Racconto autobiografico

POTEVO ESSERE BRILLANTE
 MA ERO TROPPO EMOTIVA
Racconto autobiografico

POTEVO ESSERE BRILLANTE
 MA ERO TROPPO EMOTIVA
Racconto autobiografico
 

Nascere timidi, non sapere cosa dire, sapere cosa dire ma non riuscire a parlare, diventare rossi, piangere al minimo imbarazzo, magone che blocca la voce. Chiunque abbia provato queste sensazioni, sa di cosa sto parlando.

E’ il 1976, sono una bambina a spasso con la sua mamma al mercato. La mamma incontra la vicina di casa e la saluta. Arriva il momento, la vicina mi guarda, le sue labbra si muovono – Ciao Elena! – e io zitta. Mia mamma: – Dille ciao! -; la vicina: – Non mi saluti? -. Groppo in gola. Le parole non vogliono uscire. Io mi sento piccola piccola, guardo quelle due donne e penso: – Scusate, io vorrei prendere un bel fiato e dirlo ma proprio non ci riesco -. Perché? Perché quel nodo alle corde vocali impediva sempre alle parole di uscire? Io avrei voluto urlare, gridare a tutti quel benedetto ciao, anche a quelli che non conoscevo. Spaccare i timpani a tutti con un liberatorio ciao al mondo intero e invece ogni volta era la stessa storia.

Quando sei un bambino timido ed introverso, speri che almeno gli adulti che ti stanno intorno, dall’alto della loro età e della loro saggezza, ti possano capire e si comportino di conseguenza. Invece no, proprio dagli adulti ti arrivano le maggiori frustrazioni. Ecco che allora ti può capitare di avere un cugino di tuo padre che, quando lo vai a trovare e dopo che come sempre non gli hai detto quel famoso ciao, si stiracchi e sbadigliando ti dica: – Ho appena finito di mangiare un bambino ma ho ancora fame: se non mi saluti, adesso mangio anche te! -. Io, una povera bambina che ben conosce storie come Pollicino restavo paralizzata. Oppure ti può capitare che tuo nonno, quelle rare volte che si degni di passare un po’ di tempo con te, ti porti a fare una passeggiata fino alla casa dove vive una sua amica. Non si tratta però di un’amica normale, no, si tratta di una piccola vecchina con la gobba poco più alta di un metro che con la sua vocetta ti dice: -Se non mi dici subito ciao, ti butto nella mia lavatrice! -.

Sono esperienze che segnano.

Io da ex bambina timidissima, quando adesso mi capita di incontrare un bambino che si nasconde, che non ha voglia di parlare, non insisto mai, cerco di metterlo a suo agio e se il genitore è insistente, cambio discorso.

Negli anni successivi va meglio. Sei un po’ più grande e scopri che non sei solo una persona “emotiva che potrebbe essere più brillante”, come ti definiscono prima i maestri e poi i professori.

Ti rendi conto che sei intelligente e riflessivo, che hai delle doti che non tutti hanno. Sentendo i discorsi di certi tuoi amici scopri che a volte è meglio stare zitti perché si fa più bella figura.

Elena a 4 anni

In questa fase iniziano le battute degli spiritosoni. – Non parlare troppo! -; – Si sente solo te, basta, stai un po’ zitta! -; – Parli così tanto da farmi venire il mal di testa! – e così via.

Diventare rossi è sempre una tragedia. Senti quel calore particolare in viso e se qualcuno te lo fa notare, il calore aumenta e con esso l’intensità del colore.

Se la timidezza col passare degli anni, le esperienze di vita, il prendere coscienza di sé, può passare o comunque diminuire molto, il problema della faccia fosforescente rimane. Non so se sia possibile controllarlo in qualche modo tramite ipnosi o agopuntura, ma altrimenti ci si deve imparare a convivere per sempre.

Quello che ho scoperto è che è un fenomeno che può intenerire il prossimo e addirittura fare innamorare. Bisogna sempre utilizzare le proprie debolezze a proprio vantaggio. Essere più chiusi significa pensare molto. Tutte quelle parole che non escono dalla bocca, compiono infiniti passaggi nel cervello.

Quando ci si muove e si decide di fare o dire qualcosa è spesso il frutto di un lungo ragionamento e per i più furbi anche il risultato di un freddo e astuto calcolo. Noi emotivi in quanto vittime delle emozioni stesse siamo più portati all’osservazione. Osservare e studiare chi ti sta davanti anche mentre quella persona ti sta prendendo in giro, ti permette di catalogare tutti. Così puoi mettere etichette immaginarie che vedi solo tu del tipo: “Bello ma col cervello non collegato”, “Parla molto e l’unico argomento è se stesso: non uscirci mai”, “Sa tutto di tutti: non confidarsi”, “Simpatico ma si mangia le unghie”, “Fa domande ma non ascolta mai le risposte: insopportabile”.Una specie di selezione all’ingresso, insomma.

Durante la vita si affrontano poi delle tappe così di forte impatto che di sicuro ti aiutano nella lotta contro la timidezza. Una di queste per me è stato l’ingresso nella scuola superiore che gli adulti hanno scelto per me: un Istituto Tecnico Commerciale dalla fama spaventosa. La ragioneria più tetra, grigia, severa, austera e antica del mondo. Lì venivi assegnato alle sezioni in base al tuo ceto sociale. Io come figlia di portinai, ero stata inserita nella sezione L, L come la feccia della città. Le pagelle venivano consegnate personalmente dall’anziano preside e se i voti non erano tra i migliori, era pronto a darti ottimi consigli ed incoraggiamenti per il futuro: se eri un maschio ti diceva di andare a fare il pastore o il contadino, se eri femmina ti diceva di andare a battere il marciapiede. Usava proprio questi termini, un preside!

