Racconto

Un racconto di Orlando Defrancisci
Picciuli

Un racconto di Orlando Defrancisci
Picciuli
Si vedeva bene, non c’era nulla da intuire o da capire, l’ira sul suo volto era scritta a lettere chiarissime, un marchio a fuoco, un tatuaggio, una smorfia che faceva acquistare a quella faccia magra, quasi scheletrica, un aspetto sinistro, diabolico.

L’uomo seduto in mezzo alla grande stanza aveva un pessimo aspetto, il volto era una maschera tumefatta, del sangue gli gocciolava lentamente dalla bocca semiaperta e da un grosso taglio su uno zigomo, era li seduto con le mani legate dietro la spalliera, le gambe invece erano saldamente immobilizzate con del nastro adesivo alle gambe della grossa sedia di legno, accanto a lui due uomini lo stavano osservando, più distante, tre o quattro passi, appoggiato ad un grosso tavolo di legno antico con sopra alcuni utensili di ferro c’era l’uomo che fino a quel momento lo aveva picchiato e torturato.
“Cosa ne facciamo di lui” disse il meno anziano dei due, l’altro lo guardò un attimo, e con gli occhi che lampeggiavano di rabbia disse “tu cosa ne vorresti fare? Che cazzo di domande cretine fai”, poi senza attendere risposta con l’atteggiamento tipico di chi non chiede consensi ma impartisce ordini, disse con voce sprezzante ”ci penserà lui” ed indicò con un veloce gesto della mano l’uomo appoggiato al tavolo, “ma prima deve dire tutto quello che sa, e dico tutto”, pronunciò quest’ultima frase guardando nella direzione dell’uomo vicino al tavolo che accenno una smorfia che voleva essere un sorriso, e assenti con un leggero movimento della testa.

Era un rompicapo, si era proprio un rompicapo, ne aveva perse di nottate a cercare di capire, e quanti paletti, anzi proprio muri di cemento armato, aveva dovuto superare ed in quanti gli avevano fatto e gli stavano ancora facendo guerra contro; certo in pubblico e nelle dichiarazioni ufficiali, sia il procuratore capo che il sottosegretario lo avevano lodato, ma lui sapeva benissimo che stavano tutti manovrando per bloccare la sua indagine, ma fino a quel momento non c’erano riusciti, lui, il giudice Girolamo Lo Cascio, magistrato da prima linea, impegnato nella lotta alle cosche mafiose del ragusano, aveva messo le mani su un traffico di stupefacenti che lo aveva portato diritto al cuore della cosca dominante, ma da quel tipo puntiglioso che era non s’era accontentato del facile colpo alla bassa e media manovalanza criminale della zona, aveva cominciato a scavare, aveva seguito “i picciuli” come si dice in Sicilia, e seguendo il flusso del denaro aveva cominciato a scalare i vertici della cosca fino ad arrivare ai capi e ai fiancheggiatori politici ed economici locali.
Il colpo Lo Cascio lo aveva fatto quando aveva interrogato il direttore del principale istituto di credito di Ragusa, il Dott. Domenico Fonte.
Fonte era un uomo piccolo di statura, gli occhi erano molto vivaci e sfuggenti, seduto davanti al giudice Lo Cascio era in visibile imbarazzo, aveva le mani sudate e non riusciva a stare fermo sulla sedia:
“Io non capisco il motivo di questa convocazione” disse rivolto al giudice, che era appena entrato nella stanza e stava sedendosi, la grossa scrivania li divideva e segnava il netto confine tra chi chiede e chi risponde;
“Lo capisco io” disse il giudice con un tono sferzante, sapeva che doveva intimorire il funzionario che aveva davanti se voleva tirarne fuori qualcosa;
“dai documenti che la Guardia di Finanza ha sequestrato a casa sue e nel suo ufficio alla banca, ho abbastanza elementi per incriminarla per riciclaggio, allora come la mettiamo Dott. Fonte”?
Il funzionario balbetto una frase incomprensibile, sul fatto che non avrebbe detto una parola e che voleva il suo avvocato, il giudice conosceva il tipo, sapeva che con le giuste pressioni, avrebbe parlato, dicendo ciò che sapeva dei transiti di denaro mafioso nella sua banca.
Così era stato, Fonte aveva tentato una qualche resistenza ma poi incalzato dal magistrato e dall’ispettore Polizzi, un valido e fidato collaboratore del giudice, aveva ceduto cominciando prima lentamente e con qualche reticenza, poi invece le sue rivelazioni si erano trasformate in un fiume in piena, e mano a mano che parlava il giudice Lo Cascio e l’ispettore Polizzi, si erano resi conto che avevano messo le mani sul vespaio più grosso e pericoloso che potevano toccare.

