REGGIO EMILIA: CINQUANT’ANNI FA

REGGIO EMILIA: CINQUANT’ANNI FA
Tentativo di svolta reazionaria e…a Savona le bombe

REGGIO EMILIA: CINQUANT’ANNI FA
TENTATIVO DI SVOLTA REAZIONARIA E…A SAVONA LE BOMBE

Oggi, 7 Luglio, cinquant’anni fa: a Reggio Emilia cinque lavoratori comunisti cadono sotto il piombo della polizia; oggi, 7 Luglio 2010, i terremotati dell’Aquila che manifestano a Roma per lamentare i ritardi nella ricostruzione sono manganellati della polizia.

Due 7 Luglio diversi, ovviamente, al riguardo dei quali non vogliamo tentare alcun parallelo storico.

La nostra intenzione, più modesta, è ricostruire proprio l’episodio di cinquant’anni, inquadrandolo in una dimensione che oggi, mentre si ricordano l’insieme dei fatti di sangue che contrassegnarono l’opposizione del Paese al Governo Tambroni, retto da una maggioranza democristiana-neo fascista, poi costretto dodici giorni dopo alle dimissioni, forse non è stata particolarmente messa a fuoco.

Reggio Emilia rappresentò il punto più sanguinoso di quell’itinerario di lotta, anche se il giorno prima, 6 Luglio 1960, un morto c’era già stato: a Licata, in Sicilia, le forze dell’ordine spararono su di un corteo di contadini disoccupati capeggiato dal sindaco democristiano; un corteo dove si chiedeva di lavorare, semplicemente di lavorare.

Dunque, Reggio Emilia: i fatti sono noti e, in questi giorni, raccontati da più parti.

Genova si era già sollevata, il 30 Giugno, per respingere la provocazione del congresso missino, ma la situazione politica italiana non era sicuramente “rientrata nei ranghi”; anzi la fibrillazione sociale e politica era molto alta.

Per sviluppare il minimo di analisi che si trova contenuto in queste note ci siamo confrontati,è bene ricordarlo, con un bel libretto “Reggio Emilia 7 Luglio 1960”, scritto da Renato Nicolai, Corrado Corghi e Giulio Bigi, con prefazione del comandante Bulow e pubblicato dagli Editori Riuniti nel 1980.

Gli antefatti di Genova, che abbiamo appena ricordato, si collocavano proprio a Reggio Emilia: dove si era tentato, nel corso dei mesi precedenti, di colpire la città dove emergeva più chiaramente la coerenza, il legame tra le lotte antiche e nuove, tra i combattenti della Resistenza e quelli rappresentanti dalle nuove generazioni di allora (i ragazzi “dalle magliette a strisce”), la Città dei sette fratelli Cervi.

Il 23 Aprile 1960 il presidente della Repubblica, Gronchi, preso atto del fallimento di un tentativo attuato da Fanfani, respingeva le dimissioni del governo Tambroni invitandolo a recarsi al Senato per verificare un eventuale voto di fiducia.

Il 25 Aprile, un 25 Aprile celebrato in tutta Italia all’insegna della parola d’ordine “via il governo appoggiato dai fascisti” assunse proprio a Reggio Emilia un carattere particolare.

Nella provincia emiliana erano in atto, da tempo, grandi lotte di massa ed una crescita forte dell’influenza dei comuni amministrati dalle sinistre dimostratisi in grado, su temi specifici come quello della lotta al monopolio dell’energia elettrica e della realizzazione della municipalizzazione del gas, di coinvolgere anche esponenti della DC e soprattutto delle ACLI.

Avvenne così che, durante la notte del 25 Aprile, la provocazione fascista cominciò a delinearsi: sulle mura cittadine apparvero dipinte da “ignote mani” numerose svastiche.

La reazione della Città fu forte, immediata, unitaria.