Ero uscita con ottimo dalle medie e in quell’ambiente indossavo il mio bel cappello con le orecchie da asino tutte le mattine e mi sedevo al mio posto collezionando una fantastica raccolta di voti terrificanti ed umilianti tra lo sconcerto e la delusione mia e dei miei genitori.

Elena ai tempi della scuola

Dopo due bocciature, la mia timidezza era decisamente diminuita e anche la stima che avevo in me stessa. Ho chiesto perciò ai miei genitori di poter terminare gli studi presso un’altra ragioneria dove ho trovato un ambiente umanamente più accettabile: finalmente respiravo e l’alunna perfetta che c’era in me è riemersa dall’oblio.

Col mio bel diplomino di ragioneria in mano ho subito iniziato a cercare lavoro.

Per qualche mese ho ingannato il tempo con un corso di informatica e uno di marketing, quest’ultimo veramente impegnativo per i timidi: simulazioni di presentazioni di prodotti o di vendita erano per me come provini per recitare in un film senza mai avere seguito corsi di recitazione.

Uno dei docenti ci aveva spiegato che per ovviare al problema di sentirsi in forte imbarazzo sentendosi tutti gli occhi puntati addosso, un ottimo sistema era quello di scegliere una persona e concentrarsi solo sui suoi occhi in modo da sentirsi più tranquilli. Ricordo che la mattina della simulazione in cui toccava a me presentare questo prodotto immaginario, avevo preso accordi preventivi con un amico che conoscevo già da diversi anni e che frequentava il corso con me. Durante la simulazione l’ho fissato con una tale insistenza e una tale intensità che alla fine, essendo piuttosto timido anche lui, eravamo rosso fuoco tutti e due! Comunque quel consiglio ogni tanto lo metto in pratica ancora adesso nella vita di tutti i giorni e funziona.

Finalmente poi il colpo di fortuna o almeno quello che pensavo potesse esserlo. La mia prima esperienza di lavoro è stata dentro un covo di vipere, quei bei cumuli di rettili che si scaldano al sole come si vede nei documentari. Ciascuno di quei corpi squamosi aveva la testa di una segretaria; ce ne erano di tutte le età ma tutte erano agli ordini della Vipera Regina, colei che dal suo ufficio di vetro tutto vedeva e tutto poteva. La Signora Rettile aveva gli occhi sottili e scintillanti di cattiveria e sadismo, il naso a punta e due labbra sottilissime nascoste in una specie di becco. Lì, in quell’ufficio, su quella scrivania tra la fotocopiatrice, il computer e l’ufficio di vetro a prendermi lavate di capo, ho perso la maggior parte della mia timidezza. Più mi umiliava e più io mi sentivo forte. Riuscivo anche a risponderle, la disprezzavo talmente tanto che non provavo nemmeno rispetto nei suoi confronti. Ho visto scappare segretarie anche non più giovanissime. Le ho viste fuggire in lacrime, distrutte, esaurite, violentate emotivamente. Ho visto utilizzare una posizione di supremazia lavorativa per trasformare un ambiente di lavoro in un regime dittatoriale. Io non ho mai pianto davanti a lei, io, la debole Elena che piangeva davanti a tutto, non ha fatto uscire una lacrima davanti ai suoi occhi sottili da vipera. Tra quelle mura non era consentito scambiarsi due parole, fare una piccola battuta: venivi ripreso immediatamente e severamente punito con piccoli dispetti o ricatti psicologici. Ad un certo punto, oltre alle mansioni che già avevo , mi è stato assegnato anche uno sportello dove dovevo dare informazioni alle persone che venivano da fuori. Ero un po’ preoccupata per il mio carattere e invece il contatto col pubblico era come una boccata d’aria per me e non mi sentivo affatto in imbarazzo. La Signora Vipera non aveva avuto soddisfazione, io stavo bene col mio sportello e così sono iniziati i rimproveri per la troppa gentilezza e per i troppi sorrisi. Credo non ci sia nemmeno il bisogno di commentare. Sono rimasta lì dentro cinque lunghi anni poi ho dato le mie dimissioni ma non perché mi sono arresa ma semplicemente perché mi sono trasferita in Liguria. Quella volta la Vipera aveva perso.

Avevo circa 25 anni ed ero molto meno emotiva. Avrei avuto comunque grossi problemi a dover parlare davanti ad un pubblico molto vasto che mi guardava ma la bambina che non riusciva a dire ciao era lontana anni luce da me.

Ora sono una donna riflessiva, estroversa quando mi sento di esserlo, introversa quando non va a me di parlare ma solo perché non ne ho voglia; amo la mia vita, quello che sono diventata, divento ancora rossa ma il fatto mi turba molto meno e mi fa sentire viva. Ma la cosa più importante è che, malgrado ciò che mi sono sentita dire per anni, l’emotività non porta all’”opacità”. Perché mortificare un ragazzino dicendogli che potrebbe essere brillante ma a causa di un po’ di timidezza non può esserlo? Se devo dirla tutta io mi sono sempre sentita brillantissima e i piccoli grandi risultati che ho ottenuto nella vita giunta fino a qui, mi hanno dato dimostrazione di esserlo.

 

Elena Bellini

 

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