RAPINE IN SERIE IN TABACCHERIA (Un racconto breve nero)

L’autore Massimo Bianco

Due uomini armati entrarono in tabaccheria, camuffati da Uomo Ragno. Oltre ai commessi, all’interno c’erano due clienti, un giovane che  acquistava le sigarette e un anziano intento a compilare la schedina.

“Fermi tutti e a terra, avanti su, distendetevi a terra… No, tu no, tu apri la cassa, forza.”

Un bandito si fermò al centro del negozio, minacciando i presenti con la rivoltella e voltandosi di continuo da una parte e dall’altra, nervosamente, mentre il compare si dedicava a raccattar soldi.

Poi qualcuno aprì la porta d’ingresso.

“Ehi, ma cosa diavolo…” Disse quel qualcuno.

Il commesso ancora in piedi si voltò verso il neo entrato rivolgendogli un gesto e il rapinatore gli sparò tre volte al petto. Il nuovo cliente si voltò per fuggire e si prese altrettante pallottole nella schiena. I tre a terra rimasero immobili e silenziosi.

“Ma che fai?” Gridò il compare del pistolero.

“Si è mosso, io…”

“Via, andiamo, presto, non dovevi, cazzo, non dovevi.”

Le voci dei due si persero nel frastuono stradale. Allora il commesso superstite s’accovacciò accanto al collega, mentre il giovane cliente si dirigeva all’uscita, arrivandovi giusto in tempo per vedere gli aggressori allontanarsi in moto.

“Mario, stai bene? Rispondi Mario, rispondi.”

***

Gianni Carta, grassoccio cinquantenne di statura medio alta e dalla folta barba ingrigitasi come il suo spirito, faceva il tabaccaio. Nell’ultimo biennio aveva subito ben tre rapine, l’ultima delle quali appena una settimana prima, sempre senza che i responsabili fossero individuati. Ridotto alla disperazione, non faceva che rimuginare sulla situazione: con la crisi economica i guadagni si erano già ridotti a una miseria e quelle dannate carogne glieli decurtavano ulteriormente! Non poteva continuare così, se non avesse trovato in fretta una soluzione avrebbe dovuto cedere l’attività. A preoccuparlo non era tuttavia solo la questione dei mancati introiti, lo terrorizzavano molto di più gli atti criminali in sé. La notte non dormiva più, al pensiero di doversi recare al lavoro per ritrovarsi forse minacciato. E la sua non era una mera sopravvalutazione del rischio: alcuni mesi prima un collega, Mario Guazzi, la cui rivendita distava poche centinaia di metri dalla sua, era rimasto ucciso assieme a un cliente nel corso di un’analoga aggressione.

D’altronde lui stesso aveva almeno una volta corso gravi pericoli. I banditi erano entrati decisi nella rivendita, poco prima della chiusura, ad armi spianate e indossando entrambi una maschera dell’Uomo Ragno. Quindi il più piccolo gli si era piantato davanti, minacciandolo con frasi che parevano ringhi, mentre l’altro scavalcava in fretta il bancone per svuotare la cassa. Gianni Carta si era però subito reso conto che quei due non dovevano essere dei professionisti ma dei tossici. Apparivano, infatti, talmente nervosi che quasi se l’era fatta addosso per la paura, al pensiero che dalla rivoltella agitatagli sotto al naso potesse inavvertitamente partire un colpo.

Perché poi prendersela così spesso coi tabaccai? Non lo capiva. Cosa credevano mai di trovare nelle loro rivendite? Nell’ultima occasione avevano prelevato la miseria di quattrocentottanta euro in contanti, a cui andava aggiunto un ammontare all’incirca analogo in prodotti vari arraffati in fretta e furia. Con quel poveraccio del collega, ai delinquenti era invece andata meglio, perché la sua rivendita era ubicata in posizione già assai più centrale e tra sigarette, superenalotto, gratta e vinci e ricariche telefoniche aveva ancora un ottimo giro d’affari. Tuttavia alla fin fine era stato assassinato per circa tremila euro.

“Tanto dunque vale la vita d’un uomo? E che senso ha rischiare l’ergastolo per una cifra simile?” Ripeteva in proposito con chiunque affrontasse l’argomento, malgrado il sospetto che non avrebbero comunque fatto più di qualche anno di galera.

Oltretutto, come se già non bastassero i crimini in sé, quel mattino l’agente assicurativo, che peraltro non aveva ancora versato il becco d’un quattrino neppure per la precedente ruberia, aveva avuto la faccia tosta di esprimere il sospetto che fossero i negozianti stessi a organizzare le rapine, per frodare l’assicurazione. 

“Questa recrudescenza limitata ai vostri esercizi mi sembra strana, ecco, anche perché siete tutti assicurati con noi.” Aveva seraficamente commentato.

