paese, le generazioni intere compromesse nel loro sviluppo civile e nella possibile realizzazione umana. Questa è la peggior colpa che si possa ascrivere a chi si è impadronito del potere nel dopo-tangentopoli, e lo ha usato per distruggere in modo capillare, quasi scientifico, tutto ciò che si poneva come baluardo morale, civile, sociale, tutto ciò che si opponeva al semplice concetto che ogni cosa si compra e si vende, senza fastidiosi intoppi. Questo è il danno profondo, che non si potrà risanare tanto facilmente, né tanto velocemente.

Il B. non è certo l’unico colpevole, ma è indubbiamente il principale responsabile e il simbolo stesso del “male” che ci ha contaminato. E il male sta nell’aver ridotto tutto a una palude, nell’aver fatto sì che niente o nessuno si salvasse, compresa una opposizione quasi inguardabile, con poche eccezioni.

Sarebbe, per intendersi, come se Sauron avesse trasformato Frodo in orchetto e Gandalf in opinionista della gazzetta di Mordor. Se i sette nani avessero ceduto Biancaneve alla Strega in cambio di una concessione ventennale sulle miniere. Se il Principe avesse usato Cenerentola come testimonial della sua fabbrica di scarpe, illudendola con il matrimonio, ma in società con matrigna e sorellastre e non lasciandole poi il becco di un quattrino.

E così via. Il lieto fine è un miraggio, se sono loro a scrivere la favola. Né possiamo illuderci che maghi o fatine buoni, prodi (ops) guerrieri o simili vengano a salvarci.

Più o meno ricordo quando è cominciato: quelle tv commerciali ci blandivano, erano vivaci, più di una Rai monotona e grigia e ingessata sulle repliche.

Ridevamo allegramente dei comici di Drive in. Quanto era innovativa, quella trasmissione… Le bellezze prosperose con il seno in primo piano parevano poco più di una goliardata.

Già. Ma era solo l’inizio di una involuzione. Ci stavano poco a o poco ipnotizzando, incantando come serpenti, incanalando entro binari di ragionamento prefissati.

Prove tecniche, prima di passare a cose più importanti.

Eppure dobbiamo cercare di uscire da tutto questo, prima o poi.

Dobbiamo trovare un modo.

E il modo, secondo me, è ripartire da quanto di buono esisteva in passato, ricostruirlo, integrarlo con i mezzi e le possibilità del presente.

Soprattutto, per quel che riguarda la vita della comunità.

Ecco, superare gli aspetti deleteri dell’individualismo e tornare a sentirsi comunità.

Ci hanno condizionati a percepire l’egoismo, la prepotenza, la realizzazione del sé a ogni costo, potere soldi aspetto fisico, come unico fine. Tutto ciò che è sociale come una sorta di anticamera del comunismo, dittatura del collettivo, da ripudiare con orrore.

Bisogna invece ritornare a pensare che, in un sano equilibrio e in una auspicabile qualità di vita, benessere individuale e collettivo sono correlati, devono interagire. E la crisi, se non ci facciamo usare mettendoci gli uni contro gli altri in una lotta sempre più aspra, può essere opportunità per ritrovare una dimensione di vita più umana. Anche attraverso la lotta per non perdere o per riprenderci i nostri diritti.

Un chiaro esempio a livello nazionale sono i comitati per l’acqua pubblica. Un tema molto sentito, semplice, un bisogno elementare violato, ed ecco formarsi un’aggregazione di sigle e persone, uniti con un unico scopo.

Raggiungendo, a dispetto della scarsa eco mediatica, traguardi insperati: si viaggia ormai sul milione di firme, per l’impegno e la buona volontà di tanti, per la capillarità di banchetti, per il tam tam dei singoli.

L’esempio non deve restare isolato né deve finire qui, ma trasformarsi in un punto di partenza, per riunire e costruire.

Prima ancora c’erano stati i V-day di Grillo, anche se in questo caso si partiva da una figura centrale catalizzante.

In ogni caso, anche se forse l’onda di quei momenti non è stata sfruttata a dovere, dei semi sono stati gettati, si è creato un esempio, e qualche piccola isola di nuova politica si sta formando, là dove il MoVimento a Cinque Stelle ha avuto degli eletti.

E poi c’è stato il Popolo Viola, per la prima volta una “creatura” virtuale ha saputo dar luogo a una manifestazione più che reale.

Segno distintivo di tutti questi esempi, il potere della rete, di Internet. Per questo sopra parlavo di mezzi e possibilità del presente, da usare per ricuperare i valori positivi delle comunità del passato, per aggregare, informare, diffondere, costruire.

Anche a livello locale, bisogna saper ripartire, dai problemi, dalle opportunità, dai quartieri e dai loro bisogni, come dalle problematiche che coinvolgono più di un Comune.

Una aggregazione di movimenti, associazioni, cittadini, non solo vadesi, ha manifestato davanti alla centrale Tirreno Power, in occasione dell’evento Porte Aperte. Non per accusare, attaccare, criminalizzare, ma semplicemente per rivendicare la consapevolezza dei problemi e degli aspetti negativi legati al carbone, documentati ormai da una quantità enorme di studi internazionali. Per informare e per rendere altri partecipi di questa consapevolezza.

Che non significa diffondere allarmismo o rifiutare occupazione, come qualcuno accusa, ma solo far sì che la cittadinanza sia chiamata a decidere del proprio futuro, con cognizione di causa.

Che significa essere coscienti che i problemi non finiscono coi confini cittadini, né che creare un comitato su uno specifico tema significhi esimersi dall’affrontare gli altri.

Tutto è connesso e collegato: collaborazione e sinergia aumentano le forze, divisioni e particolarismi danneggiano tutti.

Ecco, se ricominciassimo da qui, da una nuova collaborazione sui temi “caldi”: carbone, porti, cemento, inquinamento, acqua…forse qualcosa si potrebbe risvegliare, in una collettività intorpidita. Forse altri si potrebbero coinvolgere.

Ci aiuta la dimensione-rete, la tecnologia: in contemporanea, anche Tarquinia e Brindisi manifestavano consapevolmente. E tutto si sa in tempo reale, diffondendo in rete ciò che i media nascondono. (Altro che legge-bavaglio! Ci pensano da soli, ad autocensurarsi.)

Lo stadio successivo, importante e inevitabile, è saper lanciare con forza nuove proposte, guardandosi intorno e cogliendo le opportunità, avere il coraggio di progettare il proprio futuro di comunità, spiazzare chi tenta di venderci “mele avvelenate” (per tornare alle favole) come se fossero doni meravigliosi. Possiamo farlo, tutti insieme. O almeno provarci.

Milena Debenedetti  

Il mio ultimo romanzo  I Maghi degli Elementi

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