Nella stanza si udiva solo il lamento dell’uomo, ma era un lamento sommesso quasi un rantolo, i colpi di nocche sulla porta riecheggiarono amplificati dal silenzio e dalla profondità della stanza,
“un momento” disse a voce non troppo alta l’uomo meno anziano, avvicinandosi all’uscio, aprì di uno spiraglio la porta e parlottò con l’inserviente per qualche istante, poi lo congedò e richiuse la porta.

“Sono arrivati” disse rivolto all’altro, “ho detto di farli accomodare nel tuo studio”
L’altro annui, e disse
“va bene andiamo a sentire cosa hanno da dire”
Mentre lo diceva la sua faccia logora e scavata si piegò in una smorfia diabolica, diede un rapido sguardo d’intesa al terzo uomo presente nella stanza e si avviò verso l’uscita seguito dall’altro.
Camminavano nel lungo corridoio con passo veloce, il meno anziano dei due era quello che più pativa quella andatura sostenuta, forse a causa dei chili di troppo e del troppo poco movimento, ansimando un poco, disse rivolto al suo anziano compagno,
“credi che sappiano”?
L’altro lo guardò come si guarda un escremento di cane appena pestato sul selciato, con gli occhi che lampeggiavano disse
“sei un idiota, cosa vuoi che sappiano, e se anche sapessero cosa credi che possano fare”?
poi con più calma disse
“Tu lascia parlare me, come è giusto che sia e limitati a presenziare”!
Il messo posizionato davanti alla grande porta dello studio l’aprì davanti a loro, non appena li videro i due uomini seduti in attesa si alzarono in piedi quasi all’unisono e gli si fecero incontro con grandi sorrisi
L’uomo più anziano dal volto scheletrico, disse rivolto ai due uomini in piedi davanti a lui
“ Ministro buongiorno, come sta”? poi rivolto all’altro uomo presente, disse
“e questo signore che è con lei chi è, non mi sembra di avere il piacere”
Il vice ministro dell’interno Calogero Martone, fece un mezzo inchino e poi girandosi leggermente verso l’uomo che era insieme a lui disse
“Monsignore sono onorato e grato del fatto che lei ci abbia ricevuto, le presento il giudice Lo Cascio, che ha delle importanti informazioni per Voi”
Lo Cascio fece anche lui un mezzo inchino e poi senza preamboli disse
“Monsignore, grazie alle informazioni di un testimone eravamo riusciti a seguire la strada che i soldi di una cosca mafiosa del ragusano seguivano per essere riciclati e ripuliti, queste tracce portavano alla banca vaticana, solo che da qualche giorno il nostro testimone è sparito e questo proprio quando, in accordo con noi, avrebbe fatto in modo di farci avere tutte le carte ed i movimenti bancari che comprovavano questi traffici” fece una pausa nell’esposizione, giusto il tempo di notare l’estrema attenzione che il suo anziano interlocutore gli stava prestando,
“allora il ministro mi ha consigliato di parlarne con lei, che certamente avrebbe fatto il possibile per facilitare la nostra indagine”
Il cardinale, segretario di stato vaticano, indossò il più benevolo dei suoi sorrisi ed in tono pacato disse rivolto ai due interlocutori
“certamente giudice, faremo quanto in nostro potere, certo lei capisce, siamo due stati sovrani, ed anche io devo sottostare a leggi e procedure, quindi non posso concedere l’accesso diretto alla nostra banca dati alle autorità italiane, sa il concordato …, ma ordinerò subito una indagine interna all’istituto, se qualcosa di poco chiaro è stato fatto da qualche nostro funzionario infedele, verrà fuori ed io sarò lieto di metterla a conoscenza”
Nel pronunciare queste parole fece un gesto tanto delicato quanto eloquente che sanciva la fine di quella breve conversazione, i due si congedarono in fretta ed uscirono dallo studio accompagnati da un inserviente, il cardinale pensò mentre li guardava allontanarsi, che forse avrebbe rivisto quell’idiota di Martone, ma non certamente Lo Cascio, e che la sua indagine poteva anche ficcarsela in culo tanto il suo testimone di certo non avrebbe più parlato.
Guardò il cardinale suo segretario, che era rimasto li accanto in silenzio come lui aveva chiesto, con malcelato compiacimento gli disse
“vieni andiamo il santo padre ci aspetta”, e mentre si alzava dalla pesante e secolare poltrona su si cui era seduto per parlare con i due italioti, rise di gusto!

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.