Rapporti scuola- famiglia ma la famiglia dov’è?

RAPPORTI SCUOLA- FAMIGLIA
MA LA FAMIGLIA DOV’E’?

RAPPORTI SCUOLA- FAMIGLIA

MA LA FAMIGLIA DOV’E’?

Questa settimana il mio intervento su Trucioli Savonesi tratterà un argomento lontano dalle vicende della politica locale o della difesa dell’ambiente e del territorio, anche a causa di un triste e inaspettato accadimento: la morte di Umberto Eco, semiologo, scrittore, giornalista, autore di splendidi libri, che ho apprezzato moltissimo anche per il suo personale legame col mondo scolastico e quello dei giovani.

L’ho amato perché condividevo il suo modo di “fare cultura” nel cambiamento, nel difendere la creatività e il pensiero libero dell’uomo. Ho amato il suo modo di indagare la realtà con i fenomeni di massa come i social media, che ha  criticato apertamente quando riteneva dessero il diritto di  parola  agli imbecilli, liberi di parlare come al bar.


“L’uomo che sapeva tutto, ha lasciando come eredità il suo grande sapere e anche un messaggio per le nuove generazioni  che spesso tendono a “fuggire più che combattere, cambiare se stesse più che cambiare il mondo”.

 Non vuole, certo, essere un necrologio questo, ma il tentativo di ricordare, di questo straordinario intellettuale, le parole di verità e di conoscenza concreta del mondo giovanile che, chi insegna nella scuola oggi, può sostenere con la sua testimonianza diretta.

I giovani e la perdita della memoria.

 Interessanti gli interventi su quella che, Umberto Eco, chiama la nuova malattia che colpisce i giovani oggi: la perdita della memoria. Sì perché, oggi, i nostri studenti se hanno necessità di sapere chi era Mussolini o Aldo Moro sanno che premendo qualche tasto, Internet, magari soffermandoci solo su Wikipedia, te lo dice subito. Ma qualche minuto dopo viene dimenticato, perché sanno che se sarà necessario lo cercheranno una seconda e una terza volta, perdendo il gusto di ricordare e di collegare ciò che si  ricorda con vicende importanti per la memoria storica.

Si tende, oggi, a perdere il gusto di mettere in testa informazioni a tal punto che molti miei allievi riescono a giustificare il non sapere, proprio adducendolo al fatto che l’argomento si è affrontato lo scorso anno scolastico. Insomma una memoria corta, quasi assente, funzionale a questa o quell’interrogazione o verifica in classe, nulla più.


I giovani e la famiglia.

Interessanti, sono stati, anche i suoi interventi sul legame attuale tra giovani e famiglia e di come sia sempre stato vero che i giovani tentino, in un periodo della loro vita, di rifiutare i principi educativi della famiglia, i ricatti emotivi o le oppressività della stessa e traducano questo in un desiderio di socialità  da spendere fuori casa e come, un tempo, questa socialità  venisse, a livello istituzionale,  ricostruita nelle parrocchie, nei gruppi scout, nelle sedi giovanili dei partiti che, a differenza della scuola,  erano oggetto di scelta e non imposte a livello autoritario.

Oggi tutto questo sempre essere venuto a mancare e la socialità se non s’incontra casualmente fuori di casa, s’incontra in modo fittizio e virtuale sui social, alimentando nuove e pericolose solitudini.

Oggi, inoltre, la famiglia s’incontra sempre meno e quel breve tempo speso a condividere un pasto è spesso monopolizzato dalla televisione che ha reso evidente un fatto: nella famiglia c’è sempre meno da dirsi.

E’ di pochi giorni fa un computer che leggerà le favole prima della nanna al bambino, sostituendo definitivamente babbo e mamma, così come sarà il computer a spiegare tutte quelle cose che il ragazzo avrebbe un tempo condiviso con i genitori.

Proprio in questo particolare momento storico dove di discute sulla  difesa  delle famiglie “tradizionali” e dei loro valori, ci sarebbe da chiedersi, invece, quale sia il ruolo principale della famiglia oggi nel rapporto coi figli? Principalmente dare cibo e denaro, soddisfare tutti desideri nell’incapacità di dire dei No, troppo scomodi per tutti.

La famiglia non è più luogo di relazioni ma un sempre più fragile luogo di piccoli e grandi privilegi, dove i genitori  vivono eternamente indecisi tra il ruolo di amici o complici, fra severità e buonismo.


E a scuola che succede?