“Ehi dico, ma come si permette? Guardi che c’è anche scappato il morto e io ho paura.” Era allora sbottato Carta, furibondo, senza peraltro convincere il contraddittore.

Infine, per completare l’opera, sua moglie non faceva che lamentarsi, paragonandosi alle amiche sempre meglio vestite e meglio calzate per definizione.

“Giusto a me doveva toccare in sorte un morto di fame.” Affermava quando ne discutevano, dimentica della crisi imperante, che non riduceva le entrate soltanto a lui. Si sentiva, insomma, cornuto e mazziato.

Aveva perciò deciso di prendere provvedimenti, ma all’unico scopo di potersi recare al lavoro tranquillo. Dopo lunga attesa aveva finalmente ottenuto il porto d’armi e, pur senza rivelare il proposito, a cui la consorte era contraria, quello stesso giorno intendeva procurarsi una pistola. Una volta armato avrebbe cacciato via ogni male intenzionato.

Tant’è che quella sera, rientrando a casa per cena, aveva ancora un diavolo per capello e non prese bene la richiesta del figlio, desideroso di festeggiare gli imminenti diciotto anni andando in vacanza in Olanda con un amico. Per carità, il suo Alessio era sempre stato un bravo figliolo, ubbidiente, simpatico ed educato e gli voleva un bene dell’anima, ma non era proprio il momento di accampare pretese.

“Ti ci metti anche tu? Con tutti i problemi che abbiamo vuoi ancora denaro?”

“E dai papà, mi bastano cinquecento euro per viaggio, pernottamento e cene per una settimana. Per tutto il resto m’arrangio.”

“Non se ne parla. Quando avrai un lavoro allora te ne andrai dove ti pare, ora no.”

Quel dannato ragazzino, sempre a battere a cassa, a scuola però fa sempre il minimo indispensabile, mugugnò quindi tra sé.

Trascorse alcune settimane, sempre senza che l’assicurazione si decidesse a versare il dovuto, due rapinatori si presentarono in tabaccheria mentre il titolare era solo. Avevano scelto proprio il giorno in cui di solito conseguiva i maggiori incassi. Stavolta entrarono mascherati da befana ma, pur rivolgendogli appena una rapida occhiata, basandosi sulle loro corporature Gianni Carta fu certo che fossero gli stessi dell’occasione precedente. Il più mingherlino gli si mise di fronte, gli puntò l’arma contro e ordinò, in un roco brontolio, di alzare le mani, mentre il compare aggirava, con movenze un po’ titubanti, il bancone dal lato sinistro.

Anziché obbedire, l’esercente s’accucciò fulmineo, al riparo dietro al bancone stesso, afferrò lesto la pistola conservata là sotto e quindi si spostò sul lato destro, urlando:

“Ora basta, sono armato, andate via o giuro che v’ammazzo.”

“Ehi, ma sei scemo? Arrenditi.” Rispose il rapinatore, con voce inaspettatamente rotta.

Un attimo dopo l’esercente udì un botto. Sparano i maledetti, pensò disperato, quindi si alzò di scatto e prese a sventagliare all’impazzata, deciso a vender cara la pelle.

Investiti dalla raffica, i delinquenti s’ accasciarono entrambi, l’uno, quello che l’aveva minacciato, raggiunto solo a spalla e mano, l’altro invece mortalmente ferito a petto e stomaco da ben tre proiettili.

Recuperato l’autocontrollo, Carta si rese conto di cosa aveva combinato e rimase per qualche momento incerto sul da farsi, sconvolto, poi s’accostò con prudenza a uno dei delinquenti, che si lamentava accasciato sul pavimento, per prestargli i primi soccorsi.

“Mi dispiace, non intendevo sparare per davvero, ma non dovevate tornare.” Disse abbattuto.

Gli sollevò la mascherina dal volto e, con un tuffo al cuore, riconobbe Luca, il migliore amico di suo figlio, quello con cui, rammentò, intendeva recarsi in Olanda.

L’adolescente piangeva.

“Non volevamo farle del male, era la scacciacani di mio padre, mi è partito un colpo. Voleva solo i soldini per la vacanza, ha avuto lui l’idea, sarà troppo agitato per riconoscerci, crederà ai soliti delinquenti, aveva detto.” Raccontò Luca tra un singhiozzo e l’altro.

“Oh no, no.” Urlò Gianni Carta.

Abbandonata la pistola a terra, si precipitò verso l’altro rapinatore, che giaceva in un lago di sangue.

“No, Dio mio, Alessio, bambino mio, non dovevi, te li avrei dati i soldi, non dovevi.”

3/9/13, ampliato il 31/12/13, fine.  Massimo Bianco

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