Il 29 Aprile il governo Tambroni ottenne la fiducia del Senato grazie ai voti decisivi del MSI e, in quello stesso giorno, sempre a Reggio Emilia fu annunciato un comizio di Almirante.

Il “crescere” di una linea provocatoria apparve chiara a tutti: si intendeva sfidare la Città appena dopo il 25 Aprile e alla vigilia del 1 Maggio; si trattava del primo favore che i fascisti chiedevano a Tambroni.

Il prefetto autorizzò il comizio e la polizia colse l’occasione delle logiche contestazioni ad Almirante per eseguire una brutale repressione: furono denunciati ventiquattro cittadini, tutti antifascisti e partigiani.

Il comportamento violento e premeditato della polizia impressionò tutti gli ambienti politici cittadini.

La socialdemocratica “Giustizia” prese posizione con un ottimo corsivo, esaltando il comportamento reattivo del popolo reggiano al tentato comizio di Almirante; i giovani democristiani di Reggio fecero stampare un manifesto in cui si denunciava il sabotaggio perpretato dal loro partito contro l’apertura a sinistra.

Il 23 Maggio, in risposta all’aggressione poliziesca ai danni dei democratici bolognesi colpiti a freddo nel corso di un comizio di Giancarlo Pajetta, i giovani comunisti, socialisti e radicali di Reggio Emilia firmarono insieme un manifesto di condanna dell’operato del Governo e della polizia.

Egualmente si hanno manifestazioni unitarie il 26 ed il 29 Giugno, allorquando lo stesso consiglio comunale reggiano chiede la solidarietà cittadina con lo sciopero proclamato a Genova per il giorno dopo.

Va fatto notare, infatti, un particolare ormai dimenticato:la direzione nazionale del MSI, in un primo tempo, aveva chiesto che il proprio congresso nazionale si svolgesse – appunto – a Reggio Emilia. Poi si era orientata su Genova.

In quel clima si arrivò ai fatti del 7 Luglio, alla sparatoria in piazza da parte della polizia, ai cinque martiri celebrati dalla canzone di Fausto Amodei.

Si può pensare di una scelta compiuta dal Governo di imporre, dopo la sconfitta di Genova, una svolta autoritaria passando attraverso la repressione feroce e sanguinosa di una città come Reggio Emilia, dove la risposta alle provocazioni fasciste era risultata particolarmente efficace (un parallelo che si può tentare, pur nelle mutate condizioni generali, è con le bombe di Savona del 1974-75, una strategia terroristica particolare tentata, forse, per saggiare la capacità di resistenza di una Città particolarmente orientata politicamente e legata alla memoria della liberazione dal fascismo, in un momento delicato della vita politica nazionale.

A Savona, come a Reggio Emilia 15 anni prima, fu la risposta fermamente democratica dei cittadini a respingere quel tentativo sciagurato).

Torniamo al 1960:si respirava in quei giorni il clima dell’avventura autoritaria ed in quel quadro avvennero sicuramente i fatti che abbiamo voluto ricordare.

Se Reggio Emilia avesse reagito diversamente alla strage, anziché dimostrando la propria grande forza democratica, allora si sarebbe forse potuti passare ad una “escalation” repressiva su scala più vasta (da ricordare, ancora, che il 6 Luglio, lo stesso giorno del massacro di Licata, a Roma un corteo di deputati socialisti e comunisti era stato aggrredito dai carabinieri a cavallo guidati da D’Inzeo, mentre si recava a deporre una corona di fiori al sacrario dei partigiani di Porta San Paolo) e stringere ancor di più attorno al Paese il cappio della svolta autoritaria.

Alla fine, come sappiamo, prevalsero coloro che reagirono per evitare che i valori della Resistenza fossero perduti e il Paese precipitasse in una nuova barbarie: oggi di fronte alle manganellate sferrate verso i terremotati dell’Aquila i nostri dubbi tornano ad essere tanti.

Savona, 7 Luglio 2010                                                             Franco Astengo

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