Con l’avvento del registro elettronico che permette alla famiglia di visualizzare da casa i voti del figlio, l’afflusso, già modesto, di genitori ai colloqui con gli insegnanti si è quasi annullato, relegando la conoscenza del profitto a un puro atto burocratico, nel disinteresse di sapere come il figlio vive la scuola, come affronta l’impegno scolastico, come reagisce agli stimoli o con quale interesse o difficoltà li affronta.

La famiglia diserta la scuola, non si propone più come rappresentante negli organi collegiali, ritenendolo un’inutile perdita di tempo, allontanandosi così, ancora una volta, dalla vita scolastica dei figli e annullando la relazione con la scuola stessa.

Genitori che non conoscono insegnanti che i loro figli hanno da anni; genitori che giustificano costantemente mancanze come i costanti ritardi agli ingressi che, spesso, non si preoccupano neanche di giustificare, oppure la mancanza di applicazione e di studio, intesa sempre come richiesta eccessiva da parte della scuola e causa di depressioni e di blocchi psicologici dei figli.

Tutto ciò che è comodo, è stupido.” Lo sostiene lo psichiatra Paolo Crepet. Così anche la scuola deve essere  disciplina, applicazione, passione, cose senza le quali non si arriva a conseguire un titolo di studio che abbia il suo vero valore e attraverso le quali si permetterà ai giovani di  affrontare gli studi universitari e la società, mentre si comunicano loro anche i  grandi ideali di cui hanno bisogno.


I rapporti tra la scuola e famiglia diventano un’indicazione programmatoria svuotata di significato.

I genitori spesso corrono a prenotare colloqui con l’insegnante, allarmati per le conseguenze psicologiche che un voto negativo avrebbe avuto sul figlio, fornendosi come testimoni involontari di un’applicazione domestica tardiva, insufficiente e inefficace e dell’incapacità di affrontare in modo sereno l’insuccesso.

Figli sempre più vulnerabili che vanno in depressione, che minacciano di cambiare scuola o indirizzo davanti alle difficoltà. Genitori che manifestano tutta la loro fragilità, che, preoccupati di vedere insidiata la tranquillità del vivere quotidiano, arrivano anche a mobilitare moltitudini di medici specialisti pronti ad attestare, anche ad anno scolastico inoltrato, improvvise certificazioni DSA (dislessie, disgrafie, discalculie) o peggio  BES ( disagi transitori ) in modo da buttare la palla ancora una volta alla scuola. 

La famiglia, sempre meno autorevole e sempre più incoerente, chiede alla scuola di allentare il ruolo educativo, adeguandosi alle debolezze, che diventano comuni e non solo sembra arrendersi nel concedere tutto ai figli per paura di sentirsi rifiutati o per senso di colpa, ma vuole un complice nella scuola, dimenticando che la scuola è un pezzo importante della comunità che contribuisce proprio all’educazione dei ragazzi, che deve dare l’esempio nella coerenza, nel rispetto delle norme e dei ruoli che ricopre.

Difficile vedere genitori ribellarsi all’inadeguato o carente lavoro di questo o quell’insegnante o all’indifferenza di chi non vuole rischiare di credere nei loro figli e preferisce appiattire un lavoro che livella alla mediocrità, l’importante e non esigere che i ragazzi facciano fatica.

Caso emblematico una madre che lo scorso anno  mi disse, prendendo atto del  profitto negativo della figlia” Professoressa , ma se lei me la rimanda sarò costretta a dirle di non fare quel viaggio che le avevo promesso!”


E un’emergenza educativa dove la scuola non può diventare complice di una famiglia che, di fatto, non c’è.

La scuola deve, invece, insegnare che per avere successo nella vita ci vuole talento e che questo si ottiene col sudore, sempre  se non ci si voglia accontentare della già tanto diffusa mediocrità. Le insufficienze servono a rivelare i nostri limiti che con l’impegno si possono superare e i genitori sono una risorsa molto importante per far capire questo ai figli e per convincerli che la scuola e i genitori hanno obiettivi comuni e collaborare bene va a loro vantaggio.

I genitori devono giocare un ruolo importante nell’aiutare i figli a migliorare il rendimento scolastico ma partecipando in modo costruttivo alla loro istruzione ed esigendo che tutti facciano la loro parte.

Solo con una generazione di giovani più preparati, più appassionati, più determinati nell’impegno e negli interessi potremo sperare in quello che Umberto Eco  si augurava e cioè in una generazione  capace di  cambiare il mondo.

 ANTONIA BRIUGLIA

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