Renata Scotto

UN PROFILO DI RENATA SCOTTO,
IL GRANDE SOPRANO SAVONESE
SCRITTO PER LA RIVISTA “AMADEUS” DA VITTORIO EMILIANI

UN PROFILO DI RENATA SCOTTO, IL GRANDE SOPRANO SAVONESE

SCRITTO PER LA RIVISTA “AMADEUS” DA VITTORIO EMILIANI.

 Trucioli Savonesi è lieto di ospitare un articolo, scritto dal giornalista, Vittorio Emiliani, notissimo ed apprezzato scrittore che è stato direttore de “Il Messaggero”, riguardante il soprano Renata Scotto. Emiliani oltre che giornalista è un esperto di opera lirica ed è  presidente della Fondazione “Gioacchino Rossini” di Pesaro. Conosce ed è amico personale di Renata Scotto, una delle più belle voci della lirica italiana, della quale ci parlerà a febbraio anche Christine Delport, ricordando che la cantante è nata a Savona, nel mese di febbraio.

Sono rari i grandi cantanti che diventano poi non meno grandi didatti. Renata Scotto rientra, certamente, fra quei pochi, con una carriera di insegnante cominciata ancora nel pieno di quella di soprano, a metà anni ‘60. “Forse perché, agli inizi, una maestra di canto mi aveva detto: sei un bel mezzosoprano…”, mi fa ridendo. Renata, savonese, comincia cantando per gli amici del padre, il melomane della famiglia.

A poco più di 14 anni è già a Milano, compie i primi studi con maestri privati e fa una vita decisamente austera (“Stavo dalle Canossiane, figuriamoci”). Poi il debutto, a 18 anni, in “Traviata”, a Savona, la sua città. “Avevo voce e istinto, voglia di andare avanti”. Al concorso dell’Aslico canta ancora “E’ strano” e lì l’apprezza un finissimo critico musicale, Eugenio Gara: sarà di nuovo Violetta (un destino) al Teatro Nuovo di Milano. I giornali ne parlano subito, bene naturalmente. Mesi dopo, si presenta per il ruolo, ancora scoperto, di Walter nella “Wally” di Catalani, che aprirà la stagione scaligera con Renata Tebaldi e Mario Del Monaco. La esaminano due grandi, Victor De Sabata e Carlo Maria Giulini. “Mi presero subito”, racconta adesso senza mascherare una punta di orgoglio. E da lì vola verso una carriera veloce, intensa. “Troppo veloce, troppo intensa, tant’è vero che dopo un anno appena mi ritrovo con dei problemi vocali”. Sta cantando di nuovo Violetta alla Fenice con l’impeccabile Alfredo Kraus, un tenore che molto deve all’educazione vocale, e riceve brutte critiche. “Capisco che devo fermarmi”. Fa parte del suo carattere concreto che la induce a non temere le difficoltà.

Il tenore spagnolo la porta, a Milano, dalla propria maestra, la catalana Mercedes Llopart. “Per otto mesi devi soltanto studiare, senza aprire bocca”, è la sua dura, saggia sentenza. E la Renata ubbidisce. “Il coraggio non mi è mai mancato”.  Ridebutterà, di fatto, a Londra, al Covent Garden, in “Elisir d’amore” e subito dopo farà il doppio di Maria Callas a Edimburgo in “Lucia”. La sua tecnica si è affinata, in leggerezza e nei sopracuti. Non avrà più intoppi nella lunga carriera terminata soltanto nel 1998, con “Elettra” di Richard Strauss, dopo quarantasei anni di palcoscenico.

Ha capito che bisogna studiare, studiare, studiare sempre. Così, presto, accoppia al canto l’insegnamento. Comincia in Russia dove è andata con la compagnia della Scala a cantare la “Lucia” e dove vogliono capire a fondo “lo stile italiano”. Le chiedono di spiegarlo in una Master class con legati e vocalizzi. In quel periodo la consigliano per il meglio Antonio Tonini, maestro collaboratore della Scala (“un musicista di grande sensibilità”), e il marito, Lorenzo Anselmi, mantovano, per anni uno dei primi violini scaligeri.  Da quel momento Renata alterna recite e corsi di canto (poi anche regìe d’opera). Specie dal 1975, quando si stabilisce negli Stati Uniti, dove  James Levine la sperimenta nel repertorio drammatico verdiano, a cominciare dal “Trovatore” che inaugura la stagione del Met sotto la direzione dell’amato Gianandrea Gavazzeni. Lì canterà spesso coi due tenori del momento, Placido Domingo e Luciano Pavarotti.

Per sempre nuove Master class viene chiamata un po’ dovunque negli Usa (Julliard, Yale, Boston, Chicago, San Francisco, Los Angeles). Ma pure in Corea e in Giappone. Nel 1995 crea due “Renata Scotto Academy”, a New York e ad Albisola, ad un passo dalla sua bella casa di Noli, nella Riviera ligure di Ponente. Il rapporto con Bruno Cagli e con l’Accademia di Santa Cecilia fiorisce allora, per corsi brevi però, di 7-10 giorni, e continua quando subentra nella presidenza Luciano Berio.

La svolta a Parma, nell’autunno 2000. La Rai vi organizza, assieme al Verdi Festival diretto da Cagli, il concorso Callas per voci verdiane. Dalla scrematura di ben mille voci, emerge alla grande il giovane basso russo Ildar Adbrazakov che poco dopo sarà protagonista alla Scala. Prendo parte anch’io a quella avventura affascinante, sono una sorta di consigliere delegato alla musica dal presidente Roberto Zaccaria.  La Rai ha investito nella straordinaria operazione – metterà in carriera una ventina di bravi cantanti, ma non verrà più ripetuta – 1,8 miliardi di lire. Ci rendiamo tutti conto della grave crisi in cui versa la didattica vocale in Italia dove dagli oltre sessanta Conservatori esce poco o nulla (“Nei Conservatori si entra con la voce e se ne esce senza”, è un’amara sentenza ormai nota ovunque) e i maestri privati sono sempre più “cannibali”. Gianluca Veronesi, allora responsabile delle p.r., avanza una proposta: destinare altri 200 milioni all’Opera Studio ideata da Bruno Cagli con Renata Scotto. Servirà a perfezionare altri concorrenti, classificatisi alle spalle dei primissimi, e a reclutarne di nuovi. Ottima idea, subito raccolta. La serata finale della prima Opera Studio nella sede di “Parma lirica”, fra tortelli e lambrusco, è indimenticabile: la Scotto canta ancora una volta “Traviata”, ma, con gli allievi, nel coro “Libiam nei lieti calici”.

Adesso la Scotto, sempre attivissima negli Stati Uniti dove risiede, viene tre volte l’anno a Roma per altrettanti corsi a Santa Cecilia, ognuno di una ventina di giorni: assieme a Bruno Cagli, grand maître, ad Anna Vandi per la tecnica vocale e a Cesare Scarton per dizione e scena, prepara (“con allegria e rigore, si ride e si piange”) sempre nuovi giovani di tutto il globo. Alle selezioni ne arrivano 40, anche 50. Ai corsi ne vengono ammessi appena 7-8. Poi il concerto finale – gli ultimi due, molto riusciti, con una orchestra di giovani – e a qualche recita, nel 2008 nella splendida Villa Mondragone, ai Castelli, una deliziosa “Nina pazza per amore” di Paisiello, protagonista Grazia Doronzo già entrata stabilmente fra i giovani del Met. “Purtroppo”, sottolinea la Scotto, “gli allievi tenori sono pochi e quei pochi non sempre reggono alla dura educazione della voce più innaturale. E anche i bassi non sono molti, purtroppo”.

Differenze fra mondi e paesi tanto diversi? Negli Stati Uniti – dove, oltre che insegnare, realizza regìe di opere – c’è preparazione musicale, c’è splendida vocalità. “Manca però l’espressione, il canto schietto. Non si liberano, non escono, ecco”. In Italia? “Spesso è un po’ il contrario: scoprono di avere una bella voce e credono di essere già arrivati”. I russi? “Hanno voci belle e tuttavia poche regole. A volte, per loro, la musica è un’opinione”. Dalla Georgia sono arrivate di recente alcune gran belle voci, come Karina Gregorjan. E i tanti orientali? “Molto musicali, in genere. Se però crescono con qualche difetto, sono difficili da correggere, e poi faticano tanto con la lingua italiana. Meglio però i giapponesi, spesso, dei coreani. Li trovo magari con voci meno belle, più gutturali e però più ricettivi, più duttili”. Gli ispanici “sì, stanno fiorendo, dopo un periodo di relativa decadenza, però vanno molto guidati, soprattutto nella dizione”. Poco viene dalla Francia, “non ho ancora ben capito perché”. Mentre i tedeschi “stanno per conto loro, a casa loro, un mondo chiuso in se stesso”.

Si capisce bene che Renata Scotto ama le voci italiane, il canto italiano. Si illumina quando mi parla di alcuni allievi degli ultimi corsi come il soprano (“notevole”, nota) Paola Leggeri, o come la casertana Rosa Feola, “bella, intelligente, sicura”. Tanto che gli è stata assegnata la parte di Corinna, la “virtuosa romana”, che a Pesaro fu di Cecilia Gasdia, nel “Viaggio a Reims” di Rossini in programma, in forma di concerto, al Festival del Bel Canto a Santa Cecilia, a fine settembre, diretto da Kent Nagano. Ma cita volentieri anche un mezzosoprano ventunenne, Adriana Di Paola, dal grande volume di voce, e il baritono, o meglio il bass-bariton, pure casertano, Sergio Vitale, molto elegante. Ribadisce le dolenti note per i tenori. “Sono rari anche alle selezioni, purtroppo”.

Un’allieva che non dimentica è l’australiana Jessica Pratt, soprano di bel piglio e portamento, ormai lanciata: è stata quest’anno Lucia al Maggio musicale, con successo, ed ha figurato, in agosto, nel cast di “Don Giovanni”, al rinato Teatro Vespasiano di Rieti. Sul podio c‘era Kent Nagano, il raffinato direttore col quale l’Accademia di Santa Cecilia ha avviato più di una bella collaborazione: a Rieti, quest’anno, e, dal 2008 a Montreal. Con voci già affermate (Sonia Ganassi, Micaela Carosi, ecc.) e coi giovani dell’Opera Studio. Purtroppo i fondi sono sempre un problema. Anzi, il problema. La Rai non investe più nulla nel concorso Callas e rimane sorda al richiamo di dare spazio in palinsesto alla musica e al canto. Dagli States la sua grande e generosa amica, Laura Schwarz, porta ogni anno a Roma, a Santa Cecilia, un bel po’ di dollari. E l’Italia? “Spendeva già poco, davvero poco prima. Ora poi, coi tagli al Fus e in genere ai fondi per la musica…” E nella bella voce ottimista di Renata Scotto passa una nota di profonda amarezza.   

                                                            Vittorio Emiliani   

Pubblicato  su “Amadeus” nel 2009

 

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.